Una scuola da rifare!? Recensione a un libro di Giuseppe Caliceti

mercoledì, 12 Ottobre, 2011
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Una scuola da rifare. Lettera ai genitori, Feltrinelli, 2011.

Un libro di Giuseppe Caliceti

Lo scenario è noto: nel 2008 il ministro Tremonti abbatte la scure dei tagli sulla scuola e poco dopo la ministra Gelmini annuncia la sua riforma. Le piazze si riempiono di migliaia di docenti che protestano contro lo smantellamento della scuola pubblica. A distanza di diversi mesi, cosa rimane di quella protesta? E – soprattutto – cosa rimane della scuola pubblica? Sotto forma di una lunga lettera ai genitori, Giuseppe Caliceti – maestro, educatore, ascoltatore, scrittore – cerca di rispondere a queste domande e analizza lo stato di salute della nostra scuola. Lo fa alternando lo sguardo del rigoroso e appassionato studioso del sistema scolastico italiano e internazionale a quello dell’insegnante con il suo bagaglio di storie dove i protagonisti sono gli alunni. Nella scia di maestri come don Milani, Gianni Rodari, Loris Malaguzzi, Mario Lodi, Caliceti difende la scuola pubblica italiana – una delle migliori al mondo per qualità di insegnamento – e provoca i genitori: l’istruzione primaria non è una bambinaia che tiene impegnati i loro figli per qualche ora al giorno, l’istruzione primaria è il momento fondamentale della loro formazione. Una formazione che va oltre le continue riforme, i ridimensionamenti di materie e personale docente, la fatiscenza delle strutture scolastiche. Una formazione che da sempre deve insegnare la condivisione. La scuola pubblica non è morta, e ricostruirla dall’interno è un dovere.

Una segnalazione e una recensione tratte dal Blog di Giorgio Morale:

http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2011/10/03/vivalascuola-89/

Informare, criticare, narrare

di Alessandro Cartoni Giuseppe

Era forse venuto il momento che qualcuno assolvesse a un pubblico e necessario servizio: informare i genitori italiani su quello che sta accadendo alla scuola del paese. Lo fa con intensità di militante, con passione di maestro e grande forza narrativa Giuseppe Caliceti nel suo Una scuola da rifare. Lettera ai genitori.  Il libro raccoglie come in un abecedario oppure, se vogliamo, un diario di bordo, gli articoli che l’autore è venuto pubblicando negli ultimi anni su importanti siti web  sui quotidiani. Quello che costituisce il nocciolo di tali interventi, nati nella diversità dei tempi e delle occasioni, è comunque la cronaca puntuale, persino giornaliera di quello che potremo chiamare, con un termine di Franco Frabboni, “l’assalto finale” alla migliore scuola italiana. Caliceti in uno stile indignato ma responsabilmente volto agli utenti della scuola, racconta ai genitori come si è avviato, come si è sviluppato, con quali giustificazioni ideologiche è proseguito e infine come è deflagrato, nel silenzio politico e civile, lo smantellamento della scuola primaria italiana, anche quella emiliana, che di questo paese era la punta di diamante. La cronaca della disfatta parte ovviamente da lontano ma è seguita passo passo, in una fenomenologia della fine, che ha lo scopo di ricordarci quanto sia facile distruggere quello che è stato fatto in anni di esperienze e di lavoro collettivo, ma come sia poi difficile ricostruire dopo il disastro. In questo libro vi parlerò di cosa fanno i vostri figli a scuola. E di come la scuola oggi… è cambiata in peggio: a tal punto che si è messo a repentaglio il suo normale funzionamento. Ma vi parlerò anche della scuola che abbiamo abbandonato. E di quella che vorrei.

Quello che emerge dal libro in effetti non è solo la cronaca di una morte annunciata, ma anche la narrazione della vita scolastica di ogni giorno, fatta di condivisione, complessità delle esperienze, crescita dell’autonomia, dello spirito critico e della cittadinanza. E’ facile ammettere dunque che la parte più bella del libro è quella che racconta il vissuto scolastico dei bambini, che dà loro la voce, i gesti, la corporalità e soprattutto l’inesausto domandare che della scuola primaria è la sostanza ineludibile. Di fronte a questa scuola che si fa di giorno in giorno, che accosta saperi  pluridisciplinari, che unisce il metodo, la scienza e la creatività, che mette in relazione adulti e bambini, testo e contesto, aule e città, la scuola di Gelmini appare per quello che è: una pallida farsa. Per altro tenuta in piedi solo dalla bieca necessità di far quadrare i conti. Sulla retorica del maestro unico o prevalente ci sono righe sarcastiche e lucide di Caliceti che vale la pena citare: Ho conosciuto un maestro unico che faceva lavare la lingua ai suoi alunni col sapone se dicevano parolacce. Ho conosciuto una maestra unica che da anni salta regolarmente le pagine del sussidiario in cui si parla di come l’uomo è disceso dalle scimmie, perché secondo lei è volgare. Con più docenti, l’alunno è più protetto. E la visione del bambino restituita ai genitori è più complessa, ma anche più veritiera.

In un tempo misero e vile come il nostro dove si moltiplicano gli attacchi (da destra e sinistra) alla scuola pubblica (e pluralistica), un altro degli elementi del libro che si impone per il coraggio con cui l’autore lo persegue è la battaglia per restituire alla scuola la sua laicità. Non si tratta qui di un atteggiamento ideologico o anticattolico, ma semplicemente della necessità di salvaguardare democraticamente le differenze di una istituzione che accoglie ormai cittadini di diversa provenienza culturale e religiosa.  Le ore di religione sono le uniche in cui la classe si divide. Al di là di tutte le nostre belle parole di adulti, il messaggio che diamo ai bambini è questo: la religione più di ogni altra materia, divide invece di unire. Non si capisce – o meglio lo si capisce anche troppo bene a causa del sistematico interventismo del Vaticano nelle scelte istituzionali – dicevo, non si capisce perché in Italia non si dovrebbe studiare la storia delle religioni, come succede in altri paesi europei invece della mera dottrina cattolica. Ad alimentare questa discriminazione è salita alle cronache anche la crociata per la parità scolastica che si concretizza come una richiesta esplicita di finanziamenti alla scuola privata (cattolica) contro il dettato costituzionale. Il papa qualche giorno dopo aggiunge: “gli aiuti per l’educazione religiosa dei figli sono un diritto inalienabile”. Da sempre in Italia si straparla di parità tra scuola pubblica e scuola privata. Ebbene anch’io vorrei la parità. Vorrei che la scuola pubblica fosse trattata dal governo italiano come la scuola privata e i fondi tagliati fossero ripristinati per entrambe.

Del resto siamo sicuri che una scuola che lascia in mano ai parroci o ai catechisti l’educazione (religiosa e morale) dei bambini sia la migliore per i nostri figli? C’è un raccontino di Caliceti che parla dei suoi primi tempi da maestro nella scuola elementare del Guazzaro lungo l’argine dell’Enza tra Sant’Ilario e Montecchio. In quell’anno Caliceti delega a una collega e a dei tirocinanti della scuola superiore cattolica l’insegnamento della religione nella sua classe. Vedo cose che mi lasciano perplesso, che mi inquietano. I pochi alunni appartenenti a famiglie non cattoliche sono fatti traslocare negli ultimi banchi e sono zittiti con frasi del tipo “Taci tu che non vai neppure a messa” o “Ma che cosa vuoi sapere tu” Alcune volte a pronunciarle è il parroco in persona (…) Un’altra mattina a un bambino che parla mentre lui fa lezione, si muove, fa cadere gomme e matite, dopo una decina di richiami verbali dice: guarda che se non ti metti subito a fare il bravo tua mamma va in cielo. Del resto se il sistema formativo viene taglieggiato come avviene in Italia, non per questo diminuiscono le agenzie formative, anzi. La formazione diventa un affare pagato a peso d’oro, e pretende di supplire, come spiega Caliceti, ai buchi sempre più grandi della scuola pubblica. Si comincia dall’università, si passa alla scuola superiore dove sempre più spesso vengono chiesti fondi ai genitori per attività particolari e si finisce con la scuola primaria. E’ così che avanza un modello aziendalistico e privatistico che ha come scopo quello di convincere il “vecchio mondo” che si può anche fare a meno dei docenti e che il “nuovo apprendimento”, come scrive l’Ocse in un suo documento, può essere garantito da “prestatori di servizi educativi”.

Per quanto ancora la nostra Costituzione potrà considerare la scuola pubblica il fulcro del “diritto gratuito all’istruzione”? Colpire la Costituzione significa dunque introdurre strategie per stravolgere il rapporto stato-cittadini e conseguire così il risultato di rendere fosco, debole, non necessario e dunque opzionale il rapporto docente-discente, perché troppo costoso. In questa direzione va dunque il massiccio licenziamento di circa 140.000 insegnanti, il più grande e doloroso nella storia della repubblica. Che succede? In un mondo sempre più globalizzato in cui i cambiamenti sono velocissimi, si prende atto che le scuole statali, nate all’inizio del Novecento, nate per alfabetizzare e rendere coese le nazioni, sono sorpassate. Ma invece di ripensarle rifondarle attraverso serie riforme, i governi occidentali mostrano una fortissima tentazione di appaltarle a privati che promettono di supplire alle carenze facendo leva su una forte modernizzazione che ha come stella polare la cieca fiducia nella tecnologizzazione degli apprendimenti, dei saperi  e delle conoscenze. E’ oramai chiaro a tutti che la scuola voluta da Gelmini in ogni ordine e grado si presenta come una scuola precettistica, volutamente arcaizzante, premoderna (nonostante il TIC) che sotto l’alibi dei presunti valori formativi reintroduce surrettiziamente (ma neppure tanto surrettiziamente) forme di obbedienza cieca e formale, assenza di spirito critico e di collaborazione, graduale scomparsa della coscienza civile, elementi di valutazione quantitativa che isolano e frammentano la personalità dell’alunno e ne danno un’immagine se non deformata, del tutto ridotta. Una scuola pret-a-porter e discriminante.

Ma se applichiamo la ricetta Gelmini, vale a dire: riduzionismo nelle pratiche educative, riduzionismo nei contenuti culturali, riduzionismo nei metodi e negli strumenti, negli ambienti e nelle risorse umane (non dimentichiamo lo scandalo pressoché ubiquitario della mancanza di sicurezza nelle aule e negli edifici), se appunto portiamo, come sta accadendo, alle loro logiche conseguenze gli effetti del disastro, quale sarà il risultato politico e sociale? … Si investe sempre meno sulla formazione. Non si richiede più a bambini e ragazzi di pensare. A volte pare superfluo, pericoloso. La nostra non è più solo una scuola per diventare cittadini e consumatori. Ma cittadini e consumatori scadenti: gente che deve eseguire correttamente, obbedire, adattarsi in fretta, non rompere le palle. Nondimeno, ci spiega Caliceti, non è detto che il progetto vada in porto. E non solo perché il futuro non è scritto, ma anche perché l’attacco di Gelmini e dell’attuale premier alla libertà di espressione e di pensiero (basterebbe ricordare le esternazioni sugli insegnanti inculcatori), si configura come un attacco non a una categoria specifica ma all’intero corpus e allo spirito della nostra Costituzione. Questo in effetti dovrebbe farci riflette e reagire, come dovrebbe far riflettere reagire tutti i genitori italiani nella diversità degli orientamenti politici e delle opinioni. Non si educa un bambino a un ruolo, a una funzione: per quello bastano delle istruzioni, i bambini sono persone. A scuola si educa a essere persone. Come? Educando a star bene a scuola. Promuovendo pratiche di ascolto e favorendo momenti di riflessione comuni. Migliorando la padronanza della lingua di ogni alunno. Facendone cogliere le potenzialità espressive. Cercando di stimolare e promuovere la spontaneità, l’immaginazione e un’idea di creatività non romantica, individuale ma collettiva. Provando a sviluppare le abilità comunicative degli alunni, verbali e non verbali. Tentando di migliorarne le capacità di ascolto e di giudizio, le abilità relazionali. Sviluppando l’attitudine all’osservazione di sé, degli altri, dell’ambiente in cui vivono. Aumentando le loro capacità di esplorazione delle situazioni. Favorendo la conoscenza reciproca e il confronto con le parole, le emozioni, le idee degli altri. Nel 2008 il ministro Tremonti abbatte la scure dei tagli sulla scuola e poco dopo la ministra Gelmini annuncia la sua riforma. Le piazze si riempiono di migliaia di docenti che protestano contro lo smantellamento della scuola pubblica. A distanza di diversi mesi, cosa rimane di quella protesta? E – soprattutto – cosa rimane della scuola pubblica?

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