Kimura Bin: tempo vissuto e angoscia originaria

domenica, 29 Marzo, 2009
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Come Binswanger e Minkowski, Kimura Bin (in: Scritti di Psicopatologia e Fenomenologia) concentra spesso le proprie analisi della psicosi intorno alle modalità del tempo vissuto; in particolare, se in tutte le manifestazioni psicopatologiche si può ritrovare l’angoscia come fenomeno comune, Kimura si chiede se a ciascuna modalità specifica di fare esperienza del tempo corrisponda un tipo di angoscia differente.

Una prima forma di angoscia, per esempio, sembra legata all’autonomia del soggetto e si manifesta nel timore di “non poter arrivare a sé stessi”: il soggetto, infatti, non è un dato acquisito e stabilito una volta per tutte, piuttosto qualcosa da acquisire sempre nuovamente nell’incontro con l’altro e con il mondo, cioè in relazione con il “non-me”. L’angoscia di non realizzare la propria appartenenza a sé stessi, secondo Kimura, può prendere la forma di ansietà per l’avvenire nel suo essere sconosciuto e si osserva tipicamente negli individui schizofrenici. E’ un’angoscia determinata dal senso di imprevedibilità, “dal fatto che potrebbe succedere in qualsiasi momento qualche cosa che non è ancora presente”; contemporaneamente, si manifesta un’indifferenza stupefacente riguardo a ciò che si offre nel momento attuale o riguardo alle cose la cui presenza è, in qualche modo, assicurata.
Una seconda forma di angoscia è caratteristica degli stati melanconici e si presenta come preoccupazione di non poter rimanere nell’attuale assetto del proprio mondo personale: il tempo vissuto è così dominato da un’inclinazione verso il passato, “verso l’essere vissuto fino a quel momento”, a cui il pensiero si aggrappa non sopportando le crisi che mettono a repentaglio l’ordine del mondo conosciuto, dal quale deriva ogni prospettiva.

Si potrebbe notare, credo, una certa sintonia tra questo aspetto della tipologia melanconica e il rapporto con la temporalità che si accompagna alla schizofrenia: se quest’ultima, infatti, tende all’immobilità e si angoscia rispetto all’avvenire sconosciuto, il melanconico, così drammaticamente vincolato all’ordine attuale del suo mondo, si salvaguarda, a suo modo, dall’imprevedibile. La stessa tipica auto-accusa del melanconico potrebbe rappresentare per lui un modo meno angosciante di pensare il divenire riversando la dimensione del futuro nel passato: lo sguardo del melanconico cerca di ignorare l’apertura verso la possibilità, che implica il contatto con l’imprevedibile, rivolgendo ogni attenzione agli eventi già accaduti che, in quanto tali, sono più rassicuranti; anche Binswanger notava che proprio quando il tema melanconico cessa le sue trasformazioni, può irrompere una sensazione di vuoto e determinazione al suicidio (“Poi non si ha proprio più nulla al mondo”, diceva lo scrittore Reto Roos).

L’immobilità schizofrenica, così come l’autoaccusa melanconica si presentano in questa prospettiva come declinazioni differenti di un’unica forma di angoscia originaria. Mentre l’angoscia schizofrenica deriva dallo sforzo disperato per afferrare l’avvenire sconosciuto alla ricerca di garanzie contro l’imprevedibilità degli eventi, quella del melanconico, al contrario, afferra il soggetto quando egli cerca, invano, il conosciuto, nell’identico tentativo di assicurare stabilità al proprio mondo e vissuto personale.
L’angoscia originaria che “rende possibile tutti gli altri tipi di angoscia”, è rappresentata, secondo Kimura, dai momenti di profonda destrutturazione e disordine caratteristici degli stati epilettici. L’angoscia che si prova in questi casi, che i malati spesso associano alla sensazione “che l’universo intero sprofondi nell’inferno”, sembra legata, secondo Kimura, ad una percezione del tempo come puro presente. Kimura nota anche come questo “momento epilettico” di riduzione della temporalità al presente istantaneo e puntiforme possa avere un ruolo in diverse tipologie di disturbi mentali, come ad esempio nella psicosi maniacale o nella tossicomania.

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