You won’t find consciousness in the brain (by Ray Tallis)

mercoledì, 20 Gennaio, 2010
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Ray Tallis, professore di medicina geriatrica presso l’Università di Manchester e membro dell’Accademia delle Scienze Mediche, in un articolo pubblicato sulla rivista New Scientist del 7 gennaio 2010, sostiene che sia impossibile studiare la coscienza con gli strumenti della moderna neurofisiologia.

Per Tallis, la convinzione che ci sia una correlazione fra la coscienza e quell’attività neurale misurabile con gli strumenti della neurofisiologia è completamente errata. Non tanto a causa delle limitazioni tecniche degli strumenti utilizzati, quanto perché fondata su una confusione filosofica profonda. La sua bocciatura, quindi, è assoluta. Perché sarebbe proprio il metodo di indagine adottato ad essere errato.

Il professore di Manchester sostiene che ci sono ancora moltissimi aspetti della coscienza che resistono alla spiegazione neurologica. E tali resteranno, perché l’incapacità di spiegare la contemporanea unità e molteplicità della consapevolezza, l’avvio dell’azione, la costruzione del sé, il libero arbitrio e la presenza esplicita del passato, non dipende da incapacità tecnica, ma dalla natura auto-contraddittoria del compito.

Esiste una separazione fra gli oggetti della scienza e i contenuti della coscienza. La scienza incomincia proprio nel momento in cui si rifiuta l’esperienza soggettiva per realizzare delle misurazioni oggettive, mentre la coscienza individuale è necessariamente soggettiva.

Riprendendo un’affermazione di John Searle, Slusser Professor of Philosophy presso la Berkeley University of California, possiamo dire che l’attività neurale sta alla coscienza come le molecole di H2O stanno alle caratteristiche tipiche dell’acqua, ossia l’umidità, la brillantezza, la possibilità di poter essere ghiaccio, vapore, liquido, ecc …

Se vediamo una molecola di H2O non possiamo, certo, dire che stiamo osservando del ghiaccio: con la sua temperatura, la sua consistenza e il suo colore. Allo stesso modo, quando studiamo l’attività neurale, non possiamo ritenere di star analizzando la coscienza.

In sostanza, fra i neuroscienziati e i filosofi della mente ci sono due schieramenti: da un lato chi ritiene sia possibile spiegare tutti i misteri della coscienza umana attraverso l’osservazione dell’attività cerebrale, e dall’altro chi contesta questa tesi mettendo in discussione la precisa correlazione fra misurazione elettrica e coscienza.

Questo scontro, che può sembrare solo accademico, ha, invece, grandissime conseguenze nella vita reale. Stabilire che si è coscienti solo in presenza di attività cerebrale equivale ad autorizzare il “distacco della spina” ai pazienti in stato vegetativo. Se, invece, si ammettesse che la coscienza di sé è disgiunta dalle misurazioni neurofisiologiche, bisognerebbe trovare un nuovo confine che separi la vita dalla morte.

Un tempo si considerava morto chi non aveva attività cardiaca, mentre oggi, solo chi ha un elettroencefalogramma piatto. Un domani potrebbe essere necessario un nuovo esame per stabile la cessazione della vita. L’articolo di Ray Tallis, che riportiamo qui di seguito, e gli scenari che propone, travalicano i confini dello scontro accademico per coinvolgere gli aspetti etici, morali e religiosi dell’esistenza umana.

MOST neuroscientists, philosophers of the mind and science journalists feel the time is near when we will be able to explain the mystery of human consciousness in terms of the activity of the brain. There is, however, a vocal minority of neurosceptics who contest this orthodoxy. Among them are those who focus on claims neuroscience makes about the preciseness of correlations between indirectly observed neural activity and different mental functions, states or experiences.

This was well captured in a 2009 article in Perspectives on Psychological Science by Harold Pashler from the University of California, San Diego, and colleagues, that argued: “…these correlations are higher than should be expected given the (evidently limited) reliability of both fMRI and personality measures. The high correlations are all the more puzzling because method sections rarely contain much detail about how the correlations were obtained.” (read more on New Scientist Web site)

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