La felicità della cultura. Simonetta Fiore sull’ultimo saggio di Gustavo Zagrebelsky, pubblicato da Einaudi

domenica, 2 Febbraio, 2014
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E se davvero ci fossimo ridotti come Funes “el memorioso”, che ricordava tutto ma non capiva niente? Il sospetto è avanzato dal nuovo saggio di Gustavo Zagrebelsky, Fondata sulla cultura, che sceglie il personaggio di Borges come emblematico delle dissennatezze presenti (Einaudi, pagg. 110, euro 10). Capace di ricordare ogni dettaglio, anche il più insignificante, Funes però non sa pensare. Le idee generali gli sfuggono. Nella sua mente sovraccarica di elementi infinitesimali, non c’è spazio per concetti compiuti. E che c’entriamo noi con questo prodigioso matto, che «sapeva le forme delle nubi astrali dell’alba del 30 aprile 1882 e poteva confrontarle nel ricordo con la copertina marmorizzata d’un libro visto una sola volta»?

C’entriamo eccome, ci dice Zagrebelsky. Questa è la condizione in cui ci conduce il sapere iperspecializzato, suddiviso in competenze differenziate e sempre più piccole, e soprattutto sprovviste di una cornice comune. E a questo ci costringe anche una politica incapace di uno sguardo generale, una politica che risponde alla disgregazione sociale perseguendo l’interesse di ogni minima categoria e rinunciando a un quadro d’insieme. «Le ideologie», scrive lo studioso, «sembrano cose d’altri tempi. Crediamo che ciò sia perché hanno dato cattiva prova di sé, nel secolo scorso. Forse, invece, è perché stentiamo a raffigurare la straordinaria frammentazione sociale in qualche idea complessiva».

Una singolare forma di miopia colpisce il nostro sguardo, che è poi la malattia del “memorioso”. La vista diventa «acuta, acutissima sui particolari», ma «cieca di fronte a ciò che li dovrebbe tenere insieme, cioè a ciò che è generale». Da qui la missione che investe tutti, a partire dagli intellettuali di professione: restituire la vista alla politica. E restituire alla cultura la sua funzione originaria, ossia fungere da collante di una società. Una funzione ribadita anche dalla carta costituzionale, nell’articolo 33, formulato per difenderne l’autonomia dal potere e dal mercato.

Quella del rapporto tra politica e cultura è una lunga e travagliata storia, che è andata esaurendosi in Italia tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Un divorzio progressivo che ha impoverito la politica, schiacciata sul “giorno per giorno”. E ha messo ai margini la figura del maître à penser, caricaturizzata dallo Zeitgeist contemporaneo in pallone gonfiato o in accademico polveroso, incapace di misurarsi con la cultura di massa. Un nome, quello di intellettuale, che oggi è perfino imbarazzante pronunciare, scrive Zagrebelsky. Ma non è sua preoccupazione riabilitare la categoria, coprotagonista non certo innocente del graduale decadimento. Ciò che sembra stargli più a cuore è “la felicità delle idee”, senza le quali non esiste la libertà dal senso comune e dal conformismo.

(continua la lettura su Repubblica.it)

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3 commenti a La felicità della cultura. Simonetta Fiore sull’ultimo saggio di Gustavo Zagrebelsky, pubblicato da Einaudi

  1. Stefano Cardini
    domenica, 2 Febbraio, 2014 at 23:18

    Tenere il più possibile in ordine il campo di gioco. Comunque la si pensi sui giocatori, sull’andamento della partita e persino sulle regole del gioco. Questa, a mio parere, è la priorità dell’attività culturale, che poi coincide con il suo nocciolo filosofico. Essa non è però necessariamente qualcosa di slegato da altre attività della vita, dall’economia alla politica. Ognuna di queste, infatti, ha in sé la possibilità di mantenere aperto l’interrogativo sul senso delle proprie operazioni, che non è altro che il proprio ancoraggio alla cultura. La sopravvalutazione di questa possibilità, però, e le inevitabili disillusioni che ne sono seguite, dovute non di rado alla sovente invincibile tentazione di molti uomini di cultura di preoccuparsi di prendere posizione in campo più che non di tenerlo per quanto possibile in ordine, l’hanno circondata di un alone di scetticismo e discredito. Questo andrebbe capito: ogni attività non eminentemente culturale, sarà sempre insoddisfacente per l’uomo di cultura. Accettarlo e tuttavia non disertare è la cosa più difficile. Ma è anche il compito più elevato che la cultura si deve prefiggere.

  2. lunedì, 3 Febbraio, 2014 at 22:27

    Eppure non ricordiamo con ammirazione, e giustamente non rendiamo onore, a tutti coloro che “non presero posizione” pubblica, e limpida, di fronte all’inaccettabile, nel lungo Novecento. Non ricordiamo affatto con gratitudine gli intellettuali italiani che si limitarono a fare il loro mestiere – che pure è un modo di tenere in ordine il campo, chi può contestarlo – quando gaglioffaggine e prepotenza si erano impadronite del potere di fare le leggi e di calpestarle, come purtroppo nella storia italiana è quasi sempre avvenuto e continua ad avvenire. E anche Gustavo Zagrebelsky, autore del libro recensito, non vede certo il respiro largo, la vista lunga delle idee come un’alternativa al prendere posizione – limpida e pubblica – quando si debba. Credo semmai che questo libro rilanci la questione più necessaria, quella che Guido Calogero sintetizzò ammirevolmente con queste parole: “Come possiamo essere impegnati senza essere fanatici, e come possiamo essere tolleranti senza essere indifferenti?”

  3. Stefano Cardini
    lunedì, 3 Febbraio, 2014 at 23:49

    «Ogni attività non eminentemente culturale, sarà sempre insoddisfacente per l’uomo di cultura. Accettarlo e tuttavia non disertare è la cosa più difficile. Ma è anche il compito più elevato che la cultura si deve prefiggere». Non voleva essere un invito a non prendere posizione, limitandosi “a fare il proprio mestiere”. Semmai, a prenderla senz’altro, ma sempre custodendo quell’inquietudine preziosa che all’uomo di cultura viene dal serbare al fondo del suo cuore proprio quella domanda di Calogero. Così da accettare, magari, di non essere sempre in grado di pronunziare il proprio “sì, sì, no, no”. Non è vero, infatti, che il di più debba sempre venire dal maligno, come pure autorevolmente fu detto 😉

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