Origini d’Europa/7- Giustizia e legalità

martedì, 17 Febbraio, 2015
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Giustizia e legalità

Una buona introduzione ad una definizione di Giustizia è la contrapposizione tra il modello dell’uomo in consorteria (descritto da Etienne De la Boetié nel brano riportato in precedenza) che è oggettivamente la tendenza a co-operare non nel rispetto del dovuto, ma conformemente al vantaggio dei cooperanti qualunque sia lo svantaggio di terzi estranei all’accordo di cooperazione, e quindi della comunità più vasta cui il gruppo di cooperanti appartiene e il comportamento degli onesti descritto nell’apologo di Calvino: “in quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro – gli onesti – erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare”.

Proviamo a questo punto a dare una definizione di Giustizia:

“Se giustezza […] è l’esatta misura del dovuto a un essere (per esempio la giusta altezza di una nota, la giusta misura di una lezione), la “giustizia” nel senso più profondo o specifico si ha quando l’essere cui è dovuto il “suo” è un essere umano. Ma in tutti i casi giustizia è la norma di un dovuto, di un dovuto indipendente dal volere umano, e al quale il volere umano può non conformarsi, ma dovrebbe farlo: un dovere.

Abbiamo dunque doveri nei confronti di ogni cosa, e non soltanto delle altre persone e di noi stessi – siamo per così dire responsabili di una parte di cosmo che abitiamo.” da La Questione civile di Roberta De Monticelli (pag. 73)

“La nozione di obbligo sovrasta quella di diritto, che le è relativa e subordinata. Un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo cui corrisponde; l’adempimento effettivo di un diritto non proviene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa.” Da La prima radice, (1943) di S.Weil

Rifacendoci ancora a quanto dice Roberta De Monticelli nel suo La Questione civile, questo «dover essere» proprio delle persone e delle cose esprime una [117] esigenza ideale, un dover essere prima che il dovere pratico di qualcuno. [12 ] Come ogni valore, la giustizia non vive certamente tutta intera nelle sue realizzazioni, ma nella coscienza che prendiamo di sempre nuovi aspetti del giusto, e della lontananza del suo ideale dal poco realizzato. [105] E queste esigenze ideali definiscono l’ambito dei progetti alternativi, e il campo di battaglia della politica (della politica, non della morale) – o, per lo meno, della sua parte migliore. Ci possono essere svariati modi di ”rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione pubblica, economica e sociale del Paese” – come recita l’articolo 3 della nostra Costituzione -, cioè diversi programmi politici.

E così la Giustizia può mettere in discussione la legalità intesa come rispetto delle regole date nelle prescrizioni di legge. Può infatti capitare che non tutte le regole siano esigenze ideali e non tutte le esigenze ideali siano regole.

L’immortale tragedia di Sofocle è il contrasto tra ius e lex i quali hanno entrambi un loro valore: l’Antigone è la tragedia, perennemente attuale, del dovere di scegliere tra questi valori, con tutte le difficoltà, gli errori e anche le colpe che questa scelta, nelle singole circostanze storiche, implica. La legge positiva, di per sé, non è legittima, nemmeno quando nasce da un ordinamento democratico o dal sentimento e dalla volontà di una maggioranza, se calpesta la morale; per esempio una legge razzista, che sancisca la persecuzione o lo sterminio di una categoria di persone, non diventa giusta, neanche se viene votata democraticamente da una maggioranza in parlamento regolarmente eletto, cosa che potrebbe accadere o è accaduto. (1)

ISMENE: Che c’è? Qualche tuo detto oscuro sembrami. ANTIGONE: Non sai tu che Creonte, onor di tomba concesse all’uno dei fratelli nostri, l’altro mandò privo d’onore? Etèocle, come la legge e la giustizia vogliono, sotto la terra lo celò, ché onore fra i morti avesse di laggiù; ma il corpo di Poliníce, che perì di misera morte, ha bandito ai cittadini, dicono, che niun gli dia sepolcro, e niun lo gema, ma, senza sepoltura e senza lagrime, dolce tesoro alle pupille resti degli uccelli, che a gaudio se ne cibino. Questo col bando impose il buon Creonte a te, dicono, e a me – lo intendi? a me! – e che vien qui per proclamarlo chiaro a chi l’ignora; e che non prenda l’ordine alla leggera; e chi trasgredirà, lapidato morir dovrà dal popolo della città. Son questi i fatti. E presto mostrar dovrai se tu sei generosa, o se, da buoni uscita, sei degenere. ISMENE: Se a questo siamo, o sventurata, come stringere io mai potrei, sciogliere il nodo? ANTIGONE: Vedi, se oprare vuoi, meco affrontare… ISMENE: Quale cimento? Il pensier tuo dov’erra? ANTIGONE: Se dar sepolcro vuoi meco al defunto. ISMENE: Vuoi seppellirlo, e la città lo vieta? ANTIGONE: Anche se tu rifiuti: traditrice niun potrà dirmi: è mio fratello e tuo. ISMENE: Quando Creonte fa divieto, o misera? ANTIGONE: Strappar non mi potrà da chi m’è caro!”

“CREONTE (Ad Antigone) E in breve tu di’, senza ambagi: il bando che vietava di far ciò che facesti, era a te noto? ANTIGONE: Certo. E come ignorarlo? Esso era pubblico. CREONTE: E pur la legge violare osasti? ANTIGONE: Non Giove a me lanciò simile bando, né la Giustizia, che dimora insieme coi Dèmoni d’Averno, onde altre leggi furono imposte agli uomini; e i tuoi bandi io non credei che tanta forza avessero da far sì che le leggi dei Celesti, non scritte, ed incrollabili, potesse soverchiare un mortal: ché non adesso furon sancite, o ieri: eterne vivono esse; e niuno conosce il dì che nacquero. E violarle e renderne ragione ai Numi, non potevo io, per timore d’alcun superbo. Ch’io morir dovessi, ben lo sapevo, e come no?, pur senza l’annuncio tuo. Ma se prima del tempo morrò, guadagno questo io lo considero: per chi vive, com’io vivo, fra tante pene, un guadagno non sarà la morte? Per me, dunque, affrontar tale destino, doglia è da nulla. Ma se l’uomo nato dalla mia madre abbandonato avessi, salma insepolta, allor sì, mi sarei accorata: del resto non m’accoro. Tu dirai che da folle io mi comporto; ma forse di follia m’accusa un folle.”

A questo punto – prosegue Claudio Magris nel suo articolo – sorge un interrogativo terribile, a sua volta tragico: come si fa a sapere che quelle leggi non scritte sono degli dei, ossia sono dei principi universali, e non invece arcaici pregiudizi, cieche e oscure pulsioni del sentimento, condizionate da chissà quali vincoli atavici? […]La tragedia, ma anche la dignità umana consistono nel fatto che a questo dilemma non c’ è una risposta precostituita; c’ è solo una difficile ricerca, non esente da rischi, anche morali. […]Ancora una volta l’ Antigone, dopo 2500 anni, parla a una generazione del suo presente, parla a noi del nostro presente. Il diritto naturale, con i suoi inviolabili principi universali umani, si contrappone alla norma positiva ingiusta; la legittimità nega la legalità iniqua. Lo Stato è servitore del bene comune e quand’ esso invece lo opprime l’ ubbidienza alle sue leggi ingiuste diventa una colpa,. un peccato, dicono i teologi, e la ribellione un dovere. Ma, per non cadere in un’ altra colpa, ossia per non travolgere la legalità, insostituibile tutela civile e democratica dell’ individuo, con una legittimità che, proprio perché vaga e giuridicamente infondata, non sarebbe altro che un’ ideologia potenzialmente totalitaria come ogni ideologia, c’ è un’ unica strada, come ricorda Norberto Bobbio: battersi per creare una legalità più giusta senza limitarsi a contrapporre le “voci del cuore” alle norme positive, ma facendo diventare norme, nuove norme più giuste, quelle voci del cuore, trasformandole e sottoponendole alla verifica della coerenza logica e delle ripercussioni sociali; verifica propria a ogni norma e alla sua creazione.

E in questo ci può aiutare, come descrive Roberta De Monticelli ne La Questione civile, la nostra natura di [138] animale normativo, che appunto non agisce in base a istinti o programmi interni ma in base a norme, e quindi può trasgredirle. [139-140] Nel modello della veglia morale la normalità umana è chieder ragione delle norme, è l’approfondimento indefinito ed in ogni rispetto di ciò che è dovuto, di ciò che la realtà delle cose e delle persone esigono da noi, e quindi è il dubbio sulla fondatezza dei doveri già dati. Ma soprattutto è l’iniziativa di “chiedere ragione”. La normalità come veglia, dubbio e ricerca è il contrario esatto della normalità come routine, indifferenza, inerzia. Questa è la via di Socrate per la quale è pur bello essere qui in Europa. [131] Il modello di normalità personale che abbiamo in mente quando parliamo di “personalità adulta” o “matura”, che possiamo caratterizzare attraverso le nozioni di autonomia e responsabilità, è una possibilità, non certo una necessità della nostra natura.

Al modello della veglia morale si contrappone il modello dell’uomo in consorteria che [143] non ha ancora trovato se stesso distinto dal noi collettivo: l’uomo che sembra non aver avuto accesso all’individuazione secondaria [144] allora in molti sensi “non si esce più di casa” – non si parte più per il viaggio più importante della vita, diventare se stessi. [130] All’educazione si sostituisce l’ipnopedia o condizionamento (2), e il sogno del Grande Inquisitore è pienamente attuato, anche grazie all’uso di antidepressivi. L’umanità è sana, prospera, pacifica e “felice”, finalmente e definitivamente sottratta ai tormenti della libertà personale.

(1) Claudio Magris “Chi scrive le non scritte leggi degli dei?” per l’articolo completo vai a http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/25/ANTIGONE_pieta_contro_legge_co_0_9605255938.shtml

(2) Per la manipolazione dell’uomo vedi “Il mondo nuovo” di Adolf Huxley e “1984” di George Orwell

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