Giovanni Piana: Roberta De Monticelli e “Il dono dei vincoli”

domenica, 6 Gennaio, 2019
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“Accingendomi a discorrere sull’opera di Roberta De Monticelli, Il dono dei vincoli, credo fin d’ora che mi sarà molto difficile mantenere quella riservatezza così tipicamente accademica, che tende a moderare elogi più che meritati e del resto anche ad esercitare la massima prudenza in critiche talvolta addirittura doverose, se non altro perché stimolano discussioni feconde. Così come non credo che riuscirò ad evitare di irrompere troppo vivacemente in prima persona, cosa anche questa contraria alle buone usanze. Temo addirittura di sfiorare talvolta la pagina di diario, quasi avessi letto in quelle pagine frammenti di un racconto che non appartiene solo all’autrice ed alla sua storia, ma anche alla mia.

Comincerò con un elogio: questo libro di Roberta De Monticelli è un libro splendido. Ma sono tentato di dire un’altra parola: non è soltanto un libro splendido, ma è soprattutto un libro splendente. Nel contenuto, anzitutto; ma anche nello stile: è raro trovare un testo filosofico che parli un linguaggio tanto diretto, che sia ricco di riflessioni e di preziose informazioni, ma che nello stesso tempo faccia della chiarezza e della franchezza la propria regola, evitando inutili esibizionismi di dottrina. In realtà, l’autrice fa valere anzitutto per se stessa quella luce delle parole da lei evocata in varie formulazioni come un indice importante della serietà della filosofia. Ma è raro anche trovare insieme, e tutti assolti con grande soddisfazione di chi legge, scopi e obbiettivi differenti.

Questo libro ha carattere introduttivo, come suggerirebbe il sottotitolo “Per leggere Husserl”? Si potrebbe rispondere di sì – perché può essere letto anche da parte di “principianti della filosofia” e che poco o nulla sanno di fenomenologia. Ma altrettanto legittima sarebbe una risposta negativa. Non è un libro introduttivo per due diverse ragioni: in primo luogo esso traccia un’immagine a tutto tondo, un vero e proprio ritratto filosofico di questo grande pensatore; ed in secondo luogo perché questa immagine è realizzata attraverso un’esposizione dei concetti fondamentali che ha il carattere di un’elaborazione teoretica autonoma dell’autrice: nell’uno come nell’altro caso con una capacità di sintesi che a sua volta si raccoglie, non più nel sottotitolo, ma nel geniale titolo principale, Il dono dei vincoli.

Naturalmente non è possibile, come si è tentati di fare nel corso della lettura, approfittare di questa sintesi, per “svolgerla”, ampliarla, svilupparla, estendere i temi in essa racchiusi, aprire discussioni, ed anche, naturalmente, formulare eventuali dubbi e perplessità. Qualcosa tuttavia si può tentare di dire.

A cominciare dalla Presentazione. In essa si apre un discorso di ampio respiro che non riguarda solo Husserl, ma che mostra l’orizzonte più ampio che ben presto caratterizzò il suo insegnamento nelle notevoli personalità che lo seguirono apportando contributi originali, forse primo fra tutti Max Scheler, la cui presenza risuona più di una volta in questo libro. Spingendosi anche a estendere questo orizzonte fino a tempi recenti e recentissimi.

Dalla lettura di questo inizio sono già tentato di sfiorare la pagina di diario. Me ne dà il destro ciò che Roberta De Monticelli dice intorno a Heidegger e all’heideggerismo. In molteplici altre occasioni essa ha manifestato una posizione nettamente contraria all’“onda heideggeriana” (DV, p. 14), e in particolare contraria all’equivoco di vedere Husserl dentro Heidegger, posizione che qui viene ribadita in modo veramente durissimo: attraverso Martin Heidegger la guerra che i nazisti hanno persa, in Italia è stata vinta dalla Germania sul terreno delle idee (Dv, p. 20).

A mia volta voglio rammentare che ancora in tempi recentissimi, Gianni Vattimo è arrivato a dichiarare che «si può dialogare con Heidegger solo avendo un interesse religioso» ed a esprimere l’intenzione di scrivere «un libro sul cristianesimo e Heidegger» (Cs, 28 luglio 2018): che sarà indubbiamente, mi permetto di aggiungere, il capolavoro della sua attività filosofica.

A dire il vero, Roberta De Monticelli, dopo aver riconosciuti i meriti di Enzo Paci per la diffusione del pensiero di Husserl in Italia e in particolare per aver promosso la traduzione della Crisi delle scienze europee, lamenta schiettamente anche il fatto che nella prefazione a quest’opera si dicono anche troppe cose, ma «non si fa un solo cenno alle circostanze in cui Husserl aveva scritto quelle pagine, nel cuore della Germania nazista» (Dv, p. 16).”

 

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