La scienza della felicità. Una giornata in ricordo di Giovanni Piana. Tavola rotonda: intervento di Stefano Cardini

lunedì, 15 Luglio, 2019
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Intervento di Stefano Cardini, Centro di Ricerca Persona, Università Vita-Salute San Raffaele, alla Tavola Rotonda tenutasi il 7 giugno 2019 in occasione della Giornata commemorativa di Giovanni Piana organizzata dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Milano:

La scienza della felicità
Una giornata in ricordo di Giovanni Piana

Quando Paolo Spinicci, che ringrazio, mi ha invitato a prendere parte a questa tavola rotonda mi sono chiesto quale contributo avrei potuto dare. Ho studiato e mi sono laureato con Giovanni Piana, certamente. Ma come molti altri studenti passati dall’Università degli Studi di Milano. Non sono un accademico e neppure uno studioso, almeno in senso professionale. Che cosa avrei potuto aggiungere a quello che altri ben più competenti invitati avrebbero detto?

Ho deciso così che non avrei parlato di quello che “il Professor Piana”, così lo voglio ricordare, ha scritto. Bensì di quello che non ha scritto, almeno che io sappia. O di cui non ha scritto quanto io, ma magari non solo io, avrei per anni desiderato. Questioni che mi hanno accompagnato fino a oggi e che credo continueranno ad accompagnarmi in futuro.

Una cosa che mi ha sempre affascinato dello stile filosofico di Piana, infatti, era quel suo modo estremamente libero di scegliere gli autori con cui confrontarsi: filosofi, musicisti, psicologi, antropologi, etnografi, matematici… E il suo modo, apertamente anticonvenzionale, di accostarsi ai loro testi, alle opere più note ma spesso anche alle minori, stringendo in un unico nodo rigore filologico e duttilità teorica. Accadeva così che, nel corso delle sue lezioni, ma anche nelle Annotazioni di cui punteggiava i suoi scritti, d’improvviso, e senza che questo interferisse con il suo discorso, accendesse un piccolo lume, una luce di candela appena, avrebbe detto con John Locke, a rischiarare una possibile deviazione, un possibile sviluppo del percorso, al quale pure non dava compiuto seguito. Era qualcosa che, ricordo, entusiasmava e indispettiva. Perché ci si chiedeva: «Vedi che l’ha studiata, quella cosa? vedi che ci ha pensato? Epperò…». Epperò niente. Inesorabili, si doveva riprendere la via sulla quale ci si era già incamminati, lasciandosi alle spalle quel lumino, un bagliore appena visibile ormai, o un “barlume”, come anni dopo avrebbe chiamato la sua raccolta filosofica di pensieri sciolti. Si era divenuti consapevoli di una possibilità, di un’apertura di senso. Ma per il momento questa doveva bastare. Era un esercizio di disciplina doloroso, ma formativo, per un’apprendista di una materia come la filosofia, così incline a divenire eccessiva, ridondante, persino dispersiva. Ma al tempo stesso un’antidoto contro ogni angustia, contro ogni tentazione di chiudere una volta per tutte i conti con chicchessia o considerare esaurito un tema.
Ne ricorderò qui alcuni, di quei barlumi. (read more)

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