Un bella Mostra: “ I Macchiaioli e l’invenzione del Plein Air tra Francia e Italia”. Di Giacomo Costa

lunedì, 20 Marzo, 2023
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Per qualche ragione, l’Italia sembra stare riscoprendo un gruppo storico di suoi grandi pittori, i famosi e semi-sconosciuti Macchiaioli. Negli ultimi due decenni in particolare le mostre soprattutto in Italia Settentrionale si sono succeduto a un ritmo incalzante, senza mai raggiungere la vetta odierna: all’inizio del 2023 sono (o sono state) in essere ben 4 mostre contemporaneamente: a Pisa, a Trieste, a Bologna, e, dal 18 Febbraio al 21 Maggio, alla Villa Reale di Monza.

Sino a poco tempo fa, la gente non conosceva e non si interessava dei Macchiaioli. Tanto che per attrarre il pubblico alle Mostre gli organizzatori sentivano il bisogno di suggerire un accostamento con gli Impressionisti francesi: i Macchiaioli se ne sarebbero ispirati e ne sarebbero stati una ignorata variante  italiana. Non era così e per ragioni stilistiche e addirittura cronologiche non poteva essere così: dato che i Macchiaioli incubarono i loro nuovi orientamenti  in infinite discussioni al Caffè Michelangelo di Firenze, il luogo dei loro quotidiani ritrovi, nella seconda metà degli anni Cinquanta dell’800 e la Macchia si sviluppò negli anno Sessanta, mentre il famoso Impressions de l’aube (o anche Impresssions du soleil levant) di Claude Monet, il quadro che diede inizio e nome al movimento, è del 1873! E tuttavia il vago sentimento di un’origine francese un fondamento l’ha, e questo viene bene illustrato sia dalla mostra di Pisa sia e soprattutto dalla mostra di Monza: si tratta dei Barbizonniers, un gruppo di pittori fieramente anti-accademici che si dedicarono alla natura ai boschi alla campagna come soggetti dei loro quadri ma anche come ambiente in cui vivere.  Barbizon era un villaggio nei pressi di Parigi e in prossimità di bellissime selve nelle quali i barbizonniers, ridivenuti selvaggi, si aggiravano per ispirarsi e trovare i soggetti per i loro quadri. I fratelli Palizzi e Serafino de Tivoli riportarono a Firenze le scoperte e anche un po’ lo spirito dei Barbizonniers.

E’ interessante il confronto delle mostra di Pisa, un clamoroso e inatteso successo di pubblico, con resse mai viste anche nei giorni feriali nelle stanze pur capaci del  Palazzo Blu, al punto da dover prorogare di tre settimane la chiusura, e questa di Monza. La mostra di Pisa ha conseguito un assetto che ormai si potrebbe chiamare classico. I quattro luoghi principali della Macchia: il golfo di La Spezia, l’Appennino Pistoiese, Castiglioncello, e Pergentina (una periferia di Firenze); i numerosi esponenti del gruppo, ad esempio Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Silvestro Lega, Vincenzo Cabianca, Cristiano Banti, Odoardo Borrani, Giuseppe Abbati, Raffaelo Sernesi; e le opere più note e celebrate, quelle che si trovano in ogni libro sui Macchiaioli, ad esempio la Signora al sole di Fattori, i Pascoli a Castiglioncello di Signorini, Gli Orti a Pergentina di Lega, la sublime Signora in giardino di Vito d’Ancona, sono tutti rappresentati. E il visitatore appassionato li ritrova di decennio in decennio, o di anno in anno, come dei vecchi amici. Ciò ha una spiegazione abbastanza semplice. Le istituzioni pubbliche che custodiscono questi quadri, e alle quali attingere per le mostre, sono principalmente due: la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze e il Museo Civico Giovanni Fattori a Livorno. Che si possa andare a conoscere la Macchia in queste due fondamentali sedi non è a mio avviso ancora noto al pubblico anche colto. Dovrebbe essere insegnato a scuola perché questi sono o dovrebbero diventare  luoghi fondanti della nostra Italia.

Ora, la mostra di Monza, pur mantenendo la struttura “classica” di cui sopra, non attinge celebrati quadri ai Pitti e al Museo Civico. Benché se si leggono gli epistolari dei Macchiaioli si trovino continui lamenti per la difficoltà di esitare i loro quadri, sebbene alcuni Macchiaioli, come Abbati, o Lega, abbiano a volte vissuto della generosità di Diego Martelli, il loro ospitale e comprensivo amico, o di Crisitano Banti, un collega a cui una notevole ricchezza capitò addosso all’improvviso, in un secolo e mezzo di storia successiva un collezionismo tacitamente cripticamente si è sviluppato. La Mostra di Monza è fatta di un’abile e forse prodigiosa attivazione del collezionismo privato. Come Simona Bartolena, la direttrice artistica della Mostra, e i suoi collaboratori ci siano riusciti non saprei dire. Sono poche le grandi opere esposte. La mostra è fatta in gran parte di rincalzi. Ma che rincalzi! Quadri o raramente visti o mai visti prima, e che probabilmente non si vedranno più,  che stupiscono ed esaltano per la nuovamente scoperta bellezza. e fanno amare i Macchiaioli ancor di più. Mi limito a citare Nuvole bianche e Bauco presso Roma di Giovanni Fattori, Vicolo di paese e Strada di paese di Vincenzo Cabianca, la Campagna con grano maturo e La salita del pellegrino di Silvestro Lega, Ritratto di fanciulla di Telemaco Signorini. Tutti quadri la visione di uno solo dei quali meriterebbe un salto alla Villa Reale di Monza.

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