2 GIUGNO. L’ART 11 E LA FORMA DELLA PACE – di Roberta De Monticelli

venerdì, 2 Giugno, 2023
By

Libertà e giustizia celebra la Festa della Repubblica con una serie di articoli – accessibili qui,  nello Speciale 2 giugno  – che commentano diversi articoli della Costituzione. Riprendiamo sul Lab il commento a quello che è oggi forse il più ferito dei Principi che ne costituiscono la prima parte, l’Articolo 11.

“La verità è che la guerra è un assassinio di massa, la più grande disgrazia della nostra civiltà; e che garantire la pace mondiale deve essere il nostro principale obiettivo politico, un obiettivo che viene molto prima della scelta fra democrazia e dittatura, o tra capitalismo e socialismo. Non esiste, infatti, la possibilità di un sostanziale progresso sociale finché non sia istituita un’organizzazione internazionale tale da impedire effettivamente la guerra tra le nazioni della terra” (Hans Kelsen 1944, La pace attraverso il diritto).

Due volte “mai più”

Queste parole danno forma a un sentire che fu universale, alla fine della Seconda guerra mondiale: quel “mai più” che già si era levato da tutta la terra alla fine della Prima, e tenne l’umanità intera appesa al filo della Nuova Alleanza promessa da Woodrow Wilson – pace giusta, non umiliazione dei vinti. I fondamenti della pace del futuro dovevano prevalere sugli interessi dei vincitori. Ma Wilson che voleva disarmare il mondo cede a poco a poco al compromesso: la pace da lui sognata, eterna e universale, “non ha preso forma dallo spirito umanitario e dalla pura sostanza della ragione” (Stefan Zweig). La prima “ora stellare” della nostra era si è dissipata a Versailles. Il mondo s’avvia di nuovo verso la guerra totale.

“Ha preso forma”, invece, questo grido, subito dopo la seconda apocalissi. Ha preso forma giuridica, cioè normativa e istituzionalmente incarnata insieme, nell’Organizzazione delle Nazioni Unite. “La comunità delle nazioni, per la prima volta, si fonda su un’organizzazione giuridica” (Valerio Onida). È l’Onu che per la prima volta nella storia umana fa intravedere la possibilità che dov’era la selva geopolitica ci sia l’ordine della legge: non una legge qualunque, ma una Costituzione per la Terra (Luigi Ferrajoli 2022): il diritto a un ordine sociale e internazionale (come enuncia l’articolo 28 della Dichiarazione Universale del ’48) in cui diventino effettivi tutti i diritti umani che le menti migliori e meglio dotate di buona volontà hanno elaborato nei tragici secoli della modernità. Scavando nella profondità informe del valore giustizia con il cesello della pari dignità di ognuno, fino a dar forma e norma a molti strati di ciò che riconosciamo dovuto agli umani come tali, cittadini di qualche stato o no, e indipendentemente da tutte le differenze etnica, culturale, sociale e di genere che ci fanno diversi e diseguali. E almeno una volta all’anno dovremmo tutti andarceli a rileggere, quei 30 articoli, come il cristiano prega almeno a Pasqua. Perché non hanno altra anima che il nostro attivo consentire, benché abbiano corpo nelle istituzioni di garanzia (troppo poche ancora) che dovrebbero attuarle. E dovremmo saperlo che la lettera è morta senza il soffio che l’anima.

Continua qui la lettura

Scarica qui il pdf.

 

Tags: , , ,

3 commenti a 2 GIUGNO. L’ART 11 E LA FORMA DELLA PACE – di Roberta De Monticelli

  1. domenica, 4 Giugno, 2023 at 00:37

    Ricostruzione storica che non sta in piedi. È come dire che Hitler andò al potere perché Francia e Inghilterra chiesero i danni di guerra. Chissà perché la colpa è sempre degli altri.

  2. Marco di Feo
    domenica, 11 Giugno, 2023 at 13:24

    Appunto: “un sentire che fu universale, alla fine della Seconda guerra mondiale”. La storia dell’umanità sembra mostrare una dinamica che si ripete con una tale regolarità, da rischiare di apparire come una caratteristica essenziale del suo Dasein. Ipotesi che per altro non possiamo accettare. Mi riferisco all’incapacità di mantenerci ancorati alle radici di un Logos assiologico rigoroso e profondo. Smarrimento della profondità da cui deriva un’indifferente supercialità, almeno fino a quando le vicende della vita (individuale), o della storia (collettiva) precipitano di nuovo. Occorrono davvero dure sconfitte, malattie o perfino lutti per ridestare le nostre coscienze individuali? Bisogna per forza ricadere ciclicamente in epoche oscure di morte, guerra e sopraffazione, per riscoprire il valore innegoziabile della pace e del diritto? Che cosa accade in noi dopo il ritorno della quiete e del benessere? Che cosa vela la memoria, fino a mistificare le vicende della nostra vita individuale e della nostra storia collettiva? Che cosa non ci permette di fare tesoro degli errori? Che cosa ci slega dai vincoli di una consapevolezza profonda e ci spinge in superficie, facendoci tornare a galleggiare “beati” e stolti, come canne in balia delle onde? La storia è colma di “ismi” (idealismi, spiritualismi, comunismi, individualismi, liberalismi, sovranismi, qualunquismi, etc.) che hanno trovato il loro “fondamento” nell’Ismo più universale e trasversale: il superficialismo. In questo modo, tutti questi “ismi”, ora sotto le mentite spoglie di una illustre teoria politica, ora di una geniale creazione sociale, ora di una illuminata visione profetica, hanno continuato ad alimentare il galleggiamento narcotico dell’umanità. Come resistere? Come diventare parte di quella minoranza che ha saputo rimanere ancorata alla profondità, diventando voce di chi grida nel deserto: “Svegliamoci dal nostro torpore, prima che sia troppo tardi!”. Troppo tardi per diventare una persona pienamente matura. Troppo tardi per evitare il collasso della propria civiltà. Perfino troppo tardi per evitare l’estinzione dell’intero genere umano. Come resistere e reagire? Praticando il disvelamento critico e metodico delle mistificazioni. Ponendo ogni presunta certezza pratica, o teorica, nel suo luogo opportuno, ovvero sul ciglio della sua possibile confutazione. Alimentando il Logos assiologico attraverso la contemplazione e la pratica del bene. Nutrendosi di silenzio. Abituando il palato al sapore quasi impercettibile di tutti quei valori e di quelle pratiche che hanno a che fare con la nostra fragilità: solidarietà, cura, reciprocità, ascolto, empatia, compassione. Spogliandosi di tutte quelle sovrastrutture ideologiche e sociali che non ci permettono di alimentare una coscienza critica. Agendo alla luce di questa, tanto nella dimensione delle relazioni interpersonali, quanto in quella delle interazioni socio-politiche. Questo e molto altro ancora, per non smettere di essere pienamente umani e per non consegnare la storia a un ciclo interminabile di apocalissi e ricostruzioni. Sempre che non giunga, presto o tardi, un apocalisse senza ritorno!

  3. Stefano Cardini
    mercoledì, 14 Giugno, 2023 at 15:53

    @Antonio Longo La sintesi proposta del post che ha commentato mi pare a dir poco approssimativa e inutilmente sprezzante. Ma rivela anche una certa difficoltà nell’approcciare un processo storico con riguardo alle sue implicazioni etiche. Lucio Caracciolo, da Limes del 24/02/2023: «Il dramma della guerra in Ucraina è che sembra destinata a finire solo quando uno o entrambi i contendenti non avranno più le risorse per continuarla. Macelleria infinita, che potrebbe muovere l’attuale linea del fronte di poche decine di chilometri e mietere altre centinaia di migliaia di vittime. Inutile strage, come Benedetto XV disperatamente bollò la prima guerra mondiale. Ma è davvero così? Siamo prigionieri di un destino? Se ne può, se ne deve dubitare. Se ne può perché ci sono i margini per congelare il conflitto prima che a farlo sia l’inverno atomico. Se ne deve perché siamo umani, e lo sono anche i contendenti – pur se nei due campi c’è chi considera disumano il nemico – per tali mossi dall’istinto di conservazione.» Nel numero di Limes attualmente in edicola in questi giorni, dal titolo Lezioni Ucraine, si può leggere dei progetti espliciti di smembramento della Federazione Russa. Temo che una contesa sul concetto teologico di “colpa”, anziché su quello di “responsabilità”, sia il meno etico possibile, anzitutto da parte dell’Unione Europea. Semmai – anche se come me non se ne ha una particolare stima – mi pare non avesse torto Emmanuel Macron nel dichiarare tempo fa la “morte cerebrale della Nato”, invitando gli europei a farsi seriamente carico – geopoliticamente ed eticamente – del proprio fronte orientale, dai Balcani al Medio Oriente. È sufficiente registrare la riduzione a comparse gregarie dei Paesi fondatori dell’Unione Europea e il nuovo protagonismo politico e militare di Paesi Baltici, Polonia, Romania per darsi una risposta.

    https://www.limesonline.com/rubrica/guerra-ucraina-russia-anniversario-lucio-caracciolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


*