Ancora su Einleitung in die Ethik: gli interrogativi aperti

giovedì, 8 Ottobre, 2009
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Di Federica Buongiorno, dell’Università La Sapienza di Roma, riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento a proposito della recente pubblicazione, con il titolo di Introduzione all’etica, della Einleitung in die Ethik, le lezioni di Edmund Husserl sull’etica del 1920 e 1924.

Sfruttando l’osservazione di Stefano Cardini nel suo intervento Einleitung in die Ethik: goodbye Kant, circa la “polarità”, stabilita da Husserl nel testo recentemente pubblicato da Laterza a cura di Francesco Saverio Trincia, tra moralisti dell’intelletto, come coloro che hanno “intravisto e creduto nella possibilità di una scienza etica, puramente razionale”, ma hanno mancato l’obiettivo per “mancanza di un metodo di fondazione adeguato”, e moralisti del sentimento, come coloro che, al contrario, hanno individuato il corretto metodo d’analisi ma ne hanno “frainteso il significato”, vorrei porre l’accento su un nodo a mio parere assai problematico del testo husserliano, che mi pare complicare ulteriormente la questione del rapporto a Kant e che riallaccia le lezioni del 1920-24 alle riflessioni svolte nelle Vorlesungen über Ethik und Wertlehre del 1908-14, ovvero la questione del parallelismo tra logica ed etica.

Mi pare infatti che il tentativo husserliano consista, nell’Introduzione all’etica, proprio in una sintesi tra il giusto metodo solo intravisto dai razionalisti dell’intelletto, Kant in testa, e una sua corretta applicazione, già tentata dai moralisti del sentimento: la questione davvero fondamentale consiste infatti nel problema «der Vernunft im Medium des Fühlens, einer spezifischen axiologischen Vernunft [il problema di una ragione nel medium del sentimento, di una ragione specificamente assiologica] (p. 90)». Si tratta di calare la ragione nel sentimento, cioè di riconoscere che das Fühlens non è estraneo ad una normatività eidetica e che, soprattutto, quest’ultima è riconoscibile in quanto il valutare, l’atto in cui si realizza il rapporto al valore, si struttura sul modello del giudicare, proprio degli atti teoretici: scrive infatti Husserl che l’etica ha il «vantaggio di avere il modello della logica [das Vorbild der Logik] (p. 30)». Il problema che emergeva già nelle lezioni del 1908-14 era se davvero questa relazione alla logica fosse di effettivo “vantaggio” per l’etica o se esso non rischiasse, venendo delineato essenzialmente per scongiurare alla radice il rischio di uno sconfinamento scettico, di frenare l’aspirazione husserliana ad un riempimento contenutistico dell’imperativo categorico kantiano: anche in questa Introduzione all’etica Husserl ribadisce, attraverso un’analisi d’ispirazione storico-filosofica, che «la pretesa di dover prescindere dal contenuto materiale è assurda tanto nella sfera della volontà quanto in quella del pensiero (pp. 230-31)». Mi pare che qui la questione del “che cosa” dell’imperativo riceva un approfondimento ed una precisazione, che sollevano nel contempo nuovi interrogativi circa il rapporto tra logica ed etica e circa la legittimità del discorso etico in quanto tale.

Nello scagliarsi contro il «vuoto formalismo (p. 238)» kantiano, che lascia del tutto indeterminata la questione di come sorga in noi il sentimento del rispetto per la legge etica (ovvero la questione della motivazione emotiva), Husserl sostiene che nessun volere potrebbe essere scevro da ogni valutare, ovvero da ogni sentire, ed istituisce così un rapporto fondativo tra valutazione motivata “sensibilmente” e volere corrispondente. Il volere così fondato si struttura poi eideticamente, nel senso che esso vuole delle “doverosità” [Gesolltheiten] le quali, pur motivate materialmente, non sono in sé predicati delle cose o pure materialità ma, «non appena abbiamo intravisto che l’essenza del valutare è quella di un peculiare intenzionare posizionale, diviene subito chiaro che la situazione è del tutto analoga a quella che si ha nella conoscenza tra il conoscere e il vero essere, solo più complicata (p. 177)»: più precisamente, «la verità conoscitiva di un’asserzione assiologica e pratica è fondata in una peculiare verità assiologica e pratica, la cui sede originaria non è nel dominio della conoscenza, bensì in quello del sentimento (p. 178)». Il valore, dunque, appartiene per così dire alle cose, in quanto verità assiologica e pratica, e tuttavia ogni legge etica può essere riguardata sotto un duplice aspetto: può essere assunta in quanto legge (della sfera etica), ed essere dunque oggetto di una comprensione evidente da parte della ragione teoretica (nel qual caso la sua negazione costituisce un “errore” [Irrtum]), oppure può essere intesa nella sua specificità di imperativo vincolante la volontà, nel qual caso essa è più di un’asserzione solo teoretica, in quanto si riferisce alla “doverosità” intenzionata e motivata, come si è visto, al livello del sentimento – e allora la sua violazione si definisce “peccato” (Sünde).

Il rapporto così istituito da Husserl tra logica ed etica, qui solo sommariamente restituito, mi pare assai interessante, nella misura in cui ribalta lo schema delle lezioni del 1908-14, dove il parallelismo restava sbilanciato dalla parte della ragione giudicante, di cui veniva comunque affermato il “primato”: si chiarisce infatti che se «il valutare non avesse prima di tutti i concetti e le asserzioni la sua propria ragione, la propria correttezza ed erroneità, connessa da ciò che dev’essere valutato, allora la ragione conoscente non troverebbe nulla da affermare a priori. La ragion pratica e valutante riceve dal conoscere logico solo la forma dell’asserzione teoretica e del pensiero. Prima del pensiero, però, essa esiste già e compie la propria operazione, realizza un’oggettivazione pre-teoretica allo stesso modo in cui anche il pensiero logico costituisce gradualmente, nella forma delle proposizioni teoretiche, le oggettività naturali di ordine superiore (p. 181)». Non è più la ragione logica a dover “spiegare” in che modo essa possa “parlare” anche in quanto ragione etica, al contrario, è essa stessa a riconoscersi quale specificazione della più ampia ragione pratica, nella misura in cui «giudicare scientificamente è anzi solo una forma particolare dell’agire umano, gli scopi teoretici della volontà sono solo una classe particolare degli scopi della volontà in generale (p. 4)». Se questa posizione husserliana rappresenta un progresso rispetto alle lezioni del 1908-14, come segnalato anche da Francesco Saverio Trincia nella sua Introduzione, in vista di un riempimento contenutistico dell’imperativo etico e del riconoscimento di una dimensione razionale concretamente pratica (si noti la sottolineatura, nella citazione da p. 181, del «ciò che dev’essere valutato»), mi sembra che ancora alcuni interrogativi si possano muovere al testo husserliano, al fine di un approfondimento della discussione sull’etica fenomenologica: si è così ottenuta anche una determinazione del “ciò che dev’essere valutato”? La nozione di “doverosità” (Gesolltheiten) come ciò che è eideticamente intenzionato dalla volontà motivata dal “valore”, inteso come ciò che “nelle cose” si dà a volere, e che dà “da pensare” alle prese di posizione della sfera logica, non lascia inevasa – per rispondere all’inevasa questione, in Kant, del “che cosa” dobbiamo fare – la domanda, posta invece da Kant, sul come individuare i criteri atti alla determinazione del valore? In che modo la ragione specificamente assiologica “ci dice” che quanto essa ci presenta è un valore, che come tale motiva il volere? Non sarebbe a ciò necessaria la voce della ragione giudicante, dunque logica, che appunto perciò conservava, nei Lineamenti di etica formale, un certo primato rispetto alle altre sfere della ragione, compresa l’etica? Costruire un’etica scientifica, ovvero un’etica al riparo dallo scetticismo, significa in ultima analisi, come sembra ritenere Husserl, costruire un’etica logicamente traducibile, che presenti almeno un’analogia con la ferrea necessità logica, o non deve piuttosto significare costruire uno specifico discorrere, dotato di una sua logica, in cui la situazione data sia non solo “più complicata” rispetto alla sfera logico-conoscitiva – una caratterizzazione che mantiene una coloritura essa stessa logica – ma anche più difficile, nel senso per così dire esistenziale della scelta etica, dello scegliere questo piuttosto che quello e del perché ciò sia moralmente corretto?

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