“Ma l’antifascismo non è di parte” (Carla Poncina)

giovedì, 27 Febbraio, 2020
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In questi giorni di isteria mediatica, confusione istituzionale e pescecani che provano a salire sulla barca impazzita, ci sembra salutare riprendere dal Giornale di Vicenza questa pacata, luminosa lezione di educazione civica.

 

Ma l’antifascismo non è di parte (di Carla Poncina)

Andando oltre il dibattito sorto dalla voluta sostituzione del termine “antifascista” con un più generico “antitotalitarista” in relazione ad un tema molto tecnico come la concessione di spazi pubblici, cerchiamo di coglierne il significato politico: colpire genericamente tutto il mondo antifascista, qualificato come “di parte”.

Questo è storicamente falso. Fin dalle origini l’antifascismo ha rappresentato una pluralità di posizioni che andava dai liberali, ai socialisti, dagli azionisti, ai cattolici. Persino monarchici, fin quando sono esistiti, vi facevano parte.

Ma da almeno un trentennio a tutto l’antifascismo è stata applicata unicamente l’etichetta di “comunista”, e in questo modo si è inteso pareggiare i conti delle opposte tifoserie politiche, neri da una parte, rossi dall’altra, tutti su uno stesso piano in cui si confondono fatti, ideali, vite personali.

La storia viene scritta e può essere riscritta, ma c’è un vincolo cui non si può venire meno e sono i fatti, e allora restiamo ai fatti.

L’Italia ha una sua storia, della quale piaccia o no ha fatto parte il regime fascista, un ventennio segnato da guerre feroci: in Libia, in Etiopia, in Spagna, e dalle disumane leggi razziali, o meglio razziste, del ’38. La successiva decisione del Duce di entrare in guerra a fianco di Hitler fu una scelta improvvida fondata sulla fiducia – dimostratasi fallace – della straordinaria potenza della Germania nazista che avrebbe trascinato anche noi alla vittoria. Mussolini dopo oltre un anno di guerra prima contro la Francia e successivamente contro la Grecia, pretese di rifarsi dai fallimenti subiti invadendo la Russia, e vi mandò a morire migliaia di giovani italiani, alpini per lo più. Mesi dopo, con sprezzo del ridicolo, dichiarò guerra anche agli Stati Uniti d’America.

Tralascio il resto della storia, è sufficiente ricordare le condizioni in cui fu firmato l’armistizio l’8 settembre del ’43, e i successivi venti mesi della guerra di Liberazione dal nazifascismo, che è stata anche una guerra civile e non poteva non esserlo.

Oppure – come dicono molti – onde evitare le rappresaglie dei nazifascisti – tutti gli italiani dovevano starsene quieti e buoni ad aspettare che gli americani venissero a liberarli?

Più della servitù temo la libertà recata in dono, scriveva Mazzini, e queste parole le trovate in testa ai fogli del “Ribelle”, il giornale dei partigiani cattolici uscito “come e quando poteva” dal 1943 al 1945. Da quel crogiolo di sofferenze, di dolore, di sangue è nata la nostra Repubblica e la nostra Costituzione, e non è vero che in essa non è menzionato il termine “antifascismo”, come dice l’assessore Silvio Giovine. I Padri e le Madri costituenti avevano ben conosciuto il fascismo, sperimentandolo dolorosamente sulla propria pelle, e per questo con grande rilievo, nelle clausole transitorie, inserirono la cosiddetta pregiudiziale antifascista che proibiva la ricostituzione del partito fascista e che riguardava e riguarda tutti gli italiani: di destra, di centro e di sinistra. L’antifascismo non compete a “una parte”, come si è detto, ma a tutto il popolo che si riconosce nella Costituzione repubblicana.

Quanto al comunismo sovietico, a questo punto sempre evocato, è certo che ha commesso enormi, spaventosi crimini, di cui però non siamo responsabili noi italiani, mentre lo siamo almeno storicamente del fascismo. Proviamo a guardare le cose senza indossare occhiali neri o rossi, guardiamo “le cose come sono”: la repulsione per la parola “antifascismo” non è sintomo di una lunga coda di paglia? Si vuole pareggiare il conto evocando il comunismo, ma l’Italia ha purtroppo conosciuto il regime fascista, con il suo carico di guerre dichiarate a Paesi che nulla avevano fatto contro di noi. Abbiamo mandato i nostri ragazzi a uccidere e a farsi uccidere in Libia, Etiopia, Spagna, Albania, Francia, Grecia, Russia. Cerchiamo di ricordarlo, di non autoassolverci troppo facilmente, affinché Il sonno della ragione non generi nuovi mostri.

Carla Poncina,

presidente Istrevi (Istituto Storico della Resistenza di Vicenza)

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