I preziosi, improvvisi risvegli dopo le grandi crisi dell’umanità – IX lettera da Parigi sulle cose d’Europa

lunedì, 13 Aprile, 2020
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La salute pubblica è una condizione necessaria ma non sufficiente, è un mezzo non un fine, che sfugge proprio mentre le trasformazioni delle coscienze avvengono

Agli inizi di questa crisi, paradossalmente, un fremito di speranza attraversò la vita di molti di noi. Di fronte al disastro le cui proporzioni diventavano di giorno in giorno più terribili, ci si trovò a disperare magari di noi stessi, ma a sperare nella possibilità di un vero rinnovamento della vita italiana. Tanto inascoltabili sembravano improvvisamente diventate le uscite sguaiate e incompetenti, e non solo dei capi-fazione politici. Di chiunque di noi avesse osato esprimere un parere anche in una cerchia di amici, senza cognizione vera di causa. E mi includo fra questi. Tanto acuto era il sentimento che fosse divenuto chiaro a ciascuno, ormai, quanto il rimedio al gran rumore vitale e morale della democrazia non sia la via cinese, ma una iniezione massiccia di conoscenze: nella mente delle persone alla lunga, ma subito nelle governances del mondo.

Non solo medici però. Perché, per quanto temporaneamente accettabile in tempi di crisi, la scelta di subordinare tutti i valori dell’esistenza morale, civile e politica delle persone alla difesa dei valori vitali, e neppure tutti (che ne sarà ad esempio dell’economia?) non si può sottrarre troppo a lungo al vaglio delle coscienze. La salute pubblica è certamente una condizione necessaria a una vita decente e sensata dei più, ma non è certo una condizione sufficiente: è un mezzo e non un fine. Così sono mezzi il buon funzionamento dell’economia, il welfare possibile, e ormai, sempre più evidentemente, anche la cooperazione internazionale a tutti i livelli, a maggior ragione quelli delle decisioni che ci riguardano tutti. E’ in questo spirito che l’ex Primo Ministro britannico Gordon Brown ha invitato su The Guardian  i leader del mondo a creare una forma magari temporanea di governo globale, una task force che comprenda capi di stato, esperti della salute ma anche di tutti gli altri campi nei quali esistono organizzazioni internazionali. E’ in questo spirito anche che un’onda di speranza si era alzata in direzione del Parlamento e della Commissione Europea – prima che un coro di voci cacofoniche si alzassero a nutrire i sovranismi, i populismi, i tribalismi dei popoli messi peggio, come noi. Eppure tutte queste ondate di speranza, per elevati che siano gli ideali che le suscitano, riguardano ancora i mezzi, non i fini.

I fini, non li vediamo mai. Perché i fini non possono apparire se non al mattino o nel pieno mezzogiorno delle vite personali, all’incrocio delle circostanze loro date e dei beni e dei mali che ciascuna ha incontrato – dei valori di cui ha fatto esperienza, e questo vuol dire, spesso, dei dolori sofferti, dei rimorsi e dei rimpianti, ma vuol dire anche delle passioni e delle vocazioni.

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3 commenti a I preziosi, improvvisi risvegli dopo le grandi crisi dell’umanità – IX lettera da Parigi sulle cose d’Europa

  1. Antonella Astolfi
    lunedì, 13 Aprile, 2020 at 21:57

    Buongiorno a tutti. Chi scrive è un’insegnante che, come migliaia di colleghi delle scuole di ogni ordine e grado, dai primi di marzo è impegnata nella sfida della teledidattica nel tentativo di tener desto lo spirito di comunità e la relazione educativa con gli studenti. Non è stato facile. Da un giorno all’altro e senza formazione specifica, dato il carattere emergenziale della situazione, abbiamo dovuto impadronirci dei segreti del funzionamento di app, piattaforme, software nel contesto dei quali ripensare l’ambiente d’aula. Perché la didattica a distanza non è certo la ripetizione delle consuete modalità in praesentia. Richiede un equilibrio da costruire di volta in volta tra la serietà della proposta didattica, le esigenze di sicurezza dei ragazzi (che, naturalmente, non possono restare esposti in maniera continua ai vari dispositivi per un numero eccessivo di ore), le condizioni socio-economiche degli studenti (molti non hanno un pc e lavorano solo dagli smartphone, moltissimi non possono contare su una connessione veloce, altri ancora appartengono a famiglie numerose dove il pc deve essere a disposizione anche di fratelli o sorelle o genitori in modalità smart working). A fronte della salomonica libertà sancita dalla circolare del Ministero, noi docenti abbiamo subito cercato di far fronte a questioni come la ricerca dei materiali, la costituzione di archivi virtuali e, soprattutto, le modalità di valutazione. E poi, è arrivato il “tutti promossi” della Ministra, “vale il voto della teledidattica”. Invito chi mi legge a soppesare la contraddizione intrinseca in tale affermazione: se vale il voto della teledidattica, allora perché saranno tutti promossi? Dietro la mia domanda non si cela di certo, si badi bene, la volontà di far cadere la scure della bocciatura sugli studenti. Chi lavora con loro quotidianamente, ne conosce bene ansie, incipienti gastriti e malesseri che il lock down sta comportando. Però sa pure che dobbiamo essere credibili. Perché non chiamare a raccolta i docenti, ascoltarne problemi, difficoltà, ma anche proposte, tante, che stanno animando dibattiti spontanei ignorati dal Ministero? Perché non stipulare, che so, una convenzione con le tv e le radio di Stato che sul modello di “Passato e presente” e dell’impegno di storici come Alessandro Barbero potrebbero costituire un valido apporto per la comunità scolastica? Perché non mettere su, con la partecipazione dei docenti, reti di scambio di materiali, banche dati, webinar, piattaforme istituzionali anche diverse dal registro elettronico e altri strumenti fruibili? Il “tutti promossi” è subito suonato, purtroppo, agli occhi degli studenti e dei docenti come una svalutazione di ogni tentativo di proposta culturale ed educativa seria. Senza neanche provare a migliorarne la qualità o ascoltare chi il tentativo lo fa. Certo, la teledidattica risponde primariamente all’esigenza di salvare la validità dell’anno scolastico. Ma se il suo epilogo sarà una sanatoria, rischia di trasformarsi nell’ennesima occasione perduta.

  2. Barbara Cipolla
    mercoledì, 15 Aprile, 2020 at 12:39

    Buongiorno. Anche io insegno in una piccola città di provincia. Assisto a un dilagare di irrazionalità spacciato per sacrificio ed eroico buon senso. I mass media ci chiedono di stare a casa ed alimentano comportamenti superstiziosi e scaramantici invece di dare informazioni corrette sulle modalità di diffusione del virus e sulle norme igieniche necessarie alla popolazione. Osservo amici, alunni e genitori costantemente. Ognuno preferisce affidare il proprio destino ad esperti scienziati e politici in un processo di delega infantilizzante, piuttosto che sforzarsi di comprendere, pensare, studiare a fondo la questione. In questa atmosfera irrazionale, l’applicazione rigida delle regole imposte diventa il pretesto per sfogare violenza, invidia, vecchi rancori latenti; e purtroppo questi atteggiamenti sono molto diffusi anche nella categoria degli insegnanti, con mio profondo rammarico. La paura è il collante di tutto, non la ragione; l’interesse egoistico e non il patto sociale. Come ha scritto recentemente il prof. Manzotti dell’Università IULM di Milano, scambiare la salvezza del corpo con l’anima è un baratto ragionevole per chi l’anima non l’ha mai avuta.

  3. valentina bompani
    giovedì, 16 Aprile, 2020 at 15:18

    Io credo che questa incredibile ed inaspettata occasione di ripensare la Scuola nella sua totalità non possa e non debba essere sprecata. Non può circoscriversi ad una riduzione dei contenuti dei programmi, ad una sorta di “bigino” che faccia da paravento alle lacune, spesso abissali, del sapere. Non può considerarsi assolto il compito innovativo solo perchè vengono usate, non senza grandi difficoltà, tecnologie moderne. Non può risolversi in una sanatoria con spade di Damocle debitorie da proiettarsi sul prossimo anno scolastico o, per i più piccoli, con un messaggio di indifferenza ai progressi fatti, livellando tutti in un “promossi”.
    Questa è l’opportunità per una svolta che, se mancata, rischia di affossare per sempre le nostre istituzioni scolastiche e la loro funzione sociale.
    Il primo passo potrebbe essere quello di attribuire al lavoro docenti/studenti (perchè di lavoro comune si tratta) una valenza formativa unitaria e circolare, dove io non valuto te, ma metto a tua disposizione le mie competenze per un interscambio, non alla pari nei contenuti bensì nel valore, mirato alla crescita di conoscenze utilizzate come strumento che ha per scopo lo sviluppo della persona, intesa come individuo e come elemento sociale. Mi viene in mente la Costituzione (si può affrontare a tutti i livelli) quale traccia ispiratrice per lavori interdisciplinari (quanto materiale online possono utilizzare i ragazzi del 2020!).
    L’analisi dei testi comunicativi in uso ai mezzi d’informazione o ai social, la decriptazione dei messaggi nascosti, delle tecniche, la conoscenza delle parole…un mondo per accrescere, quando non addirittura far nascere il pensiero critico autonomo. Si può fare anche coi più piccoli (pensiamo alla pubblicità di un gioco o di una merendina e all’effettiva corrispondenza nella realtà dell’esperienza, ad esempio).
    Il senso profondo della regola è un tema sviluppabile ad ogni età ed in ogni ambito disciplinare, per poi confluire in una consapevolezza individuale e sociale.
    Lo spirito di appartenenza ha diramazioni socio letterarie importanti e riflette anche in ambiti di assoluta attualità, intersecandosi con la dimensione dell’approccio dell’altro da sè.
    L’idea del canale televisivo mi pare buona se diventa interattivo, se consente di offrire spunti e la relativa rielaborazione effettuata dai ragazzi e se non si limita alla proposta di schemi prefissati o a lezioni frontali.
    Anche l’intervento di figure autorevoli e carismatiche, con spiccate doti comunicative, riconoscibili come coinvolgenti, può fornire elementi per la costruzione di un percorso personalizzato, all’interno di uno più ampio di classe e di interclasse.
    Questo è l’anno della Maturità per tutti, e lo scrivo con la maiuscola perchè non deve più costituire un mero titolo di studio, a volte stiracchiato e depotenziato, ma deve diventare una presa di coscienza globale non solo per chi ha a che fare con la Scuola, ma per la società tutta. I ragazzi diventano maturi, dai 6 anni in poi, quando diventano attori e non numeri passivi o, comunque, poco incisivi. Ripeto, secondo me deve cambiare proprio la prospettiva: si lavora insieme, si cresce insieme, ci si responsabilizza insieme ed insieme si abbandonano le certezze per costruire. Gli esempi sui contenuti potrebbero essere il primo passo per capire come fare, ma il dove andare viene prima.

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