L’Europa che non pensa più

lunedì, 14 Settembre, 2020
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Riprendiamo l’articolo di Massimo Cacciari uscito su “La Repubblica” dell’11-09-2020.

Solo un breve commento: ma perché questo pessimismo in un momento come questo, che aveva invece aperto una speranza? Mi permetto di esprimere un avviso diverso: non vedo altra (profonda) ragione per questo pessimismo che la leggerezza auto-interessata con cui una parte del governo (e purtroppo del popolo) italiano si prepara a buttare a mare l’immensa occasione di salto anche istituzionale e normativo nell’UE, che Il Recovery Plan potrebbe avviare mediante l’avvio di una unione fiscale, uno dei grandi passi che potrebbero davvero e finalmente portare  a un’effettiva cessione di sovranità nazionale a pro di una sovranità federale.  Accanto a quelli di una politica estera comune e di una comune politica migratoria, indispensabili: certo. Gli altri passi a poco a poco dovrebbero seguire. Ma con il richiamo al “Federatore” Massimo Cacciari  sembra dichiararsi del tutto scettico rispetto all’idea di una sovranità effettivamente sovranazionale, basata su un parlamento e un governo federale e non su un’organizzazione intergovernativa, sia pure asimmetrica. Può anche darsi che abbia ragione e il suo pessimismo giustificato. Eppure, varrebbe la pena di discuterne.

Clicca qui per leggere l’articolo di M. Cacciari

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Un commento a L’Europa che non pensa più

  1. Emanuele Caminada
    martedì, 15 Settembre, 2020 at 21:19

    Non mi è chiaro esattamente cosa sia “impossibile fare” e perchè mai dovremmo tacere. Proprio ora che dobbiamo chiedere a grande voce che la Conferenza per il futuro dell’Europa, che doveva partire questa primavera, abbia effettivamente luogo (anche virtuale)!

    L’idea decisionista e un po’ Webero-Schmittiana che solo un Federatore con la F maiuscola (maschile e singolare) potesse risolvere in un momento del recente passato la forma istituzionale dell’Unione Europea mi sembra un po’ in contraddizione con l’idea stessa da cui è nata l’Unione, ovvero uno spazio politico di integrazione economica e culturale che sta via via assumendo connotati non riconducibili allo stato moderno e in cui non esiste la possibilità di decisioni se non in concertazione su più livelli (purtroppo non sempre ragionevoli, per via di regole ancora legate a prerogative degli stati nazionali, quali l’unanimità e il diritto di veto).

    Che la Germania abbia perso per sempre questa occasione è una seconda tesi da valutare. Nella crisi precedente la Merkel ha seguito il consiglio dell’establisment tedesco (teorizzato dal politologo-storico Münkler) di evitare slanci federalisti e di pensare al proprio interesse economico. A differenza della crisi finanziaria e degli stati sovrani, l’attuale crisi pandemica ha dato luogo – anche e soprattutto in Germania – a una discussione molto più interessante e non conformista sul futuro assetto dell’Unione, sui suoi valori e sui suoi compiti su scala globale. Il Brexit potrebbe facilitare ulteriori passi e la ripresa del motore franco-tedesco sul Recovery Fund è cosa certamente positiva, anche perchè alcune idee di fondo (bond comunitari, convergenze fiscali, sostegno all’economia reale, integrazione europea, carbon tax) hanno per la prima volta da molti anni un ampio sostegno politico con un nucleo di opposizione strenuo ma limitato (i cosiddetti frugali). Purtroppo in Italia in questo momento sembra che le forze politiche e intellettuali europeiste e progressiste (quel che ne resta) siano un po’ distratte. Ci vorrebbe un´opinione pubblica capace di rafforzare commissione e parlamento per fare in modo che il consiglio si smuova dalle posizioni meno “comunitarie”.

    Sarebbe il caso di incentivare il dibattito (sovranazionale), non di silenziarlo. Taccia – se lo crede – chi non ha idee (nuove), ma non si sostenga che nessuno in Europa nel 2020 sappia pensare al futuro.

    Scusate la franchezza,
    Emanuele

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