Un’occasione preziosa per tornare a dire “io” – di Sergio Massironi

lunedì, 4 Gennaio, 2021
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Qualcosa di profondo negli ultimi mesi è cambiato. Andiamo incontro al nuovo anno più consapevoli di quanto ci leghi un comune destino. Investiti da tragedie planetarie, sono molti a riconoscere, o almeno a invocare, la fine dell’autoreferenzialità e l’inizio di un tempo del “noi”. Conviene non gioirne troppo presto: perché si tratti di fraternità, l’essere insieme domanda una silenziosa rivoluzione nell’io. È a questo livello che il cristianesimo non può abbandonare il campo, in una partita che si gioca nel cuore dell’Occidente e che investe il soggetto. Si tratta di non abdicare e piuttosto di andare al fondo della modernità, delle sue istanze più radicali. Avendone rilevati i limiti, non ne va disinnescata l’originalità. Esiste infatti un noi, un prevalere del collettivo, capace di azzerare non solo la libertà, ma anche la giustizia. “Fratelli tutti” è un’espressione di cui va colto il carattere escatologico e paradossale, se vogliamo che il suo contenuto divenga progressivamente realtà. Solo una conversione può infatti modificare il nostro sentire.

Ci sono dei segnali da cogliere in tempo. Sono numeri, dati. “L’anno della paura nera” – come il Censis ha definito il 2020 – porterà con sé conseguenze gravi e di lungo periodo: di esse impressiona quella che il 54° Rapporto antepone a tutte le altre, “la propensione a rinunciare volontariamente alla solitamente apprezzatissima sovranità personale: il 57,8% degli Italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome e a tutela della salute collettiva, lasciando al governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e su cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni della mobilità personale; il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, introducendo limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione, di organizzarsi, di iscriversi a sindacati e associazioni. La paura pervasiva dell’ignoto – osserva ancora il Censis – porta alla dicotomia ultimativa: “meglio sudditi che morti”. E porta a vite non sovrane, volontariamente sottomesse al buon Levitano”. Si tratta di un’analisi drammatica. Nella popolazione tra i 18 e i 34 anni le due percentuali salgono rispettivamente al 64,7 e 44,6%. L’Istituto di ricerca evidenzia il nesso tra questo tracollo dell’io e la crescita di un livore collettivo, descritto come una logica “o salute o forca”: richiesta di pene severissime per chi non rispetti le misure di contenimento o abbia mal gestito l’emergenza, del carcere per chi violi la quarantena, di negazione delle cure per gli anziani e per chi non si sia adeguatamente protetto; boom di simpatie per la reintroduzione della pena di morte. “C’è un rimosso in cui pulsano risentimenti antichi e recentissimi di diversa origine, intensità, cause”: così si presenta il collettivo cui urge guardare, per chiederci chi siamo e chi saremo. In che senso e in che modo dire “noi”?

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