Tra cura e giustizia. In ricordo di Elena Pulcini

lunedì, 12 Aprile, 2021
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo testo scritto insieme da Francesca Forlè, Francesca Pongiglione, Sarah Songhorian e Roberta Sala, in ricordo di Elena Pulcini, filosofa molto apprezzata  dalla nostra comunità e molto nota ben oltre i suoi confini, scomparsa improvvisamente e troppo prematuramente qualche giorno fa – vittima della pandemia.

Parlare al passato di un libro recente, anzi, per meglio dire, di un’autrice che ha recentemente interloquito con noi nel discutere il suo libro più recente, fa uno strano effetto. In questa riflessione desideriamo rendere omaggio a Elena Pulcini, la cui morte risale a pochi giorni fa. Ne parleremo al presente, perché le idee non muoiono quando ne stimolano di nuove. Per parlarne, andiamo al dialogo intrattenuto con noi, in occasione della presentazione del suo ultimo libro – Tra cura e giustizia. Le passioni come risorsa social (Bollati Boringhieri, Torino 2020). Ricevemmo, e volentieri ospitiamo, questo breve riepilogo dei contenuti più significativi di quel confronto, a partire dai due capisaldi della discussione, la cura, appunto, e la giustizia. Pulcini esordisce ricordando come questi due paradigmi si contendano da lungo tempo il primato di paradigma dominante, per ricondurre a sé ogni comportamento eticamente, socialmente e politicamente virtuoso. Pulcini – con l’attenzione e lo spirito critico propri dei veri filosofi – non è interessata a questo dibattito, o meglio non è interessata a difendere un paradigma sull’altro, a nasconderne limiti e difetti pur di considerarlo il migliore. Al contrario, riconosce a entrambi i paradigmi un ruolo fondamentale ma non esclusivo (facendo dialogare tra loro prospettive che troppo a lungo si sono perlopiù ignorate). La cura non può essere oblio di sé, così come la giustizia non può essere freddo calcolo razionale. Entrambe si fondano e trovano il loro elemento motivante nelle passioni – passioni che tuttavia vanno educate (la paideia delle passioni) per evitare una loro comprensione ingenua che le vede come passive e irrazionali, senza consentire di riconoscere quando esse sono appropriate e quando non lo sono, quando da esse emergono giuste richieste e quando invece esse ci muovono a comportamenti moralmente inappropriati.

Concentriamoci allora sulle passioni, alle quali Pulcini dedica ampio spazio per una descrizione attenta e rigorosa. L’esposizione delle differenti forme della vita affettiva non è però, in Pulcini, mero esercizio di analisi filosofica, bensì è l’intento di comprendere a fondo l’agire etico e sociale, anche in vista di un impegno attivo. Pulcini difende la tesi del potere motivante delle passioni: è necessario rintracciare le motivazioni affettive a fondamento della domanda di giustizia e della pratica della cura, proprio ai fini di una migliore comprensione di queste ultime. Uno degli aspetti più interessanti dell’intera trattazione è la radicale consapevolezza che il potere motivante delle passioni non sia di per sé, tuttavia, la causa che determina l’agire: al contrario, è sempre necessario un impegno del soggetto personale a rendere efficaci le proprie motivazioni e ad agire conseguentemente. Se differenziamo attentamente le passioni che agiscono come moventi dell’agire sociale – continua Pulcini – possiamo non solo coglierne la diversa qualità emotiva ma anche distinguere le passioni che hanno potenzialità etiche da quelle che non le hanno. Con le parole dell’autrice, che hanno trovato riflesso anche nelle diverse forme della sua attività politica e sociale, “l’impegno non allude solo alla nostra capacità di riconoscere l’importanza e la priorità dell’azione, ma anche alla nostra capacità di tradurre il sentire in un agire, di sottoporre le nostre emozioni alla prova della realtà e di mettersi in gioco attraverso l’azione, di testimoniare una coerenza tra la nostra vita emotiva e la nostra vita attiva” (Pulcini, Tra cura e giustizia, p. 30).

La complementarità di cura e giustizia si impone anche come risposta alle sfide più stringenti del nostro tempo. Gli altri distanti nel tempo e nello spazio costituiscono così le figure paradigmatiche della difficoltà che una visione unilaterale e riduzionista deve oggi affrontare. Come possiamo curarci di chi non conosciamo, di chi è lontano nello spazio e nel tempo? E, d’altro canto, come possiamo lottare contro le ingiustizie che non ci toccano (perché non riguardano noi né le persone che ci sono vicine)? La risposta sta, di nuovo, nella paideia delle passioni, nel riconoscimento della nostra e dell’altrui vulnerabilità, in un’antropologia del soggetto emozionale, reciproco e vulnerabile. In costante relazione con l’altro (vicino o lontano), l’essere umano può coltivare quelle sane passioni in grado di generare una buona cura e la giusta risposta alle ingiustizie senza essere dimentico di sé o un anaffettivo calcolatore. Al fondo di questa possibilità, c’è una capacità empatica che Pulcini ci invita a riconoscere e a coltivare. L’empatia non è un sentimento morale, ma la possibilità di fondare autentiche passioni etiche e sociali. Proprio la possibilità di un tale fondamento porta Pulcini a considerare cruciale una forma profonda e non superficiale di empatia, in cui gli altri siano riconosciuti autenticamente come persone. Questo può consentire di impostare su basi rinnovate anche le sfide teoriche e pratiche della relazione con l’altro distante nel tempo e nello spazio.

Come si può intuire da questo breve ricordo, per Elena Pulcini la ricerca filosofica è la bussola per i naviganti nelle complessità del mondo contemporaneo. Rigore scientifico, spirito critico e impegno sociale s’intrecciano nel libro e testimoniano l’intelligenza, la sensibilità e la cultura della sua autrice. Nel congedarsi dal suo lettore, Pulcini scrive alcune righe in cui emana un auspicio semplice e pudico: le passioni siano l’alimento per produrre quel cambiamento capace di alimentare “la nostra legittima domanda di giustizia e la nostra capacità di cura, fondamenta necessarie di quello che possiamo chiamare … un mondo migliore”. Si tratta di “ridisegnare un’immagine del futuro”, scrive ancora Pulcini, a poche righe dalla fine del libro. Non poteva sapere che sarebbero state le righe che hanno chiuso la sua stessa vita. Sia desiderio di ciascun cittadino e di ciascun filosofo impegnato quello di contribuire, per la propria personalissima parte, a quel mondo in cui cura e giustizia sono complementari e ci motivino – per mezzo delle passioni – ad agire bene, ad essere agenti morali e politici consapevoli, ad occuparci e a prenderci cura del mondo.

Francesca Forlé

Francesca Pongiglione

Sarah Songhorian

Roberta Sala

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