Lettera aperta sul dibattito intorno a vaccini e Green Pass. Di Barbara Malvestiti

lunedì, 9 Agosto, 2021
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Ricevo e volentieri condivido sul nostro Lab questa pensosa lettera di Barbara Malvestiti, dottore di ricerca in filosofia del diritto, docente di storia e filosofia, autrice di uno splendido libro, La dignità umana dopo la “Carta di Nizza”. Un’analisi concettuale (vedi qui l’informazione in proposito: https://www.orthotes.com/prodotto/barbara-malvestiti-la-dignita-umana-dopo-la-carta-di-nizza-unanalisi-concettuale/ ). E’ un libro che dovrebbe leggere chiunque si interessi al dibattito in corso sui fondamenti dell’UE (vedi la Conferenza sul Futuro dell’Europa, una vera consultazione popolare sul nostro avvenire: https://futureu.europa.eu/?locale=it  ) e più in generale sul futuro dell’Europa in questo mondo globalizzato e attraversato da sconvolgimenti naturali e sociali – che questa pandemia ha tanto brutalmente gettato sotto gli occhi di tutti. Ogni commento è benvenuto.

Spero, scrivendoti una lettera aperta, di trovare un po’ di conforto, o suscitare qualche discussione.

Sono profondamente amareggiata da quanto sta accadendo tra familiari e amici da almeno qualche mese a questa parte. Faccio riferimento al dibattito fortemente dilaniante nella popolazione tra persone favorevoli al vaccino contro il Covid-19 e persone non convinte sul vaccino.

Ho amici e familiari favorevoli, amici e familiari non convinti. Spesso l’opposizione si trova nello stesso nucleo familiare e/o nello stesso gruppo di amici. Ho visto famiglie e coppie litigare e star male per le discussioni e, talvolta, una persona piegarsi alla volontà dell’altra onde evitare una crisi.

Cosa sta succedendo? Perché tanta sofferenza ed insofferenza?

Io ho sempre pensato, da quando è stata aperta l’opportunità dei vaccini, che la questione dovesse essere demandata alla libera scelta dell’individuo. Da qualche settimana a questa parte osservo che l’idea di esercitare libera scelta su questa questione è oggetto di discussione.

Ho pensato che fosse una questione di libera scelta perché pensavo che chi si sottoponesse a vaccino fosse fuori dal pericolo di contagiare e di essere contagiato e che chi, invece, non si sottoponesse, corresse il rischio di essere esposto al contagio, senza però poter contagiare chi protetto da vaccino.

Oggi sembra invece che il vaccino non copra definitivamente: gli effetti della malattia sui vaccinati sarebbero assai meno dannosi che sui non vaccinati, ma non è chiaro se la differenza di probabilità nel contrarre la malattia tra vaccinati e non vaccinati sia così significativa.

La mia domanda è la seguente: se la pandemia costituisce per lo stato una situazione emergenziale, perché lo stato non si prende la responsabilità di porre l’obbligo vaccinale? Ho pensato all’alternativa: lo stato è in buona fede, quindi lascia la libertà di non vaccinarsi, ricordando però, con il green pass, il suo appoggio ai vaccini obbligando le persone, giustamente in quest’ottica, a fare un tampone qualora volessero frequentare i luoghi della collettività; oppure lo stato è in cattiva fede, il legislatore non vuole assumersi la responsabilità di eventuali conseguenze indesiderate alla popolazione derivanti dall’obbligo vaccinale, di conseguenza introduce lo strumento del green pass, che, in quest’ottica, sarebbe per lo stato uno strumento per indurre a vaccinare levandosi da responsabilità. Dunque il nostro stato, e con il nostro alcuni altri, attraverso lo strumento del green pass lascia alle persone libertà decisionale o si leva da responsabilità? Auspico di vedere in questo provvedimento, al di là delle intenzioni, lo sforzo per trovare un possibile strumento di gestione della situazione emergenziale da parte del nostro stato, tanto è difficile esercitare quello che tu bene chiami il “dono dei vincoli”, che in modo equilibrato inerisce agli articoli della nostra Costituzione. Ed è tanto difficile esercitarlo soprattutto in questa situazione così delicata e difficile da dirimere, dove è in gioco il conflitto tra due valori fondamentali, libertà e sicurezza, a cui peraltro già accennavo nella mia tesi di dottorato-libro. Una mia alunna, quest’anno, ha svolto l’elaborato di maturità proprio su questo tema del conflitto tra libertà e sicurezza, calato nella situazione attuale. E’ stato interessante seguirla.

Detto questo, spero che il clima di insofferenza che avverto, sia da una parte sia dall’altra, trovi una distensione. Non so quale possa essere la via d’uscita a questo clima, ma spero che vi sia. Voglio confidare negli strumenti del dibattito democratico e della ricerca scientifica ad ampio raggio. Quelli che ne hanno la competenza,  peraltro, dovrebbero, a mio parere, spendere un po’ di tempo in più per chiarire meglio l’esistenza di casi in cui il vaccino può essere incompatibile con una persona, o per ragioni personali importanti o per la presenza di comorbilità associate. Questi ultimi due casi, a mio avviso, non sono ancora sufficientemente riconosciuti a livello sociale e medico. Mi piacerebbe che nel dibattito si parlasse anche dei casi particolari e delle minoranze, per fare chiarezza e distinzione.

Mi dispiace, inoltre, infine, che persone non altruiste brandiscano, come affette da ideologia, la morale del senso civico. Lo trovo offensivo per chi altruista tenta in qualche modo di esserlo davvero. Trovo questo atteggiamento farisaico così come trovo deleterio e distruttivo l’atteggiamento di chi proclama l’avvento una “dittatura sanitaria”.

Mi scuso per la lettera fiume, che spero possa trovare un riscontro sul Lab.

Barbara Malvestiti

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2 commenti a Lettera aperta sul dibattito intorno a vaccini e Green Pass. Di Barbara Malvestiti

  1. Roberta De Monticelli
    lunedì, 9 Agosto, 2021 at 23:13

    Cara Barbara, la tua lettera aperta ha anzitutto il pregio di indurci a non fare di tutte l’erbe un fascio. Soprattutto fra quella che tu chiami la sofferenza e l’insofferenza di molte persone e gli interventi apocalittici sulla dittatura sanitaria (peraltro gonfiatissimi dalla stampa, anche perché sono un boccone per i collaboratori dei giornali – e faccio ammenda anche io: comunque mi riferisco soprattutto a quello di Agamben, Cacciari lo ha poi risolto in domande che un senso ce l’hanno anche se fa un uso un po’ disinvolto della statistica). Dunque mi pare, quanto alle questioni che poni sul bilanciamento fra diritti e obbligazioni nel caso specifico, che una delle tue perplessità almeno possa essere risolta. Delle due ipotesi sul senso dell’obbligo di green pass, a me sembra che la seconda, oltre ad essere un po’ troppo antropomorfica (ma capisco naturalmente che si tratta di una finzione interpretativa, di un come-se) non sia veramente plausibile, perché presuppone come possibilità contraria uno stato totalmente paternalistico, che si assume il rischio di causare effetti collaterali ai cittadini ma “per il loro bene”. Mi pare quindi che il primo caso sia più plausibile: un’obbligazione diretta si scontrerebbe con la miriade di casi particolari ed eccezioni dove solo la persona ha competenza e diritto di scelta, ma un’obbligazione indiretta a tutela degli altri cittadini mi pare necessaria: se non vuoi vaccinarti, deve restare una questione con te stesso e i tuoi cari, non hai il diritto di mettere a rischio altri (sia pure indirettamente: cioè la comunità per via della moltiplicazione delle varianti, e i singoli altri non vaccinati magari per incompatibilità sanitaria). Quindi , assumi le conseguenze della tua scelta non frequentando locali pubblici e mezzi di trasporto. A me sembra la soluzione più equilibrata e liberale. Se posso aggiunguere un’osservazione: è una soluzione, quella del pass, che dovrebbe eliminare sofferenza e insofferenza. Perché da un lato consente a chi ha forti ragioni per non fare il vaccino, di evitarlo: e le forti ragioni non valgono qualche rinuncia? Chi ha forti ragioni di solito non rischia penalizzazioni sul lavoro : se non puoi vaccinarti per allergia o incompatibilità fisica dovrebbe poter valere, sul lavoro, una dispensa. Infine, mi sembra che tutte le persone a contatto con i giovani e i ragazzi, come gli insegnanti, dovrebbero pensare che è meglio che siano loro a correre qualche futuro rischio vaccinandosi, piuttosto che farlo correre ai ragazzi stessi, sui quali i vaccini sono stati ancora meno testati. Ma qui mi pare invece che lo stato proceda con la sola logica della forza, cioè ammette eccezioni là dove i sindacati sono più forti….

  2. Stefano Cardini
    giovedì, 2 Settembre, 2021 at 11:29

    Cara Barbara, il fallimento della manifestazione no vax dimostra come la drammatizzazione polarizzante dello scontro pro vax e no vax sia stata costruita e alimentata da politici media e opinionisti non di rado in malafede. Offre l’occasione, pertanto, di riprendere in mano la questione del green pass, per come è stata interpretata nel nostro Paese, sia sul piano giuridico sia sul piano politico sia sul piano etico. Perché le resistenza di una parte degli italiani a vaccinarsi (comunque nettamente minoritaria: siamo al 70% su un target dell’80%) non è frutto di chissà quale movimento militante o apparato produttore di fake news (i complottisti prosperano come si vede su entrambi i fronti…), ma di una pluralità di fattori d’ordine sociale, etico e culturale largamente trascurati e malamente affrontati sia dalla politica sia dall’informazione. Nella prospettiva tutt’altro che remota che questa emergenza pandemica sia destinata a non essere l’ultima, non potremo limitarci a “rendere la vita impossibile” a chi è indisponibile a vaccinarsi reiteratamente a prescindere dalle evidenze o non evidenze scientifiche sulla sicurezza prospettica di vaccini sperimentati per necessità secondo modalità non standard. Riporto un interessante intervento che cerca di mettere un po’ di ordine e soprattutto invita a raffreddare un po’ gli animi. È di Luciano Sesta, docente di bioetica e filosofia morale dell’Università di Palermo (https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/08/31/covid-la-vaccinazione-non-e-un-dovere-ma-un-diritto-basta-col-clima-da-caccia-alle-streghe/6305860/): “Pur essendo fortemente raccomandata da governi e autorità sanitarie, la vaccinazione anti-Covid rimane in quasi tutti gli Stati del mondo giuridicamente facoltativa, e non può dunque essere considerata né necessariamente immorale (come pensano i no vax), né moralmente necessaria (come pensano i pro-vax).
    Ora, in un contesto in cui esiste, formalmente, il diritto giuridico di non vaccinarsi, non si può essere considerati né giuridicamente né moralmente responsabili delle conseguenze che derivano dall’averlo esercitato. Se avvalersi di un diritto comportasse, ipso facto, conseguenze penali o immorali, un simile diritto non esisterebbe nemmeno. Diverso è naturalmente il caso del dovere, giuridico o morale, che io posso avere o non avere al di là del mio diritto di non vaccinarmi. Si tratta del dovere di agire con responsabilità, morale e giuridica, nei confronti degli altri. Questo dovere, sia morale sia giuridico, oggi è previsto e non è quello di vaccinarsi, che è appunto un diritto e non un dovere, ma quello di osservare le norme di prevenzione – mascherina e distanziamento – richieste a tutti, vaccinati e non.
    Se, come invece pensano oggi in tanti, il dovere (morale e giuridico) di non danneggiare terzi, e dunque di tutelare la propria e l’altrui salute, potesse essere assolto unicamente tramite la vaccinazione, non esisterebbe per i vaccinati il dovere supplementare (morale e giuridico) di usare la prudenza richiesta anche ai non vaccinati. Questa circostanza accomuna tutti i cittadini nei doveri di solidarietà (mascherine e distanziamento), diversificandoli nei diritti di libertà (vaccinarsi, non vaccinarsi). In questo modo siamo tutti oggettivamente uniti nel contrastare il virus e diversi solo nel modo personale di farlo.
    Come si può notare, il carattere giuridicamente facoltativo del vaccino è pienamente compatibile con la comune responsabilità, richiesta a ogni cittadino, di tutelare la propria e l’altrui salute. Eppure, nonostante ciò, chi ha deciso di non vaccinarsi appare oggi, in Italia, non già come un soggetto con cui interagire in uno Stato costituzionale di diritto, ma come l’oggetto di una rieducazione sociale. Non a caso i principali organi di stampa e i media usano spesso espressioni come “caccia ai non ancora vaccinati” per indicare lo sforzo finale di una campagna in dirittura di arrivo. Dove il termine “caccia” fa ben intendere come i cittadini che si avvalgono del pur riconosciuto diritto di non subire un trattamento non imposto dalla legge sono non già “qualcuno con cui parlare”, ma “qualcosa su cui agire”. E dove l’espressione “non ancora vaccinati” lascia trasparire, in quell’avverbio di tempo, il carattere solo provvisorio di una resistenza destinata a essere piegata dal trionfale procedere dell’immunizzazione collettiva.
    Intercettarli, snidarli, ricattarli, minacciarli di finire intubati, escluderli, esasperarli, sfibrarli, persino corromperli con offerte di alcolici, gelati, denaro e persino sostanze stupefacenti. C’è un nervoso crescendo in questo “tutto per tutto” disposto a carte false pur di inoculare anche una sola dose in più di fronte a chi, ancora legalmente, risponde: “no, grazie”.
    Sintomo del disagio che, nella storia, il potere ha sempre sperimentato di fronte al limite dell’habeas corpus, il risentimento con cui alcuni conducono la campagna vaccinale, divenuta ormai “caccia” del non ancora vaccinato o sua decretata esclusione dallo spazio protetto della vita sociale, dipinge i non vaccinati come dei veri e propri untermenschen. Come se una persona non vaccinata contro il Covid fosse, in quanto tale, un soggetto arcaico e viscerale, collocato ai margini della civilizzazione, ancora immerso in quello stato di natura dove vale la legge dell’individualismo animale e del rozzo egoismo di chi non comprende che, non ricevendo il siero, farà mancare agli altri la necessaria protezione dal rischio di ammalarsi e di morire.
    Costringerlo è dunque l’unico modo di addomesticarlo, limitando i danni del suo ottuso rifiuto. A ciò si aggiungano le proposte punitive di rifiutare l’assistenza ai non vaccinati eventualmente bisognosi di ospedalizzazione o di addossar loro i costi delle cure, come se chi ne ha diritto ne godesse non in qualità di contribuente, ma perché si è moralmente comportato in un certo modo, secondo una logica che lascerebbe senza scampo fumatori, bevitori e amanti dei cibi grassi. O si pensi anche, nei casi più estremi, all’augurio, frequentemente rivolto ai non vaccinati sui social, di finire intubati per poter finalmente “capire”. È in questo linguaggio e in questo clima di moralismo sanitario che si consuma la percezione, da parte dei non vaccinati, di essere non tanto gli interlocutori di un dialogo finalizzato a persuaderli, quanto i nemici di una guerra che mira a sconfiggerli.
    In questo desolante quadro, è davvero così impensabile provare ad aprire lo spazio di un confronto civile in cui, pur rimanendo ciascuno convinto della superiore bontà della propria opinione, possa almeno evitare di criminalizzare quella altrui? Nella situazione in cui ci troviamo oggi, fatta salva la necessità di continuare a promuovere una vaccinazione libera e informata dei soggetti fragili – e questo allo scopo di contribuire ulteriormente alla già bassa incidenza di ricoveri e decessi – anche la vaccinazione di tutti gli altri cittadini dovrebbe rimanere libera, senza discriminazioni per chi decide, legittimamente, di tutelare la propria e l’altrui salute in modo diverso dalla vaccinazione. Del resto, dopo tutto ciò che abbiamo appreso sulla contagiosità dei vaccinati, siamo davvero così certi che, anche quando agiscono nella comune prudenza richiesta a tutti, i non vaccinati che non sono comunque a rischio siano i soli responsabili di ciò che accade nello spazio pubblico e negli ospedali? Perché invece non vedere, nelle norme di prevenzione imposte a vaccinati e non vaccinati, un segno della comune dignità di tutti i cittadini a prescindere da green pass e vaccinazione?
    Gli antropologi, qui, sembrano trovare abbondante materia di conferma delle loro ipotesi: la logica del “capro espiatorio” è insopprimibile. Il bisogno di prendersela con qualcuno, attribuendogli la responsabilità di un problema comune, supera il desiderio di risolverlo insieme a lui. Impedendo a tutti noi di aprire gli occhi, magari per scoprire che, anche se sta usando armi diverse dalle nostre, persino chi sembra un nemico è in realtà un nostro alleato.”

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