E’ lecito girarsi dall’altra parte?

martedì, 14 Marzo, 2023
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Filosofia, scienze della persona! A questo principalmente il nostro forum voleva dedicarsi. E tuttavia: niente è più orrendo dal punto di vista di un’etica della persona che girarsi dall’altra parte quando ancora persone vengono sradicate ed espulse dai loro paesi, quando le loro case, le loro scuole costruite con i fondi dell’Unione europea vengono demolite: e con i bambini dentro, che scappano dalle finestre. E  non in una guerra dichiarata ma in un’occupazione vigente nella più completa illegalità, denunciata dall’Onu e da Amnesty International anno dopo anno da ormai mezzo secolo. Tutto questo succede e continua a succedere nei Territori occupati della Cisgiordania. Oggi a Roma una delegazione di testimoni nonviolenti della violenza che imperversa a Masafer Yatta,  fra cui un sindaco e un insegnante di scuola, è invitata a una Conferenza Stampa presso la Camera, alla presenza fra gli altri della Relatrice speciale dell’Onu, Francesca Albanese. La delegazione è stata invitata in altre città italiane (vedi le locandine).

Ma perché è così difficile bucare, sui media italiani, la cortina di silenzio che copre questo continuo scandalo? Riproduco qui un articolo che provava a dare un poco di risonanza, in occasione della visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu a Roma, a due lettere aperte che questo silenzio tentavano di rompere. 

Una versione aggiornata e ampliata di questo testo, con un report sulla conferenza stampa tenutasi presso la Camera dei Deputati il 14 marzo è stata pubblicata il 17 marzo su Avvenire – scaricabile qui.

Ma esiste una Berlino, dove si possa credere che ci sia un giudice? Oppure esiste solo nel levarsi delle nostre voci, una Berlino così – nella domanda di giustizia che sale dai cittadini, e qualcuno dovrebbe ascoltare, in democrazia?

Se come è probabile vale la seconda, allora diamo risonanza a quelle voci, che siano ascoltate. Alla voce della Relatrice speciale all’ONU per i diritti umani in Palestina, ad esempio. “Gerusalemme capitale è l’arbitrio del più forte” – è il titolo della lettera, comparsa sul Manifesto il 10 marzo,  che Francesca Albanese ha inviato al Presidente del Consiglio Meloni nel giorno del suo incontro a Roma con Netanyahu. In un’intervista concessa il giorno prima (9 marzo) a Repubblica il premier israeliano ha fatto appello perché l’Italia sposti la sua ambasciata a Gerusalemme, cioè la riconosca come capitale. David Lerner su Domani (10 marzo) ha giustamente ricordato la posizione dominante nella comunità internazionale, e cioè che passi di questo genere devono essere negoziati con i palestinesi, che a loro volta rivendicano Gerusalemme come capitale. Lerner ha qualificato come “assist di Repubblica” il titolone con la richiesta in prima pagina, e ha ragione: ma il linguaggio sportivo è un po’ leggero per il dolore senza fine e senza riscatto che da settant’anni lacera quella tragica terra. Ecco cosa scrive Francesca Albanese: “mi preme sollevare, in punto di diritto, l’assoluta inammissibilità di tale richiesta: chiede il riconoscimento di una situazione illegale (l’annessione di Gerusalemme) come contropartita a un’altra situazione potenzialmente illegale (il commercio di risorse provenienti dal territorio occupato)”. Illegalità insanabile, perché tocca “uno dei cardini dell’ordine internazionale: il divieto di acquisizione territoriale attraverso l’uso della forza”. Un divieto che “risponde a un valore universale: che sia la forza del diritto, non l’arbitrio del più forte, a definire i rapporti internazionali”. Albanese ricorda al Presidente che “come il popolo ucraino, anche quello palestinese, a Gaza, in Cisgiordania e Gerusalemme, è sotto occupazione”.

A proposito di discriminazioni 

Nelle dichiarazioni rese alla stampa dopo il loro incontro, grazie al cielo, non si è fatta menzione di questa richiesta. E tuttavia Giorgia Meloni ha tenuto a ricordare che l’Italia aveva aderito nel 2020 alla  la presa di posizione dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), che nel 2016 ha equiparato la critica del sionismo politico alla critica dell’antisemitismo. Come interpreti il sionismo, Netaniahu lo ha dichiarato al mondo nel 2019, affermando pubblicamente che “Lo stato di Israele non è lo stato di tutti i suoi cittadini ma del popolo ebraico esclusivamente”. Lo ha fatto riferendosi all’avvenuta approvazione, il 19 luglio 2018, del Nation-State Bill, che definisce lo stato di Israele “Stato-Nazione del popolo ebraico”, e che è ora legge fondamentale. Questa legge stabilisce che dei “diritti nazionali” (in particolare l’accesso o anche solo la conservazione della proprietà di terreni e immobiliare, la sua tutela, a Gerusalemme stessa, dall’espropriazione violenta) non godono neppure gli Israeliani non-ebrei. Di quelli dei territori occupati, neppure parliamo. E bisogna anche sapere che la stessa Albanese, in occasione della pubblicazione del suo rapporto all’ONU, è stata, proprio sulla base della dichiarazione dell’IHRA, fatta oggetto di violentissime accuse di antisemitismo.

E allora continuiamo a dar voce alla Berlino delle voci dal basso. Sull’Avvenire del 10 marzo è comparso un Appello a Liliana Segre, persona giusta per eccellenza,  che “si batte contro ogni discriminazione e forma di razzismo”, perché aiuti a spezzare proprio questa falsa equazione, lei che di recente ha affermato l’insostenibilità dell’equidistanza fra chi viola il diritto internazionale e chi subisce la violazione. “Perché non estendere la sua affermazione anche al popolo palestinese, che dal 1948 è sottoposto alla più lunga occupazione militare della storia moderna”?

(Poiché la lettera a Liliana Segre  per ragioni di spazio è uscito con la lista delle firme troncate, la riproduciamo qui con l’integralità delle firme):

 

Gentile Senatrice Segre,

siamo un gruppo di viaggiatrici e viaggiatori che di recente hanno attraversato città e villaggi palestinesi.

Il nostro viaggio ci ha portati a vedere “con i nostri occhi” la tragica situazione di un popolo oppresso dallo Stato di Israele in molti modi:

– privato della continuità territoriale, della libertà di movimento, delle fonti di acqua, delle terre coltivabili;

– soggetto a violenze spesso ingiustificate da parte dell’esercito e dei coloni israeliani (ad esempio abbiamo visto una serra ad At Tuwani, costruita grazie al contributo della chiesa valdese italiana, distrutta dai coloni israeliani la notte dopo il suo completamento);

– segregato e frammentato da un muro, quel muro che Papa Francesco ha baciato nel 20141.

Abbiamo incontrato anche israeliani che si battono per la causa palestinese, tra cui la professoressa Nurit Peled-Elhanan, che ci ha parlato delle 65 leggi razziste in vigore in Israele:

leggi che non discriminano solo i palestinesi o gli arabi ma anche i cittadini israeliani se non sono ebrei.

Tra di esse troviamo, ad esempio :

  • la legge sulla proprietà degli assenti, che classifica i palestinesi che hanno lasciato le loro proprietà dopo il 1947 (durante la Nakba) come “assenti” e impedisce loro di rientrarne in possesso; al contempo, la legge sulle questioni legali e amministrative autorizza gli ebrei che nello stesso periodo hanno perso le loro proprietà a reclamarne il possesso;
  • la legge del ritorno, che garantisce cittadinanza israeliana a tutti gli ebrei: ma non esiste legge del ritorno per i Palestinesi, che pure sono nati nella stessa terra;
  • la legge sulla cittadinanza, che benché sospesa priva ancora del diritto di cittadinanza i palestinesi che vivono nei territori occupati e che sono sposati con cittadini israeliani: molte famiglie palestinesi sono perciò impossibilitate a riunirsi.

Amnesty International ha parlato a questo proposito esplicitamente di apartheid.

Francesca Albanese, Relatrice Speciale alle Nazioni Unite, nel suo “Rapporto sulla situazione dei diritti umani nei Territori Occupati dal 1967” denuncia l’impressionante quadro di illegalità in cui si attua la progressiva espansione territoriale israeliana con la confisca di terre ai palestinesi e l’istituzione di proprie colonie in Cisgiordania in un contesto di dominio militare, violento e doloroso, che annulla il diritto del popolo palestinese alla propria autodeterminazione.

Nelson Mandela sosteneva: “La nostra battaglia non sarà completa senza la libertà del popolo palestinese”.

 

Senatrice,

Lei si batte contro ogni discriminazione e forma di razzismo e di recente ha affermato “non è concepibile nessuna equidistanza; se vogliamo essere fedeli ai nostri valori, dobbiamo sostenere il popolo ucraino che lotta per non soccombere all’invasione, per non perdere la propria libertà”. Perché non estendere la sua affermazione anche al popolo palestinese, che dal 1948 è sottoposto alla più lunga occupazione militare della storia moderna?

Ci appelliamo a Lei, convinti che una sua presa di posizione possa dar voce a un popolo che rischia di essere dimenticato dall’attualità, ancor prima che dalla storia e dalla memoria.

Grazie per la Sua attenzione.

 

Sefora Adamovic

Pietro Alfano

Camilla Barberio

Marta Bianchin

Gabriele Bigongiari

Mannino Bordet

Stefania Breglia

Paula Brignardello

Renata Businaro

Carmelo Chitè

Donatella Ciampa

Marco Cola

Alessandra Conti

Giorgia Crisci

Filippo Cucinotta

Micol De Brabant

Roberta De Monticelli

Daniele Di Lazzaro

Luciana Freddi

Daniela Gallo

Marina Gavoglio

Lucia Intruglio

Marina Leonori

Pasquale Liguori

Anselmo Mantuano

Stefania Minghini Azzarello

Maria Enrica Palmieri

Federica Panzacchi

Eleonora Petrulli

Carla Poncina

Monica Pozza

Maria Raffone

Maria Robuschi

Tilde Rovigatti

Pamela Sagoleo

Chiara Santoriello

Adele Tinaburri

Luciana Visnaldi

Giacomo Zani

 

 

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