C’è troppo scialo di morte (D.M. Turoldo). La newsletter di Raniero La Valle

venerdì, 20 Giugno, 2025
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Riprendiamo qui La Newsletter 17/06/20255 di Raniero La Valle per PRIMA LORO, che è una dolente e lucida invettiva (cristiana? Ma certo universalmente condivisibile!) e anche  la ripresa di una profezia sul suicidio di Israele, e rinvia inoltre al testo di Jeffrey Sachs sulla storia del nucleare iraniano uscito oggi 20 giugno sul Fatto Quotidiano, oltre che l’estratto di un Mnifesto di un’ala della SPD tedesca. Straordinario, se si pensa che Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, a capo di un governo di democristiani e socialdemocratici, ha appena affermato che Israele sta facendo il lavoro sporco per l’Occidente. E certo le parole subiscono una ben strana torsione in politica, se il partito di Merz si chiama CDU,  Christlich Demokratische Union Deutschlands. D’altra parte, Vance si dice “cattolico”, e pare che oggi fra i peggiori sionisti da soluzione finale ci siano quelli “cristiani”. Meno male che Raniero c’è. 

SGOMENTO

Cari amici,

sgomento. Purtroppo, non c’è altra parola che questa per esprimere la nostra reazione di fronte alla turpitudine a cui, abusando dello Stato che tengono in mano, sono giunti gli autori del genocidio di Gaza e ora della guerra terroristica, “prossima alla vittoria” ma senza essere stata dichiarata, contro i fratelli iraniani.

Ma lo sgomento non è tanto per il pericolo a cui sono ormai esposte le nostre vite, come le vite di tutti, in questo ritorno alla “stato di natura” di uccidibilità generalizzata a cui ci hanno riportato i signori della fame e della guerra, ma soprattutto per l’identità di questi governanti e dei popoli che se ne fanno complici.

Anzitutto dei fautori dei valori dell’Occidente. Non li mettiamo tra virgolette – “valori” – perché sono veri valori: ad essi siamo stati allevati fin da bambini. abbiamo anche cercato di fare qualcosa per alimentarli e farli crescere fino a più alta statura; e non sono “nostri” perché proprio in quanto non sono “nostri” sono valori. Essi sono per noi non solo perché ce li hanno trasmessi Giustiniano, Fichte e Sturzo, ma perché sono stati portati sulle spalle di milioni di martiri, di servi signori ed operai, ed ecco ora parlano solo di morte, con la bella e dirimente legittimazione che gli altri sono pericolosi e cattivi, e forse un giorno avranno perfino l’atomica e si metteranno ad abbaiare. E lo si fa con la noncuranza di chi opera dall’alto di una sorta di superiorità castale, come diceva Dossetti a proposito della strage di Marzabotto.

Ma ancora di più siamo sgomenti (benché di questo non parli nessuno) per il nome oggi associato all’epicentro della crisi e del suo rischio estremo, che abbiamo sempre pensato non covasse in Ucraina e in Europa, ma tra il mare e il Giordano. Siamo profondamente addolorati cioè per il protagonismo egemone che in questa corsa alla rovina hanno assunto quanti non solo sono aggressori come gli altri ma agiscono in obbedienza e in difesa del sacro nome di Ebrei, esponendolo al pubblico oltraggio.  Qui noi siamo accomunati alle vittime dell’antisemitismo, e vittime noi stessi, non perché andiamo a misurare in che proporzione la fede ebraica sia inclusa nella nostra fede, e tanto meno quale tasso di identità semitica sia presente nella nostra eredità genetica o spirituale (anche come figli di Abramo), ma perché per nessuno, per nessuno, deve venir meno (né qui né nel “resto del mondo”) quel patrimonio prezioso che è il giudaismo, come del resto il cristianesimo, l’Islam, il giainismo.

Che deperiscano, è nell’andamento attuale delle cose, in questi tempi di modernità, ed è capitato a tutti, benché in forme diverse e in tempi diversi: certo oggi l’Ayatollah Khamenei non ha alcuna intenzione di venire a Roma per uccidere il Papa. Ma non si era mai visto che una religione della salvezza, e di una salvezza promessa a tutti, fosse alacremente allestita come veicolo all’abisso (“i carri di Gedeone”!) e come agente della fine; così come nessuno Stato confessionale era mai andato all’ONU a impartire la maledizione a metà del mondo lì presente. E meno male che si può lasciar fuori il nome di Dio, grazie all’escamotage moderno del “post-teismo”.

Ma il gioco potrebbe sfuggire di mano, e la stessa esistenza dello Stato di Israele potrebbe non più essere possibile. “Il suicidio di Israele”, questo grido d’allarme, lanciato da una eminente personalità ebraica come Anna Foa e da molti altri, purtroppo non è stato raccolto né dallo Stato Sionista né dalla Diaspora. La malattia letale ben nota in natura è la malattia autoimmunitaria, si scatenano tanti anticorpi per la propria difesa: antinucleari, antimissili, antiterrorismo, antislamismo, che ti uccidono perché si rivolgono contro te stesso, e l’onda d’urto potrebbe investire anche al di là dello Stato, tutto il popolo ebraico. Si avvererebbe così il paradosso che proprio l’ipotesi sionista, di rendere sicuro il popolo ebraico nel mondo attribuendo il monopolio della violenza per la sua difesa  allo Stato-nazione degli Ebrei, si risolverebbe nella causa del suo massimo pericolo; e troverebbero verifica, ma troppo tardi, le tesi di quella larga parte dell’ebraismo religioso e rabbinico secondo le quali le promesse messianiche non dovessero intendersi come volte a realizzarsi in uno Stato, se non al rischio di “una fiammeggiante apocalisse” (Taubes).

Questo rischio è stato corso anche dalla Chiesa cattolica in Occidente con il suo regime costantiniano o “di cristianità”, ma per fortuna ne è uscita con la perdita del potere temporale, il Concilio Vaticano II e papa Francesco.

Di tutto questo portiamo il dolore. Convinti, però, che la partita della salvezza non è chiusa. E nemmeno della pietà.

Nel sito pubblichiamo l’estratto di un articolo del prof. Sachs e di Sybil Fares sulla vera storia del nucleare iraniano.

e l’estratto di un manifesto per la pace di un’ala del SPD tedesco

Con i più cordiali saluti,

da “Prima Loro” (Raniero La Valle).

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