Claudio Luzzatti (1951-2025). Per te, in memoria di un’età migliore.

giovedì, 21 Agosto, 2025
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La prestigiosa rivista scientifica Cortex ha pubblicato un Obituary per Claudio Luzzatti, a firma dei suoi colleghi  Giuseppe Vallar, Alessio Toraldo, Carlo Semenza, che gli rende pienamente giustizia per quanto riguarda la parte di questo grande ricercatore scientifico e filosofico che è destinata a restare un nome vivido nella storia delle scienze della mente.  Paola Moriondo, compagna di studi a medicina e amica di tutta la vita, ha scritto una lettera agli amici per ricordarlo – in alcuni suoi aspetti che molto contribuiscono a fissarne l’immagine, inconfondibile – la lettera contiene anche un link al testo di Cortex ed è scaricabile qui. 

Claudio se ne è improvvisamente e del tutto inaspettatamente andato l’8 giugno scorso, e le sue esequie si sono svolte a Milano l’11 giugno 2025. Questo ricordo più personale che filosofico – ma lato sensu, dunque, anche filosofico – ha aspettato di aggiungersi a quelle raccolte di ricordi che gli amici dedicano a chi se ne va – e quanti amici ci sarebbero,  ben prima di me nella fila. Ma lo spazio dove è uscito l’obituary, nel suo respiro scientifico e internazionale, mal si presta a questo esercizio di memoria amicale, dai più modesti orizzonti. E allora finisce qui, e chi vorrà aggiungere altri ricordi troverà qui, se vorrà, tutto lo spazio per farlo.

 

Ciao Claudio.

Come aveva ragione, la zia Milli. Lei mi diceva sempre: tu per non soffrire rimuovi tutte le cose dolorose che succedono, nella vita. Ma stai attenta, perché se continui così quando sarai vecchia non avrai più memoria della vita, che contiene tutto, e quindi anche molte cose dolorose.

Come aveva ragione, mia madre. Perché a me sono rimasti solo gli sprazzi di cielo, di neve, di mare, di luce, anche quella della mente, la scoperta del mondo nell’adolescenza, del mondo grande e pieno di male e di furia e di bellezza.  Come quando partecipammo per la prima volta a una manifestazione, forse una delle prime contro la guerra in Vietnam – che forse eravamo a malapena in IV ginnasio. E poi nella mia memoria son rimasti, della vita adulta, solo i grandi amori: i maestri, i padri e le madri, i figli, le opere giuste nei giorni – così poche – e la ricerca, questa passione divorante che ancora mi accende perché, a differenza di te che hai segnato col tuo nome un lume, un lume vero e che resterà per sempre acceso sulla via della scienza di ciò che siamo, io non ho trovato nulla, nulla almeno che possa resistere alle maree della storia.

Come questa che stiamo vivendo e che pare stia trasformando un mondo che credevamo civile in un inferno morale, peggiore di ogni barbarie, e io mi chiedo, ora, con sgomento, come abbia in questi mesi vissuto tu, che non eri certo fra quelli che si voltano dall’altra parte, tutta questa apocalisse in terra di Palestina. Questo “suicidio di Israele”.

Ma in alcuni degli sprazzi di luce che soli restano, nella mia memoria, di ciò che fu la vita, tu ci sei. Ero lontana da casa e per questo non ho potuto  essere  lì, a Milano, l’11 giugno 2025, a dire queste cose, a ricordarle anche agli amici che erano lì. Queste cose che ben poco c’entrano con la tua figura di scienziato e in fondo di filosofo: eppure premono ora di più di tutta quella scienza di cui tu sei stato un protagonista e di cui anche la filosofia dovrà serbare nozione.

Sono lontana da casa e solo con la mente posso sfogliare gli album di fotografie della nostra infanzia, dove tu compari, orgoglioso sciatore sui declivi ancora abbondantemente innevati di Bormio, con dei pantaloni da sci talmente larghi da sembrare bandiere al vento, elegantissimi, beige – parevano fatti apposti per sottolineare lo stile con cui dall’alto della tua longilinea, filiforme figura guardavi giù al mondo dei compagni bambini d’avventura, sulle scie della zia Milli che ci guidava giù per le ardue piste di quei tempi lontani, che paiono di un altro mondo e di un’altra montagna.

E poi – foto non ne ho ma sono certa che c’eri – quel mattino dei nostri 16 anni, a una delle prime manifestazione contro la guerra del Vietnam a Milano. Era una calda mattinata d’aprile del 1968, quando, studenti delle scuole gioiosamente in piazza con gli universitari, ci risvegliammo improvvisamente cittadini del mondo, per quanto ignari ancora fossimo della storia patria e perfino delle speranze civili, già da un pezzo tramontate ma forse non del tutto rimosse, di quelli che avevano vent’anni o trenta nel ’48: i nostri genitori.

E poi la fine del liceo – non era lo stesso del mio, quello che frequentavi tu – io ero in classe con Beppe Vallar al Manzoni e certo non avrei immaginato allora che ti avrei ritrovato imbarcato in una stessa barca con lui, nei vostri studi che erano ricerca vera, sperimentale, sul modo di funzionare della nostra anima, cioè del nostro cervello incorporato fra il cranio e gli occhi, e le mani e i piedi e lo spazio, in quel punto che da fenomenologa avrei imparato a considerare il punto zero delle coordinate spazio-temporali della nostra vita.  Tutto fuorché cartesiane, quelle coordinate soggette a tutti gli abbagli e tutte le certezze della nostra fisica ingenua, ma anche della nostra esperienza sociale e morale, l’alto e il basso, il nobile e il volgare, l’ampiezza o l’angustia del nostro orizzonte, delle nostre speranze e ambizioni – questa parola che nasce dal passo delle nostre gambe, l’ambio dei bipedi razionali.

Certo che me le ricordo,  le discussioni sulla realtà che bastava una disfunzione dell’anima o del cervello a rendere surreale come in un disegno di Escher, con lo spazio dimezzato che pareva contenere tutto, e la fantasia orgogliosa che rimpiazzava le cose perdute con la spavalderia di un Peer Gynt, il favoloso affabulatore. Chi avesse approfondito il senso delle tue ricerche ben più di quanto lo potessi io, analfabeta in scienze neurobiologiche, avrebbe trovato un mondo più affascinante di quello delle fiabe e della fantascienza, e una scienza dell’anima più profonda di quella accessibile a un povero filosofo, rimasto alle nozioni comuni dei tempi di Socrate.

Me ne ricordo una in particolare, di quelle discussioni cui tu davi lo spunto e il filo, in cui davanti agli occhi stupefatti dei non addetti ai lavori venivano sciorinati i mondi possibili generati, non dal genio, ma dalla povera vulnerabilità di noi umani, creature fragilissime che così spesso si rompono, e pur così rotte raccolgono i cocci e continuano a vivere, in attesa di una scienza capace di aggiustarle…. Eravamo a Ginevra, a Plainpalais, seduti a un tavolino al sole, a fianco del parco dell’Università dove insegnavo la filosofia e i suoi dubbi antichissimi. Il parco che qualcuno aveva definito una periferia del paradiso: e tu eri venuto a trovarmi durante uno dei tuoi rientri in Italia da Aachen, l’Acquisgrana degli imperatori, dove la tua scienza imperava e tu eri uno dei suoi prìncipi.

Ma questo fu più tardi, molto più tardi…. Perché quello che più mi resta in cuore, ficcato lì come una scheggia, in profondità, è il sole di un sorriso tuo largo quanto la giovinezza, di un sorriso e di un riso che condividemmo allora, tenendoci per mano. Gli anni del liceo erano appena finiti, la vita pareva cominciare allora, sconfinata, luccicante come il mare d’estate. Ci fu un riso e un sorriso che fu solo nostro: fu un attimo, e poi ciascuno di noi riprese la sua via, e furono vie diverse, che ci portarono in mondi paralleli ma lontani. Quell’attimo si ruppe in mille schegge, e una m’è rimasta lì, ficcata in fondo al cuore, tanto in fondo che neppure la sentivo più, fino al momento in cui ho saputo, Claudio, che te n’eri andato. Senza dir nulla, senza avvertire nessuno. E allora quella scheggia l’ho sentita pungere acutamente, improvvisa, non so se più grata, più arrabbiata o più stupefatta. Perché te ne sei andato così, senza dir nulla, e lo spazio che ora ci separa si è ridotto a nulla, mentre il tempo della vita si è dispiegato improvviso, come un ponte sospeso su questo nulla, con le sue grandi arcate lucenti, in qualche misterioso modo – felici.

Ciao Claudio.

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Un commento a Claudio Luzzatti (1951-2025). Per te, in memoria di un’età migliore.

  1. Carlo Semenza
    venerdì, 22 Agosto, 2025 at 19:10

    Grazie Roberta,
    ho letto con molto piacere questo tuo ricordo di un caro amico, ancor più che collega e collaboratore. Me ne restituisci una parte che non conoscevo, ma che non mi sorprende. Claudio vivrà sempre nella nostra memoria. Mi dispiace non averti mai conosciuto, anche se di te ho sentito parlare e ho avuto notizia da Claudio stesso, Beppe e da siti pubblici. Grazie ancora.
    Carlo

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