Qualche riflessione su valori e virtù

martedì, 30 Giugno, 2009
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La prospettiva non è né fenomenologica né, più in specifico, scheleriana.

Ma quello che il filosofo dell’UniBg Matteo Amori dice di “virtù” e “valori” aiuta a riflettere sul tempo presente.

A seguire, un’intervista che ha rilasciato per Affaritaliani.it

e il link a un video di Salvatore Natoli.

Café Philo/ Matteo Amori ad Affari:
“Le virtù? Questione di vintage”

di Lodovica Maria Zanet

“Accidia ed etica, vizi e virtù d’oggi”. Il filosofo Natoli ad Affari. VIDEO

Dopo i gossip su Noemi Letizia e le feste di villa Certosa e, ancora di più, con l’inchiesta di Bari che coinvolge, oltre al premier, politici e imprenditori, la “questione etica” è balzata in testa all’interesse mediatico. C’è chi indignato auspica a un ritorno alla serietà, c’è chi sostiene che le vite e gli atteggiamenti privati non dovrebbero interessare il grande pubblico. Le parole vizio e virtù sono sulla bocca di tutti. Ma non sempre nella forma corretta.

Che cos’è l’etica? Che cosa significa comportarsi secondo virtù? Le risposte arrivano dalla filosofia. Una ventata chiarificatrice.

“Il problema è proprio questo. Si parla di virtù in astratto, ma mancano uomini virtuosi da incontrare e imitare”. Questa è la teoria di Matteo Amori, docente di filosofia e collaboratore presso la cattedra di Filosofia morale dell’Università di Bergamo. Nell’ambito dell’iniziativa Filosofia sui Navigli, Amori ha presentato un suggestivo itinerario alla scoperta delle virtù. Spiegando perché esse sono “abiti dimenticati” che dovrebbero però tornare di moda.

Professor Amori, che cos’è la virtù? Come la definirebbe?
“Definirei la virtù scegliendo una via “classica”: la virtù può essere definita solo guardando all’uomo virtuoso, a un uomo fatto in un certo modo e che compie certe cose. La virtù, come ricorda Aristotele, è una disposizione a determinate azioni. Essere fatti in un modo o nell’altro porta ad agire nell’una o nell’altra maniera. La virtù è quindi una disposizione costante all’esercizio della vita buona: è una “abitudine” o meglio un “habitus”, come lo chiamavano i medievali”.

A quali altre immagini ricorrerebbe per esemplificare le virtù?
“La tradizione classica elabora una grandiosa immagine: l’uomo virtuoso è l’uomo buono, il bravo condottiero, il buon governante. La virtù, inoltre, è sempre varia: la vita virtuosa è una vita ricca, sfaccettata, difficile da ricondurre entro schemi prestabiliti. Sarà un caso, ma nella lingua italiana il termine virtù non fa distinzione tra singolare e plurale. “La virtù” rimanda sempre a “le virtù”, e non può essere loro separata”.

Chi possiede alcune virtù è invitato o addirittura necessitato a possederle tutte? Si può esercitare una virtù senza arrivare a possedere anche le altre?
“La filosofia classica ribalterebbe il problema: l’uomo virtuoso non è colui che va alla caccia di tante virtù. È l’uomo che cambia vita, che migliora su tutti i fronti e inverte la rotta. La vita virtuosa cresce su se stessa, e gli uomini buoni non possono fare a meno di cercare la compagnia gli uni degli altri”.

La vita virtuosa è una vita buona. Ma è anche una vita bella? Non si parla forse del fascino delle virtù e della grazia di un’anima virtuosa? Ha senso parlare di un’estetica delle virtù?
“Certo le virtù portano a un “abbellimento”. La kalo-kagathìa greca è una bellezza e una bontà al quadrato: un termine rafforza e conferma l’altro. Bontà e bellezza sono due modi per dire la stessa cosa. Quindi la vita virtuosa è una vita bella, ma non nel senso estetizzante del termine. Piuttosto, è il bene ad essere bello e belle sono le cose buone. La virtù è bella perché splende, ma la sua bellezza può essere colta solo da coloro che sono educati a percepirla. È la bellezza di Socrate celebrata da Alcibiade nel Simposio, la bellezza nascosta di Cristo sulla Croce”.

Se la vita virtuosa è buona e bella perché le virtù sarebbero oggi “abiti dimenticati”? Ci sono delle virtù restate di moda?
“Oggi si parla molto di virtù, ma lo si fa in modo astratto: ci si riferisce alle essenze astratte delle virtù, che si chiamano valori. Non parliamo più di uomini giusti, ma della giustizia, anche se è possibile fare concreta esperienza di giustizia solo incontrando uomini giusti. Peccato che il problema della virtù è il problema di quale forma dare alla propria vita: non posso pensare che il tema della virtù non mi riguardi in prima persona”.

Nell’epoca in cui le virtù sono scambiate per i valori può capitare che ci si aggrappi a pseudo-virtù, a cose che sembrano portare alla vita buona eppure ne allontanano?
“Direi che ci sono alcune virtù private della loro radice virtuosa, virtù apparenti. Penso a certe forme di altruismo o di tolleranza. La tolleranza è tale solo se so chi sono io e chi è l’altro, e se attingo per suo tramite alla vera benevolenza. In caso contrario, resta un’essenza astratta, una forma sbiadita e astratta di convivenza civile”.

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