Su Neda, Antigone e filosofa

mercoledì, 24 Giugno, 2009
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“Era una studentessa di filosofia”. Così il breve commento, quasi il titolo, dei versi che un poeta ancora ignoto dedica a Neda: “La tua morte ha risvegliato il mondo/Il tuo sangue lastrica la nostra via/Leonessa del mio cuore – anima mia/…/Tu sei mia madre, mia sorella, mia figlia/…/Grideremo il tuo nome dai tetti di Teheran/Perché il mondo intero sappia/Che Neda era la nostra guida,/Era grazia e salvezza. Al tuo richiamo/ a migliaia si sono levate a combattere le leonesse…” .

Neda Salehi, 1982-2009, uccisa sotto gli occhi del mondo intero a Teheran e già diventata un simbolo. Un simbolo di cosa, esattamente? Tanto sconvolgenti le immagini che tutti abbiamo visto, tanto folta la selva delle voci, che se non ci si limita ad ammutolire bisognerebbe trovare parole limpide ed esatte a dirlo. E non è facile. Ma forse questo dato lo suggerisce, questo dato solo in apparenza casuale, secondario: “era una studentessa di filosofia”. Forse una condizione che è più simbolica dell’abito che Neda indossa – i jeans, le scarpe da tennis: un habitus più profondo. E anche se meno visibile, tuttavia più difficile da occultare, sotto un velo islamico o sotto la brutalità della repressione fisica, politica e teocratica.

È l’abito della ragionevolezza umana, la filosofia, questa religione dell’evidenza, questo abito di riflessione che è, come sappiamo da tutta intera la nostra storia, capace anche di farsi ribellione e sacrificio: ma che non può, una volta indossato, mai dimettersi. È l’abito che fa libero chi lo porta, per amore e curiosità del mondo, per meraviglia e desiderio di conoscenza, e perché più dei jeans e delle scarpe da tennis è l’abito della libertà. È l’abito del dubbio critico, ma anche della fermezza etica. È l’abito dell’autonomia, della legge morale che non sta altrove che in noi, ma anche della responsabilità dell’età adulta, e infine del rispetto dovuto alla persona umana: dovutole precisamente in quanto capace di chiedere perché, di chiedere ragione e giustificazione. Di chiedere ragione e giustificazione anche al despota. Di chiederla al prete, all’imam, a Eutifrone pio e sacerdote, al bieco demagogo che parla in nome del popolo.

Ma ecco il vero dato sconvolgente, sul quale davvero vale la pena di meditare. Neda è anche Antigone, l’Antigone dei nostri tempi. La sua morte ha risvegliato il mondo intero a un elementare sentimento di orrore per l’oscena violenza di quel potere che le nega addirittura i funerali: l’onore della sepoltura. L’esigenza assoluta, quella della pietas che non conosce proibizione e potere, è il sentimento che ha acceso in noi, lei che non di ancestrali e non scritte leggi del cuore s’è fatta volto e simbolo, ma del diritto, delle libertà civili e politiche, dell’intera dolce luce della modernità. Che seppellirà la shariah e il regime patriarcale, come irreversibilmente ha cominciato a fare fin da quando Socrate venne al mondo. E ora sorride dal volto delle ragazze, anche a Teheran. Jeanne Hersch, una donna che fu grande filosofa nel secolo tragico, il Novecento, ha dato della libertà la più bella definizione, quella che forse riassume davvero tutto ciò di cui Neda è simbolo. La libertà è l’organo del pensiero. Dove le ragazze studiano filosofia, l’osceno despota ha i giorni contati.

Articolo uscito su Il sole 24 ore il 23 giugno 2009, a pochi giorni dall’uccisone, a Teheran, di Neda Salehi, giovane iraniana scesa in piazza per manifestare contro il governo del proprio Paese, accusato di avere manipolato le elezioni.

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Un commento a Su Neda, Antigone e filosofa

  1. antonella astolfi
    sabato, 27 Giugno, 2009 at 17:01

    Mi sono chiesta spesso, forse ingenuamente, in che cosa consistesse, in definitiva e in concreto, l'”essenza” di ognuno di noi: trovo che in sede etica non si possa lasciare sospesa questa domanda, senza tentare di darvi una risposta. Certo, non sempre i nostri comportamenti ne costituiscono la manifestazione più fedele, dato che, a volte, magari sono anche in reciproca, aperta contraddizione. Tuttavia, esiste un nucleo che viene fuori in situazioni estreme, radicali, quando davvero siamo chiamati a consentire o meno a valori non negoziabili, o quantomeno dobbiamo decidere sulla nostra disponibilità a vivere certe esperienze, a viverle in un certo modo: accade quando avvertiamo il contatto con la parte più vera di noi, quando agiamo, arendtianamente, in un certo modo quasi di necessità… Perché non potremmo fare diversamente! Mi piace il pensiero che, nella figura di Neda, quest’urgenza tragica (e tuttavia irrinunciabile) si sia saldata e abbia anzi coinciso con il suo essere filosofa, inteso come dare testimonianza.

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