Libia: ragioni di guerra e di pace. Flores D’Arcais versus Massimo Fini

lunedì, 21 Marzo, 2011
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Strane cose accadono al bivio tra pace e guerra. Oggi Vittorio Feltri su Libero, a suo tempo fiero sostenitore dell’esportazione militare della democrazia in Afghanistan e Iraq, si schiera contro l’intervento Onu in Libia, che definisce una guerra da matti ipocrita e nociva. Sul fronte ex avverso, d’altronde, sono pochi i pacifisti smaniosi di sfilare contro l’imperialismo anglo-francese come ai tempi delle campagne di Bush e degli altri volenterosi (uno di questi è Gino Strada, come ci si poteva attendere). Nel frattempo, sul Corriere della sera, tanto per cambiare Sergio Romano semina dubbi, a riprova che a forza di osservare con distacco i fatti, può capitare di assopirsi in poltrona mentre la storia va (“chi sono questi ribelli!?”, si chiede l’ex ambasciatore angosciato, mentre fruga affannosamente tra le sue carte riservate… In effetti, trattasi solamente di svariate decine di milioni di persone lungo l’arco del Mediterraneo: perché avrebbe dovuto occuparsene?).

Ecco due opinioni a confronto che dovrebbero far riflettere su quanto insidioso sia, di fronte a certi dilemmi etici e politici, ragionare e agire senza se e senza ma.

Libia: le ragioni della guerra e della pace. Flores D’Arcais versus Massimo Fini. Da il Fatto quotidiano, 19 marzo 2011.

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4 commenti a Libia: ragioni di guerra e di pace. Flores D’Arcais versus Massimo Fini

  1. Claudio
    lunedì, 21 Marzo, 2011 at 11:56

    “ragionare e agire senza se e senza ma”….

    Leggendo Massimo Fini, mi chiedo perchè l’Onu non mostri lo stesso zelo per intervenire in zone come Tibet, Cecenia e Birmania (per non parlare di alcune zone dell’Africa dove sono in corso eccidi di massa).

    Sempre sperando poi che i bombardamenti della coalizione (giustificati dalla risoluzione Onu che avrebbe come motivazione la tutela dei civili) non causi per l’appunto vittime tra civili (il che sarebbe un’altra contraddizione)

    Senza contare la violazione di non so quante convenzioni o articoli (non ricordo se nella nostra costituzione esista un’articolo a proposito della non ingerenza in conflitti di altri paesi).

    Parlando per me, sono sempre contrario all’intervento armato per principio, tranne il caso in cui si venga attaccati “ingiustificatamente” nel proprio territorio, se poi la Libia riuscisse a inviare qualche aereo per bombardare il nostro territorio a mò di ritorsione, se è giusto difendersi sul proprio territorio (abbattendo l’incursore), non è giusto per me ricambiare tale ritorsione sul territorio libico. Qualsiasi giustificazione si imponga alle risoluzioni (la tutela dei civili), alla fine non fa altro che produrre una catena di conseguenze (nulla impedisce o impedirà ai libici pro-Gheddafi – e ce ne sono a centinaia da quello che leggo – di andare nei paesi occidentali a piazzare bombe.

    Va da sè che me lo aspettavo il comportamento del governo italiano in tale circostanza, persino l’intervento armato (come di fatto è avvenuto), comportamento assai prevedibile vista la politica priva di scrupoli di tale governo. Quello che mi stupisce, è l’affermazione di Napolitano, il quale fa una distinzione puramente retorica, ossia, che non si tratta di “guerra” ma di “operazione dell’Onu”, distinzione retorica che non serve a nulla, visto che si stanno sempre utilizzano delle armi (anzi,delle bombe in questo caso).

  2. Andrea Zhok
    lunedì, 21 Marzo, 2011 at 13:15

    Premesso che ci sono mille ragioni per essere sospettosi e vigili di fronte ad ogni intervento militare, le cui ragioni reali sono sempre almeno in parte diverse da quelle ufficiali, temo che le posizioni come quella di M. Fini, e purtroppo, anche quella di Gino Strada, siano insostenibili. Insostenibili sul piano delle argomentazioni usate, anche se magari, date altre argomentazioni sarebbe possibile sostenere efficacemente le stesse posizioni.

    L’argomentazione principale di M. Fini mi pare riassumibile nei seguenti termini: siccome le motivazioni alla base dell’intervento sono dubbie ed incoerenti (‘figli e figliastri’), allora l’intervento è sbagliato.

    Ma ovviamente non c’è nessun nesso logico tra premessa e conseguenza, a meno che ‘sbagliato’ non indichi un peccato morale sul piano delle intenzioni, nel qual caso il nesso c’è, è analitico, ma non ci aiuta a giudicare la situazione reale.

    Se intervento ‘sbagliato’ vuole intendere che la situazione che realmente si sta verificando (o che è plausibile si verifichi) è una situazione peggiore rispetto alla situazione che si sarebbe verificata nel caso in cui l’intervento non ci fosse stato, beh per sostenere questa tesi bisognerebbe addurre argomenti ben diversi da una generica condanna alle intenzioni degli intervenienti.

    La risposta di Gino Strada, per il quale ho il più grande rispetto ed ammirazione, mi lascia ancor più perplesso. All’intervistatore che gli chiede cosa ne pensa dell’intervento in Libia, Strada risponde di essere assolutamente contrario, in quanto sempre contrario all’uso della forza. Alla domanda successiva in cui l’intervistatore gli chiede se allora bisognava star a guardare, mentre Gheddafi bombardava la sua popolazione, Strada risponde:

    “Sono un chirurgo. Non faccio il politico, il diplomatico, il capo di Stato. Non so in che modo si è cercato di convincere Gheddafi a cessare il fuoco. E poi le notizie che arrivano sono confuse e contraddittorie.”

    Ora, giusto cielo, caro Gino, sei un chirurgo quando si tratta di giudicare una situazione reale nel merito, mentre sei un’autorità morale quando si tratta di giudicare la STESSA situazione, ma senza guardarne la realtà? Questo è francamente inammissibile. Se sei un chirurgo, ed un benefattore, nessuno ti ha chiesto anche di essere un filosofo od un opinionista; se ritieni di produrti in giudizi storici e politici, non puoi cavartela aggirando gli argomenti con un principio di autorità dato dall’essere un benefattore.

    Detto tutto ciò, che un intervento del genere possa essere pericoloso e possa venire orientato in direzioni che vanno al di là, o addirittura contro, la difesa dei civili è una possibilità concreta, e richiede, nei limiti del possibile, la vigilanza dell’opinione pubblica. Tuttavia, rammentando che su questo blog si è parlato a lungo di moralità e moralismo, credo si debba dire che sia la posizione di Fini che quella di Strada siano da interpretare come forme di moralismo inopportuno, che permettono agli ‘immoralisti’ di trovare comodi riferimenti su cui esercitare i loro strali.

  3. Carlo Conni
    lunedì, 21 Marzo, 2011 at 13:55

    Ecco un bell’esempio di anima bella: il pacifista dogmatico. Quello che ritiene sia meglio nessun atto che le possibili conseguenze di un atto. Quello che non si misura con la realtà ma rimane aggrappato ai suoi principi. Ma al di là di considerazioni morali mi sembra che l’argomento usato dai contrari all’intervento militare sia di questo tipo:

    (A) Se in Cecenia, Birmania, Tibet, Dharfur, ecc. non siamo intervenuti per impedire il massacro di civili allora non dobbiamo intervenire nemmeno in Libia.

    L’argomento è sbagliato perché non è coerente con le premesse. O meglio, è una premessa aggiuntiva incoerente con la principale.

    Le forma dell’ìargomento è un classico Modus Ponens

    P -> Q
    P
    Q

    Le premesse corrette sono le seguenti:

    (P1) In una situazione in cui un popolo è massacrato da un dittatore ecc. si deve intervenire per impedirlo.

    (P2) In Libia si è determinata questa situazione.

    (C) Si deve intervenire in Libia.

    La premessa aggiuntiva che se non lo abbiamo fatto in Cecenia allora perché farlo in Libia è dunque fuorviante e introduce un elemento di incoerenza nell’argomentazione. Dal punto di vista logico, si riconosce implicitamente che si è sbagliato fin ad ora a non intervenire, che si doveva intervenire, e contemporaneamente si afferma esplicitamente che è sbagliato intervenire.

    Certo non è solo con i sillogismi che si va in guerra ma è sicuramente meglio essere coerenti in rapporto alla logica che esserlo in rapporto ai propri indimostrati dogmi.

  4. Stefano Cardini
    lunedì, 21 Marzo, 2011 at 15:58

    Leggendo i giornali si resta stupiti. A distanza di anni si discute di pace e di guerra secondo coordinate identiche a quelle che, già ai tempi dell’invasione irachena del Kuwait (1990), lacerarono l’opinione pubblica. Ci si scambia le parti, in modi anche clamorosi, ma non lo stile argomentativo. Eppure il mondo è molto cambiato. E sono cambiati, nel diritto internazionale, i precedenti. Gli argomenti no, però. E ancora una volta si percepisce la mancanza di elementi conoscitivi profondi delle realtà di cui si discute. L’equazione Iraq = Libia, 2003 = 2011, per esempio, da che genere di riduzione o approssimazione nasce? Il tempo, la storia trascorsa tra queste crisi, le vicende così diverse di quei Paesi, sono passati invano? Non insegnano nulla, non cambiano nulla? Non c’impegna a nulla il fatto che da decenni, per finta o per davvero, lamentiamo la mancata evoluzione dei diritti umani (alla vita, alla libertà, alla felicità) nel mondo arabo, l’inerzia delle sue masse, tanto da essere arrivati a bombardarle e occuparle più volte per questo? Non deve modificare la nostra prospettiva il fatto che, attraverso i media globali arabi e Internet, sia maturato in milioni di giovani di quei Paesi un nuovo immaginario di sé e del futuro? Un esempio di questa sclerosi giuridica del pensiero etico e politico, che fa da contraltare a risorgenti logiche della pura forza, è offerto dal per altri versi apprezzabile Danilo Zolo, che sulla crisi libica non dice nulla che non avessimo già letto mille e mille volte, negli ultimi vent’anni, a propositoi del Kuwait, del Kosovo e così via. Vent’anni! E non riusciamo a fare null’altro che interrogarci sulla legittimità degli atti, unico metro di giudizio della politica estera accanto a quello del nudo interesse geopolitico bruto. Magari, scambiandoci le parti.

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