Eidetica del diritto e ontologia sociale. Il realismo di Adolf Reinach. Leggi un saggio dall’ultimo libro di Francesca De Vecchi (Edizioni Mimesis)

lunedì, 1 Aprile, 2013
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Copertina de Il realismo di Adolf Reinach

Eidetica del diritto e ontologia sociale.
Il realismo di Adolf Reinach. Eidetics
of Law and Social Ontology. Adolf Reinach,
the Realist
a cura di Francesca De Vecchi

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Eidetica del diritto, ontologia sociale e realismo sono le questioni al centro del presente volume. Adolf Reinach si occupa dell’eidetica della regione sociale e giuridica, di ciò che oggi chiamiamo “ontologia sociale”. Eidetica è, in Reinach, sinonimo di ontologia: è “dottrina a priori dell’oggetto”, scienza delle connessioni essenziali costitutive delle entità che abitano una determinata “regione ontologica”. Attraverso contributi di J. Benoist, J. Cantegreil, A.G. Conte, F. De Vecchi, P. Di Lucia, E. Husserl, O.G. Loddo, G. Lorini, L. Passerini Glazel, A. Reinach, A. Salice, B. Smith, L. Zaibert, W. Żełaniec, C. Znamierowski, il volume affronta tre tesi fondamentali dell’eidetica del diritto e dell’ontologia sociale: (i) Vi sono a priori sociali e giuridici; (ii) Vi sono atti essenzialmente sociali e giuridici; (iii) Vi sono a priori del diritto penale. La teoria fenomenologica dell’a priori capovolge la prospettiva kantiana dell’a priori conferendo alle essenze un primato sui concetti, all’ontologia un primato sull’epistemologia. Si tratta infatti di a priori ontologici: è questo il realismo fenomenologico e la rivoluzione che esso implica rispetto a Kant.

Francesca De Vecchi ha studiato filosofia alle università di Milano e Berlino, ha svolto attività di ricerca presso le università di Ginevra, di Losanna, di Berkeley e presso le “Archives Husserl” dell’ Ecole Normale Supérieure di Parigi. Dal 2008 è ricercatrice di Filosofia Teoretica alla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele dove insegna Ontologia sociale. È socia del Centro di Ricerca in Fenomenologia e Scienze della persona, dell’European Network of Social Ontology e del Berkeley Social Ontology Group. È autrice e curatrice di numerosi lavori di ontologia sociale pubblicati in volumi e in periodici italiani e internazionali, tra cui: La libertà incarnata. Filosofia, etica e diritti umani secondo Jeanne Hersch (2008), Culpabilité et rétribution. Essais de philosophie pénale (2011), Making the Social World. Social Ontology, Collective Intentionality and Normativity (“Phenomenology and Mind”, 2/2012), Three Types of Heterotropic Intentionality. A Taxonomy in Social Ontology (in Social Ontology, 2013).

Adolf Reinach (Mainz, 23 dicembre 1883 – Diksmuide, 16 novembre 1917), fenomenologo e filosofo del diritto, è stato uno degli allievi più brillanti di Edmund Husserl e (insieme con Edith Stein, Moritz Geiger, Roman Ingarden, Alexander Pfänder, Max Scheler , Hedwig Conrad Martius, Gerda Walther) uno dei massimi protagonisti della fenomenologia realista. Scopritore degli atti sociali e de I fondamenti a priori del diritto civile (1913), ha inaugurato, all’inizio del Novecento, le ricerche nell’ “ontologia regionale” che oggi chiamiamo “ontologia sociale”.

Leggi il primo saggio del volume:

Ontologia regionale sociale e realismo fenomenologico di Francesca De Vecchi.

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Indice del libro

Francesca De Vecchi
Ontologia regionale “sociale” e realismo fenomenologico p. 11

I. A PRIORI SOCIALI E GIURIDICI

Francesca De Vecchi
Che cosa sono gli a priori sociali e giuridici? p. 39

Edmund Husserl
Adolf Reinach † (1919) p. 49

Wojciech Zelaniec
Reinach’s Synthetic A Priori. An Attempt at A Refutationp. 59

Barry Smith and Wojciech Zelaniec
Laws of Essence or Constitutive Rules? Reinach vs. Searle on the Ontology of Social Entities p. 83

Amedeo Giovanni Conte
Deontica filosofica in Adolf Reinach p. 109

Francesca De Vecchi
Strutture a priori e leggi essenziali nell’ontologia sociale e giuridica di Adolf Reinach p. 123

Giuseppe Lorini
Due a priori del diritto: l’a priori del giuridico in Cesare
Goretti vs. l’a priori giuridico in Adolf Reinach
p. 151

Paolo Di Lucia
Ontologia del deontico: Reinach, Znamierowski, Kelsen p. 171

II. ATTI SOCIALI E GIURIDICI

Francesca De Vecchi
Che cosa sono gli atti sociali e giuridici? p. 187

Adolf Reinach
Atti non-sociali e atti sociali [Nichtsoziale und soziale Akte] (1911) p. 195

Czeslaw Znamierowski
Oggetti sociali e fatti sociali [O przedmiocie i fakcie spolecznym] (1921) p. 213

Jocelyn Benoist
Che cosa rende “sociali” gli atti sociali? Osservazioni sul realismo sociale di Adolf Reinach p. 229

Olimpia Giuliana Loddo
Percezione vs. recezione dell’atto giuridico in Adolf Reinach e Ernst Zitelmann p. 245

Francesca De Vecchi e Lorenzo Passerini Glazel
Gli atti sociali nella tipologia degli Erlebnisse e degli atti spontanei in Adolf Reinach (1913) p. 261

Lorenzo Passerini Glazel
Due fenomenologie dell’atto giuridico: Adolf Reinach vs. Czeslaw Znamierowski p. 281

A PRIORI DEL DIRITTO PENALE

Francesca De Vecchi
Vi sono a priori del diritto penale? p. 301

Julien Cantegreil
On Reinach’s 1905 Dissertation On The Concept
Of Causality In The Criminal Law in Force
p. 309

Leo Zaibert
The Apriori Foundations of the Criminal Law p. 321

Alessandro Salice
A priori e fattispecie di reato: Adolf Reinach sul significato della riflessione per il diritto p. 339

Francesca De Vecchi
Eidetica della premeditazione [Überlegung]:
connessione a priori vs. connessione simbolica
p. 359

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Un commento a Eidetica del diritto e ontologia sociale. Il realismo di Adolf Reinach. Leggi un saggio dall’ultimo libro di Francesca De Vecchi (Edizioni Mimesis)

  1. giovedì, 4 Aprile, 2013 at 15:16

    Vorrei in primo luogo esprimere a Francesca De Vecchi profonda gratitudine per questo utilissimo Reading che non solo ci familiarizza con gli esiti contemporanei della ricerca di radice fenomenologica in ontologia sociale, ma introduce anche – in particolare con il saggio introduttivo presentato in questo Lab – proprio tutti, anche i più giovani e i meno esperti, alle principali fonti classiche di questa disciplina, letteralmente costituita nel primo trentennio del secolo scorso, come molte cose che avrebbero potuto letteralmente rinnovare non solo la filosofia ma il modo di concepire e di fare scienza, cultura, diritto e politica. E’ strano, da qui, in questa città rifiorita dopo la fine della guerra fredda, ma che non osa neppur riutilizzare le parole degli anni Trenta per paura che siano state sporcate o compromesse, ci sia accorge dell’immensità di ciò che è andato perduto quando lo Spirito della Forma, due ali delle quali erano Gestalt e Fenomenologia (ma ce ne erano molte altre, di queste ali), disperso ai quattro venti, ha lasciato luogo alla polvere, la polvere del riduzionismo ontologico forsennato e inconsapevole di un pensiero “spensierato”, per usare un aggettivo perfetto, che una volta proprio Francesca trovò.
    Vorrei affrontare solo un tema, collaterale alle cose di cui si parla in questo libro. Giustamente Francesca distingue, con le due principali fonti classiche, la teoria husserliana degli atti intersoggettivi da un lato, la teoria reinachiana del dato come risorsa normativa dall’altro. Sull’orizzonte di Husserl – ma in fondo anche di Reinach, e numerosi fenomenologi che poi se ne sono occupata – resta quello che chiamerei l’enigma dell’ontologia sociale: un collettivo è qualcosa di diverso da una somma, un altro tipo di intero? Questa prima parte della domanda a me non sembra un enigma, credo si possa argomentare che molti collettivi sono interi diversi da mere somme. Ma ce n’è una seconda parte che mi pare costituisca un vero e proprio enigma: la cui mancata soluzione non permette all’ontologia sociale di costituirsi pienamente, almeno – e vorrei per ora limitarmi a questo – nella versione di mezzo secolo dopo, quella di Searle. Questa seconda domanda chiede: può un collettivo esistere come soggetto? Se non vado errata, se si crede che un’intenzionalità condivisa ci sia si tende a rispondere di sì, se si risponde di no si riduce l’intenzionalità condivisa alla semplice sfera, che nessuno ha mai messo in questione, della comunicazione: io capisco quello che mi dici, lo approvo, lo disapprovo, lo accolgo come (anche) mia opinione, lo confuto, etc. etc, e questo per tutti gli atti espressivi, eteroscopici o allelici (oddìo è giusto?).
    Ma se NON c’è intenzionalità collettiva, se non c’è un collettivo che è “come” un soggetto, come “lo spirito”, direbbe Ferraris, allora in effetti la teoria searliana degli oggetti sociali vacilla.
    Il punto che vorrei sollevare riguarda il problema del rapporto fra potere e consenso. John Searle mostra persuasivamente (nel cap. 7 di Creare il mondo sociale) che esercitare il potere non è necessariamente esercitare una qualunque forma di coercizione sulla volontà altrui, che anzi il caso “normale” è l’esercizio del tutto consensuale di questa capacità di ottenere anche attraverso azioni altrui effetti voluti, quando chi lo esercita in realtà amministra, a se stesso e agli altri, doveri, diritti, obblighi, impegni.
    Tuttavia , a rigore, consentire veramente non si può che liberamente, in prima persona ed esplicitamente. Ma non solo nel novanta per cento della storia umana, ma anche in una grandissima parte della vita delle moderne società democratiche la distribuzione del potere non si fonda affatto sul consenso personale degli individui. E questo è un punto che anche nelle pagine searliane emerge attraverso un’ambiguità della nozione di consenso fra un riconoscimento senza il quale gli oggetti e gli status sociali si dissolverebbero come neve al sole – una banconota che più nessuno riconosce come tale, o a maggior ragione un presidente – e un’approvazione esplicita e personale che invece nella maggior parte dei casi, oltre a non esserci affatto, non è affatto richiesta al singolo, e sarebbe anche ben poco influente al funzionamento della macchina complessiva.
    Se la nozione di consenso è ambigua, però, il solo contenuto dell’intenzionalità sociale operante in questa fondazione in ultima analisi “razionale” dell’ontologia sociale minaccia di sparire. Questa sorta di nucleo filosofico duro del contrattualismo che è la teoria di Searle, minaccia di dissolversi. E la distinzione alla quale lui teneva fra ontologia sociale e teoria “politica” non minaccia di sparire di conseguenza?
    Come risponde la fenomenologia?

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