Sul colore dell’indifferenza, di Roberta De Monticelli

giovedì, 17 Ottobre, 2013
By

Che meravigliosa chiarezza nelle parole di Barbara Spinelli: “fare l’impossibile –mescolare pietà e orrore – perché l’impossibile e il difficile sono sorte dell’uomo che pensa, conosce se stesso, non segue l’istinto” (“Repubblica”, 16/10/2013 http://www.repubblica.it/politica/2013/10/16/news/priebke_commento_spinelli-68697146/?ref=search). Affondano come lame nell’infinito dell’esigenza che la giustizia pura pone alla coscienza umana – anche di fronte al cadavere di un gerarca nazista che fino all’ultimo si rifiutò di riconoscere il vero. Anche a lui, proprio a lui, è dovuta una sepoltura. Gli è dovuta perché “tutto sta a non prendere il suo colore” – un colore di morte. Chi ha suggerito di gettare le sue ceneri in una fogna ha preso il suo colore. Ha accettato di somigliargli, come chi ha infierito sui cadaveri di Saddam Hussein, di Gheddafi, di Bin Laden.

“Tutto sta a non prendere il suo colore”. Che profonda verità sta in questa immagine. Il colore dell’ingiustizia è un colore stinto, mimetico, cangiante. Un colore ambiguo, di topo o di piombo. Il colore della mescolanza. Non di orrore e pietà – che dove la pietà, pur muta, sopravanza l’orrore è letteralmente vittoria sulla morte, e per questo cosa sovrumana. Ma mescolanza di bene e di male, mescolanza in cui risiede il vero male. Perché il male assoluto, il male da tutti riconosciuto tale, ha perduto l’artiglio: e infatti il male assoluto, se ci pensate, esiste per noi solo al passato, quando ha finito, per lo più, di uccidere. Così è la menzogna quando è da tutti riconosciuta tale – non fa più male a nessuno. Male vero fa quando è ancora mista di verità, e per questo tanti se ne credono legittimati a distogliere gli occhi dalla parte di menzogna. Anche la menzogna uccide solo finché non è assoluta. E’ questa la sorte del male: medietà, mescolanza, ambiguità. Il suo color di topo è indifferenza, ignavia, terzismo: banalità. E’ la ganga sociale e consortile di cui si nutre ogni potere fondato sulla forza e su quel consenso passivo, impersonale e senza volto di cui è fatta infine sempre la violenza, e in primo luogo la violenza fatta alla verità. Il potere del farabutto è nel silenzio di chi non gli chiede ragione. Ci sono silenzi che hanno la stessa natura della nebbia e del fumo: offuscano le differenze, ottundono l’attenzione. O fanno prendere la consistenza e il colore del fumo anche alla parola, la cui essenza è luce, distinzione, chiarezza.
Di questa natura è il silenzio indifferente e il brusio come di un brulicar di topi – chi vincerà in quel partito, cosa farà quel capo, quanto ci guadagniamo noi – che rende tutta di un indistinguibile colore la grande stampa, e quasi tutta la grande informazione: color di morte, color di nulla. Pensate alla protesta di quasi mezzo milione di cittadini contro il metodo piè-di-porco con cui un decreto governativo ha forzato la serratura della Costituzione, l’articolo 138 che stabiliva i modi e i tempi per modificarla. Pensate a Piazza del Popolo gremita di persone accorse a denunciare l’arroganza di chi crede di star seduto sopra la costituzione, e non sotto: chi l’ha vista, sui canali televisivi dei servizi pubblici? Pensate alle decine e decine di migliaia di individui che da pochi giorni tentano di far valere la loro voce contro il ventilato provvedimento di amnistia qui ed ora, e nessun grande giornale ne sta dando notizia. Immaginate tutte queste persone nella solitudine del loro grido muto, privato di suono, soffocato. Con loro sta rischiando la sepoltura anche ciò che resta della nostra democrazia.
Per questo dobbiamo essere tanto grati alle rare voci che avendo pubblico ascolto distinguono sempre con nettezza, dove bisogna farlo, il bene dal male, sciogliendo la mescolanza color di morte. Esse ci restituiscono un soffio di libertà. Se libertà è “sorte dell’uomo che pensa, conosce se stesso, non segue l’istinto”. Per un attimo, ci liberano dal male. E insieme dal brutto che sta devastando la Penisola, dalla violentata fragilità delle sue montagne alla stuprata bellezza dei suoi golfi, dei suoi mari, delle sue colline e delle sue città. Non è vero che questo non c’entra: c’entra eccome. Anche il brutto, come il basso e il vile, come l’ingiusto e il falso, cresce nel silenzio dell’indifferenza, e prende il suo colore di morte. Simone Weil vide bene il perché. “E’ falso che non ci siano legami fra la perfetta bellezza, la perfetta verità, la perfetta giustizia; ci sono più che dei legami, c’è un’unità misteriosa, perché il bene è uno”.

Tags: , , , ,

Un commento a Sul colore dell’indifferenza, di Roberta De Monticelli

  1. Marina Corona
    sabato, 19 Ottobre, 2013 at 17:24

    Roberta a me è piaciuto, non mi è sembrato per nulla cervellotico, anzi, dati i tempi estremamente coerente con la realtà. solo che oggi purtroppo chiunque parli ( anche fosse Dante) rischia di aggiungere rumore a rumore: ci sono così tante voci e tutte insieme secondo me sono troppe: nessuno riesce più a pensare un “proprio” pensiero. Forse per questo ti hanno detto che è cervellotico. in realtà ho sempre stimato molto Barbara Spinelli e tu hai ragione quando parli di bene e bello rischiarati da un’identica aurora. porterò le poesie. A stasera Marina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


*