Riflessioni sull’appello di “Libertà e Giustizia” (Roberta De Monticelli)

giovedì, 3 Aprile, 2014
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C’è una questione che vorrei sollevare. Riguarda la presa di posizione pubblicata qualche giorno fa sul sito di  “Libertà e giustizia”(http://www.libertaegiustizia.it/), fra i promotori della quale sono Nadia Urbinati, Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassarre, cui hanno aderito numerosi cittadini, fra questi grandi giuristi come Stefano Rodotà (ma anche comici di ben diverso rilievo, uno grande come Dario Fo e uno come Grillo), e anche, nel suo piccolo, chi scrive.

Ma ho bisogno di una premessa. “Libertà e giustizia”  non è un partito politico né “fa politica”, ma raccoglie persone che intendono la cittadinanza come un impegno attivo, e non limitato al momento del voto. Un impegno che è un esercizio di attenzione e di riflessione critica, quindi di partecipazione allo “spazio delle ragioni”, che è quello del dibattito pubblico – anche se sempre meno voce hanno “le ragioni” rispetto alle urla, agli slogan, ai match di pugilato televisivo o ai cinguettii. Ho sempre pensato che questo modo di intendere la cittadinanza fosse guidato da una concezione della democrazia pochissimo standard, anzi pochissimo politologica e probabilmente ingenua: democrazia è secondo quest’idea il regime politico in cui – in ultima analisi – la difesa e la realizzazione della giustizia è affidata ai cittadini. Questa concezione è meno peregrina di quello che sembra, perché è il solo modo di non trasformare in un mostro l’idea della sovranità “del popolo”. Se la sovranità appartiene al popolo, non c’è risposta alla domanda: chi difende la democrazia se il popolo decide democraticamente di sopprimerla? C’è solo un insieme di “forme e limiti” all’esercizio di questa sovranità,  organi di rappresentanza, poteri distinti, equilibri e contrappesi, una Costituzione. Ma nessuna di queste forme e limiti è sacra e intangibile, e quella che è intangibile – la parte immodificabile della Costituzione – ha anche di per sé ben poca efficacia sulle norme vigenti e sulla loro modificazione. Non più di quanta lo “spirito” ne abbia sulla forza, o la legge morale (in quanto distinta dalle leggi vigenti) sui comportamenti effettivi dei delinquenti.

Con questo veniamo al punto. Lo spirito della Costituzione, riassunto nei suoi Principi Fondamentali, non si difende da sé: è il fondamento e la fonte di validità di tutte le disposizioni efficaci, le norme o meta-norme che la Costituzione contiene, ma non vive che nella memoria, nella consapevolezza e nella coerenza dei cittadini che idealmente questo spirito unisce. Non vive quindi che nella loro ragione e nella loro voce, o meglio in quello strato della loro partecipazione che non è propriamente “politica”, ma “prepolitica”. In breve: non esprime interessi parziali, ma la cornice ideale di qualunque ordinamento di priorità di interessi e valori, cioè di qualunque progetto politico. Questa cornice è il recinto condiviso, all’interno del quale soltanto l’agone politico si distingue dalla guerra civile e uno Stato da un’associazione di banditi, che non ha altra legge costitutiva che i propri interessi.

Perciò una filosofa ha scritto che la sovranità della sovranità è la giustizia. O, che è lo stesso, l’insieme dei valori che questa implica e che la nostra Costituzione riconosce. Ma questa giustizia è indubbiamente affidata ai cittadini: è nella chiarezza e nella forza delle loro ragioni. Voglio dire che a questo livello la cittadinanza attiva è espressione di idealità, non di interessi. E precisamente di quell’eccedenza dell’ideale sul fatto e sulla forza, senza la quale non esisterebbe un miracolo come il governo della legge, in quanto opposto all’arbitrio di questo o quell’uomo o gruppo di potere.

Fra questi valori ce ne è uno, tanto fondamentale da essere quasi il presupposto di tutti gli altri. Perciò non ha una sua esplicita formulazione. Lo si potrebbe tuttavia descrivere così. Debbo potermi fidare di chi decide, in nome mio e degli altri cittadini, la modifica e l’aggiornamento delle regole del gioco politico: quindi la modifica “delle forme e dei limiti” entro cui si svolge il nostro esercizio di sovranità. Senza questa fiducia, e la correlativa affidabilità, semplicemente non esiste una Repubblica, ma appunto e di nuovo solo una forzosa convivenza e una infida sudditanza. Ma nessuna simile fiducia può essere accordata non dico a un uomo, ma a un governo come tale, in quanto si tratti, non di governare mantenendosi il più possibile al potere, ma di cambiare, non in funzione propria ma per il bene di tutti noi, le regole stesse della politica, ad esempio della rappresentanza o della divisione dei poteri.

Ma quale è, appunto, l’attuale iniziativa del governo? Come ha sottolineato Zagrebelsky (intervista a “Piazza Pulita”, 31 marzo), è tutto un sistema che si tocca pezzo a pezzo – senza un apparente disegno unitario e coerente:   “La prospettiva di un monocameralismo si somma alla nuova legge elettorale con liste bloccate, a deputati nominati, al rafforzamento della figura del premier, alla nuova forma che hanno ormai assunto i partiti, macchine nelle mani di un capo”. E infatti ci hanno lasciato intendere che occorrerà modificare qualcosa come ottanta articoli della Costituzione (intervista a Sandra Bonsanti, “Corriere della Sera” 2/4/14). Questo vuol dire riscrivere la Costituzione.

Calamandrei non avrebbe voluto presente un governo ovunque si discutesse di materia costituzionale. Anche Massimo Cacciari, che non è certo un moralista in politica, ha detto chiaro e forte questa sera di fronte alla giornalista Daria Bignardi che a riscrivere una Costituzione deve essere un’Assemblea Costituente – e non un governo, tanto più poi come questo.

C’è stato un profluvio di sdegno – addirittura – inclusivo di parole sprezzanti e insulti, contro le voci di coloro che hanno sollevato obiezioni di metodo e di merito rispetto al pacchetto Italicum-abolizione del Senato elettivo/modificazioni a seguire. Ma credo che molto più delle intimidazioni o degli epiteti volgari siano degni di nota i numerosissimi interventi – di cui traboccano anche le conversazioni private o i social network – in difesa dell’iniziativa governativa anche solo perché è un’iniziativa, un cambiamento di qualche tipo, quale esso sia.

Perché ci sono aspetti sotto i quali questi interventi potrebbero avere ragione. Ho individuato due argomenti forti possibili. Il primo è: avete dato ragioni ideali alla palude – a queste sanguisughe della Repubblica che sono i politici del malaffare o i burocrati dell’immobilità che per loro vale tanto oro quanti sono i minuti di inerzia. Il secondo è:  non avete capito nulla tecnicamente, il bicameralismo perfetto è un residuo di anni lontanissimi e non ha più giustificazione razionale, e le misure prospettate non hanno niente a che vedere con un rafforzamento dell’esecutivo o un plebiscitarismo o un’involuzione autoritaria.

Anche scontando le contro-obiezioni – nessuno dei proponenti il documento di Libertà e Giustizia ha mai difeso il bicameralismo perfetto come tale (Rodotà lo ha molti anni fa condannato); le obiezioni riguardano al fondo (anche Cacciari lo ha detto questa sera) l’apparente assenza di disegno coerente, e la palese presenza invece di argomenti demagogici, resta pur sempre un fenomeno doloroso: l’apparente impermeabilità reciproca delle obiezioni e delle risposte, dei critici e dei sostenitori. E questo – ben prima del progetto mal congegnato e del metodo spiccio – vanifica completamente il ruolo e il senso del dissenso, che è come noto il sale della democrazia. Perché il dissenso serve a creare nuovo e migliore senso, non a far piangere o ridere, come fanno i comici.

E allora vorrei proporre una conclusione a questa lunga riflessione. Ci deve essere stata un’enorme sottovalutazione della tragedia, da parte di tutti noi. Alcuni di noi hanno creduto che vigesse ancora il regime democratico in cui chi dissente aiuta chi governa a fare meglio, se meglio si può. Altri hanno creduto che si sia gridato “al lupo” inopportunamente, rischiando di rovinare una chance di rinnovamento vero della vita politica democratica (per difficile che sia crederlo).

Ma forse nessuno di noi ha ancora visto a quale profondità si annida il tarlo che rode l’ideale. Quanto l’idealità sia stata appiattita sul fatto, e il diritto sul potere. Quanto lo spirito – lo spirito, non la lettera – della Costituzione sia morto – nella mente e nel cuore dell’80% degli italiani (a stare a i sondaggi sul sostegno al disegno governativo). Quanto il presupposto di tutto – devo potermi fidare di chi cambia le regole, e non posso fidarmi di chi lo fa per se stesso e non per un’idea – non esista più. Il dramma è che a questo 80% non fa alcuna differenza che un’idea – nel senso di un ideale – non ci sia proprio, nel “governo del fare”. E allora, se sono gli “intellettuali” ad essere sotto accusa, questa accusa ce la meritiamo. Chi, se non noi, avrebbe dovuto tenere in vita il senso della differenza fra l’idealità e la volontà di potenza? Evidentemente, non ne siamo stati capaci.

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19 commenti a Riflessioni sull’appello di “Libertà e Giustizia” (Roberta De Monticelli)

  1. Stefano Cardini
    giovedì, 3 Aprile, 2014 at 22:17

    Personalmente non mi riconosco in questa rappresentazione, cara Roberta. E non vi riconosco la realtà che abbiamo di fronte. Le speranze suscitate da questo inizio di processo riformatore, certo anche a seguito di una pluridecennale frustrazione sfociata in un micidiale senso d’impotenza, sono al contrario intrise d’idealità. E non sono affatto indipendenti da qualunque questione di merito. Semplicemente, riconoscono, come non solo in politica ma in generale nella vita l’etica impone di fare, i limiti della situazione, che non è esattamente promettente al fine dell’elezione di un’Assemblea Costituente che, ammesso trovi un qualunque accordo, si ponga il proposito di scrivere davvero una nuova Costituzione. Teniamo la Carta al riparo, Dio mio, da una sciagura del genere. Questo non significa che non si possa avviare un processo riformatore, però. Basta usare la Costituzione che c’è, appunto. Che stabilisce che il Parlamento può modificare la legge elettorale con legge ordinaria. E può riformare il Senato con procedura costituzionale. E che a garanzia di questo percorso stabilisce che se tutto questo avrà un esito davvero non compatibile con la Carta, il Presidente della Repubblica in fase promulgativa o la Corte Costituzionale interverranno. Come pure, dati i numeri, gli italiani con un passaggio referendario. Non vedo che cosa ci sia di così preoccupante in tutto ciò. Milioni di italiani, molti dei quali anche appartenenti alla sedicente minoranza riflessiva, dopo trent’anni passati a discutere dentro e fuori dal Parlamento dei pro e dei contro del maggioritario e del proporzionale, dei pro e dei contro del premierato forte, dei pro e dei contro del bicameralismo perfetto, dei pro e dei contro di una miriade di altre cose, hanno perso completamente fiducia in formule retoriche che gran parte del fronte del no usa, come: “aprire un dibattito vero” o ” un campo di riflessione più esteso”, “fare un approfondimento complessivo”, “un discorso più ampio”, che non indicano nessuna concreta strategia operativa. Che cosa si dovrebbe fare? Una nuova commissione bicamerale? Un convegno internazionale? Un’assise accademica? A quale processo deliberativo si sta pensando di diverso dal cercare fattivamente una base più ampia della maggioranza di governo attorno ad alcune linee guida, comunicarle pubblicamente così che se ne discuta, raccogliere le obiezioni, valutarle, approvare un testo governativo e sottoporlo alle Camere? Ho poco più di quarant’anni e da trenta subisco lo stillicidio quotidiano di problemi sempre giudicati con alto sussiego o troppo complessi, o altrove o malposti o non abbastanza approfonditi per cominciare a provare a risolverli: accade nell’università, accade nelle imprese, accade nei sindacati, accade nei partiti. Questo refrain è destinato al fallimento, ormai. La forza di Renzi, che sta conquistando anche i non “renziani”, è che non ci dice più, a quarant’anni suonati, di essere prudenti, pazienti ecc, ci dice “se non ora quando?” Ed ha ragione. Non è più possibile tornare a ridiscutere sempre delle stesse cose. Perché il degrado che Rodotà paventava nel 1985, quando proponeva di passare al monocameralismo per restituire insieme alla capacità di decisione anche la responsabilità politica al Parlamento, è arrivato a un punto tale da far apparire un Renzi Churchill a paragone di quanti invocano un mondo migliore dai contorni totalmente vaghi senza suggerire mai nulla di concreto, praticabile, realistico o anche solo lontanamente risolutivo. Personalmente un Parlamento di due camere con maggioranze diverse spaccato in tre tronconi incapaci di trovare una sintesi diversa dalle deprecabili e deprecate larghe intese e che spreca il suo tempo a porre rimedio, senza riuscirci, a un “regionalismo” della spesa che ha moltiplicato le clientele ed inefficienze storiche della nostra pubblica amministrazione per 21, non lo voglio più. E non lo voglio più ora, perché è dal 1992 almeno che ci hanno promesso che avrebbero fatto qualcosa e io voglio giocarmi finalmente la partita dopo aver trascorso trent’anni a ponderare dottissimi ma sterili distinguo. Avrei preferito il maggioritario a doppio turno, preferirei una soglia più alta per il premio di maggioranza, preferirei fosse stralciato il salva Lega, una soglia di partito più bassa ecc ecc. Ma se nessuna forza politica sa organizzare in Parlamento un’azione per ottenere neppure una di queste cose, mi va bene anche l’Italicum e il Senato delle autonomie: perché non saranno entusiasmanti, forse, ma sono costituzionali (mi permetto di dire, altrimenti non ci sarebbe tanto allarme) e credo sufficientemente funzionali nel restituire alla politica quel minimo di responsabilità decisionale senza la quale la rappresentanza è solo una parola vuota. Se qualcuno ha altre idee circostanziate e operative, si faccia avanti. Il resto è parlarsi addosso e per alcuni prendere tempo nella speranza di preservare la propria piccola rendita di posizione: politica, economica, intellettuale. Quando leggo l’intervista a Gustavo Zagrebelsky in cui parla della riforma in discussione come di «un annuncio di rischio», che nell’insieme gli «pare configuri, come si usa dire, una fuoriuscita» dalla Costituzione, mentre a lui piacerebbe «si discutesse d’un Senato autorevole, elettivo, per il quale valgano rigorose norme d’incompatibilità e d’ineleggibilità, sottratto all’opportunismo indotto dalla ricerca della rielezione» sono colpito dalla vaghezza e dal contrasto tra l’allarme gridato e la banalità dei rilievi che vengono mossi, peraltro del tutto fuori tema (che c’entrano e chi esclude l’incompatibilità, l’ineleggibilità, o il rifiuto dell’opportunismo indotto dalla ricerca della rielezione…?). Se si vuole assumere un ruolo credibile nel processo deliberativo iniziato, e non si vuole a tutti i costi semplicemente arrestarlo, non ci si può esprimere così. Bisogna dire dove si vorrebbe intervenire e come e perché. E adoprarsi pragmaticamente allo scopo. Non è un fatto di idealità versus interesse, etica versus politica, dicotomie molto discutibili. Che cosa significa mai che Libertà e giustizia non fa politica? Che bassa idea della politica si propugna per prenderne così le distanze, come se servisse a nobilitarsi o bastasse a rendere più perspicui i propri argomenti: certo che fa politica Libertà e giustizia, come la facciamo noi qui che scriviamo. O con quel discorso sull’ideale e l’interesse, s’intende dire che chi non la pensa come Libertà e giustizia, Il Fatto quotidiano, Grillo &Co è o segretamente o inconsapevolmente mosso da qualche oscura finalità di parte? Non c’è il rischio, non dico di sopravvalutarsi, ma di sottovalutare un poco gli altri? Sarebbe come dire che sono “o disonesti o cretini”, come già ho udito sentenziare altrove. E se invece vedessero meglio e più lontano? C’è sempre questa possibilità, sapete?

  2. Corrada Cardini
    venerdì, 4 Aprile, 2014 at 00:41

    Mi rendo conto che è imbarazzante, ma c’è a mio avviso una tale evidenza nelle parole di Stefano che è pleonastico aggiungere parole. Vorrei sottolineare, però, il modo singolare con cui si sta gridando, tanto per cambiare, al golpe, all’attacco alla democrazia e altre opinabili semplificazioni del quadro politico. Ma che succede? Si parla da anni, decenni, della necessità di modificare alcune parti della Costituzione. È un fatto che le due assemblee elettive sono un inutile doppione, che non aiutano a migliorare l’efficienza della macchina legislativa e anzi l’hanno sempre rallentata. Che hanno contribuito a colpi di emendamenti compromissori a renderne difficile o confusa l’applicazione. È un fatto che il titolo quinto si è rivelato un pasticcio e va rivisto profondamente. Non si può vivere di ricordi né fare un monumento del proprio contributo. Si chiama onestà intellettuale. I tempi lo richiedono. Il Paese ha bisogno di semplificare e dinamizzare la vita politica. Non si torna indietro e sarebbe auspicabile che chi è più consapevole taccia, anche se si poteva sperare in un contributo pacato e onesto. Sarebbe stato magari più utile e invece si sono messi a gamba tesa. La sensazione sgradevole è che qualcuno parli solo per paura di sentirsi superato dalla realtà. Capisco la buona fede di persone che non conoscono a fondo il mondo della politica e sono inclini ad abbracciare con slancio cause appassionanti. Ma i vari Rodotà, mi dispiace, stanno dando cattiva prova di sé.

  3. Andrea Zhok
    venerdì, 4 Aprile, 2014 at 10:32

    A molti le critiche all’attuale tentativo di riforma da parte di Zagrebelsky, Rodotà, Carlassarre, passando per Cacciari, per arrivare a Grillo tendono ad apparire come un modo (involontario) per “fare ammuina”, nello stile dell’eterno immobilismo italiano: agitarsi rumorosamente per sperare che il risultato complessivo di tale agitazione sia la conservazione dello status quo. Per convincere razionalmente gli altri che le cose non stanno così, bisognerebbe essere in grado di mettere in campo una proposta a) unitaria e b) capace di ottenere qualcosa di simile ad una maggioranza parlamentare. Credo di non essere troppo malizioso se dico di non credere che neppure i firmatari dell’appello riuscirebbero ad accordarsi su di una riforma costituzionale che sani i problemi (a partire dal bicameralismo perfetto) che tutti dicono sia necessario risolvere. Figuriamoci poi trovare una maggioranza parlamentare.

  4. Carla Poncina
    sabato, 5 Aprile, 2014 at 10:03

    Se ho capito bene Stefano, in modo assai ben argomentato, dice che Roberta mostrando di accogliere sostanzialmente le dure critiche di Libertà e Giustizia al progetto di riforma costituzionale proposto dal nuovo governo, suggerisce un’idea di Paese che non corrisponde alla realtà. La forza e il coraggio riformatore di Renzi hanno restituito speranza all’Italia, prostrata da “una pluridecennale frustrazione sfociata in un micidiale senso d’impotenza”. Il nuovo presidente del Consiglio, rottamando insieme ai vecchi politici le vecchie “formule retoriche” che hanno bloccato il cambiamento per trent’anni, sta dando una svolta al Paese, sollevandolo dalla palude in cui i Rodotà, Zagrebelsky e la “sedicente minoranza riflessiva” che fino a ieri li sosteneva, vorrebbero ancora immobilizzarla. Ben venga quindi il “rullo compressore” (così si è autodefinito) Renzi, che alla velocità dei supereroi dei fumetti, a prefissate scadenze mensili, rivolterà il Paese come un calzino.
    Che il Paese sia stremato è certamente vero, che le speranze suscitate da Renzi siano intrise di idealità faccio fatica a crederlo. E infatti Renzi che è politico accorto, argomenta sempre parlando alla pancia degli italiani, cosa per certi aspetti buona visto che sono molti quelli che faticano a riempirsela tutti i giorni. E quindi ben venga il provvedimento che porterà più soldi nelle tasche degli italiani, è cosa buona e giusta. Anche se non ha nulla a che fare con le idealità porterà certamente molti voti all’abile presidente del Consiglio.
    Quanto alla eliminazione/trasformazione del Senato, è pur vero che se ne parla da tempo, ma che il progetto sia mal costruito, confuso velleitario e giustificato sostanzialmente solo con l’argomento di “tagliare i costi della politica” è tesi di molti che la dolcemente arrogante Boschi farebbe bene ad ascoltare piuttosto che stoltamente irridere. Ricordo per inciso che la polemica contro i “professoroni”, in altri tempi definiti “intellettuali dei miei stivali”, è sempre stata una peculiarità della destra, e non mi si dica che Craxi era socialista, tutt’al più un “socialista dei miei stivali”, che ha spinto tutti i suoi fedelissimi tra le ricche braccia di Berlusconi.
    Tornando al Senato, si era sempre parlato di dimezzare il numero sia dei senatori che dei deputati, cosa che avrebbe ridotto in misura maggiore i costi. Lo ricordo visto che ormai per sostenere qualsiasi riforma si fa costante riferimento al tema dei costi, come se il tintinnio del denaro fosse l’unico stimolo cui gli elettori rispondono. Magari le idealità ci sono, ma nessuno sembra interessato ad evocarle.
    La non-abolizione del Senato ridotto a istituzione ibrida, bizzarramente composita, sembra aver più la finalità di azzerare un organo di controllo che non è vero non esista in nessun paese, e che non ha impedito all’Italia di produrre un numero spaventoso di leggi inutili o dannose, alcune a volocità da circuito automobilistico, come le leggi ad personam fatte dai governi Berlusconi. Se ricordo bene il lodo Alfano divenne legge in una ventina di giorni.
    L’altra riforma assolutamente necessaria di cui si conosce l’impostazione è la riforma elettorale. Non so se quella nata dal patto Renzi-Berlusconi garantirebbe la governabilità, ma ammesso sia così, lo farebbe a scapito della democrazia rappresentativa, per via delle liste bloccate, di un premio di maggioranza spropositato rispetto ai voti richiesti per ottenerlo e della sostanziale limitazione dei partiti in campo. Ad ogni partito dovrebbe corrispondere una visione della società, una ideologia, e anche se questa sembra essere ormai diventata una parolaccia, ricordo tempi in cui la pluralità di idee veniva considerata ricchezza e il pensiero unico una prospettiva spaventosa. Non penso che un Paese sia poco governabile perché al proprio interno fioriscono idealità e modelli di vita diversi, a patto che esistano regole tali da consentire a tutti una rispettosa convivenza. L’utilizzazione dei piccoli partiti per poter arrivare al fatidico 37% e la loro eliminazione successiva, una volta riconosciuto un vincitore, mi sembrerebbe una scelta autolesionista da parte dei “partitini” medesimi.

    Un tempo c’erano guelfi e ghibellini, Peppone e don Camillo, prodiani e berlusconiani, oggi si assiste nei talk-show alla meravigliosa armonia tra Sallusti e Boschi, Minzolini e Gozi. Tra renziani e berlusconiani si è instaurata una corrispondenza di amorosi sensi (profonda sintonia…) che lascia stupefatti.
    Non vorrei sentirmi dire che sono una fautrice delle risse, semplicemente trovo curiosa questa identità di vedute tra destra e sinistra, parole che continuano ad avere un senso. Nella dialettica “normale” della vita democratica è ovvio che il “Bene” del paese cui tutti dicono di tendere è cosa diversa per Rodotà o Verdini, come lo era per De Gasperi e Togliatti. Ad un punto di sintesi si può e in alcuni casi si deve arrivare, ma solo dopo averne discusso approfonditamente. Non può essere eguale il punto di partenza.
    Oggi osservo questo contagioso entusiasmo renziano, per vari aspetti giustificato, e Stefano ne ha spiegato le ragioni, ma quando sento ripetere sempre le stesse tesi, al bar come nei giornali, in televisione come nelle discussioni tra amici, sintetizzabili nell’assunto: “O Renzi o morte…se Lui fallisce è la fine per tutti noi”, mi si accende un campanello dall’arme, che mi suggerisce di stare attenta, perché l’entusiasmo generalizzato può intossicare un paese. In Italia non sarebbe la prima volta.

  5. Stefano Cardini
    sabato, 5 Aprile, 2014 at 13:07

    Cara Carla, potrei obiettare su molti singoli punti. Mi limito solamente a farti notare, invece, che qui non c’è alcun entusiasmo generalizzato, ché sarebbe puerile, ma un finalmente diffuso senso d’opportunità che non ignora i rischi, semplicemente decide che è tempo di affrontarli con coraggio e intelligenza. Quando scrivi «che il progetto sia mal costruito, confuso velleitario e giustificato sostanzialmente solo con l’argomento di “tagliare i costi della politica” è tesi di molti» fai una mera dichiarazione opinabile, non esponi affatto né un documento che l’attesti né un argomento che la comprovi. Renzi non ha mai offerto questa sola giustificazione. E io, come molti altri, non la pensiamo affatto così. E di norma mi sento eticamente tenuto ad argomentarlo, come ho cercato di fare. Non sono io che parlo “alla pancia” (che comunque, vorrei fa notare, abbiamo tutti) ma altri, che da mesi si sottraggono all’onere della prova delle proprie declamazioni chiedendo fiducia a prescindere. Quando scrivi frasi come: un «Senato ridotto a istituzione ibrida, bizzarramente composita, (che) sembra aver più la finalità di azzerare un organo di controllo che non è vero non esista in nessun Paese, e che non ha impedito all’Italia di produrre un numero spaventoso di leggi inutili o dannose, alcune a volocità da circuito automobilistico, come le leggi ad personam fatte dai governi Berlusconi», non solo fai un’altra mera dichiarazione, senza esporre alcun argomento a suo sostegno, ma in parte ti contraddici, riconoscendo come il Senato non abbia svolto alcun ruolo di garanzia nella sua storia. Per essere persuasiva, dovresti semmai dimostrare che il Senato nuovamente concepito non possa esercitare funzione di controllo migliore del precedente, come ritengo possibile se non probabile, proprio per le limitate ma mirate competenze che gli sono affidate. E per il fatto di elevare a rango istituzionale quella mediazione tra centro e periferia oggi svolta (male) da Conferenza Stato-Regioni, Consulta dei Comuni, ecc. Inoltre, dovresti dimostrare anche che sia vagamente all’orizzonte un progetto, alternativo e non integrabile con la proposta Renzi, politicamente percorribile. Dove scrivi, infine: «non so se (la legge elettorale) nata dal patto Renzi-Berlusconi garantirebbe la governabilità (…) lo farebbe a scapito della democrazia rappresentativa, per via delle liste bloccate, di un premio di maggioranza spropositato rispetto ai voti richiesti per ottenerlo e della sostanziale limitazione dei partiti in campo» ti rispondo che riconosco alcuni limiti indubbi alla legge. Mi chiedo perché, allora, non lavorare per migliorarla. A me piace non parlare dall’alto dei cieli: in Senato c’è un margine di 30/40 voti su cui lavorare, lo si sa da tempo. Invece si preferisce costruirsi un Renzi di comodo da anatemizzare, così da risparmiarsi la fatica teorica dell’argomentazione e soprattutto pratica della politica, che richiede capacità di mediazione, ascolto, fantasia, pragmatismo, doti che non mi paiono nelle corde di nessuno dei protagonisti del fronte del no. Se poi si cerca di appiattire gente come il sottoscritto sui bei tempi andati del craxismo, molto sinceramente, ci si spara nei piedi. Non so dove fossi tu, negli ultimi trent’anni. Ma mi ricordo molto bene dove ero io. E ti posso dire che tra il “decisionismo pentapartitico” degli anni Ottanta e quello che oggi qualcuno chiama così c’è una differenza talmente abissale che servirebbe un intero post solamente per elencarne i punti. Io non sono la Boschi. E non mi sento in dovere di difendere ogni cosa che dice, diversamente da chi s’inginocchia ogni volta che Zagrebelsky apre bocca. Personalmente penso una cosa più banale: il fronte del no sta fraintendendo questo passaggio storico, caricaturizzando in modo superficiale la controparte politica e la sua base di consenso, interpretando il disegno di riforme in modo o fazioso o ampiamente discutibile, argomentando pochissimo, proponendo nulla. È per questa via che i professori sono diventati “professoroni”: non per vezzo craxiano. La credibilità che avrebbero dovuto coltivare, purtroppo, l’hanno mese dopo mese, negli ultimi anni, dispersa. E te lo dice uno che Stefano Rodotà l’ha letto, ascoltato e votato per anni. E che lo avrebbe eletto Presidente della Repubblica meno di un anno fa. E che forse conosce e legge da più tempo di altri, che sembrano scoprirli ora, i Paolo Flores d’Arcais, i Guido Viale, i Marco Revelli, i Luciano Gallino e via discorrendo, generazione sui cui libri siamo cresciuti ma che ci ha trasmesso, in ultima analisi, questo bel pasticcio di Repubblica berlusconizzata. Purtroppo, a costo di apparire retorico, non posso quindi che ribadire il principio: amicus Plato, sed magis amica veritas. Quello che a certi intellettuali sembra infatti evidente, guarda un po’, non lo è a molti altri. Forse non tutti così stupidi. Più umiltà gioverebbe, insomma. Perché ogni pregiudizio appare evidente a chi ne è vittima. Se dopo tutto questo sottile ed esperto discettare, infine, l’argomento si risolve in “questa riforma non è ispirata da alcuna idealità, quindi non può essere foriera di niente di buono”, mi limito a far notare: 1) che la storia è stata funestata da migliaia di tragedie ispirate da elevatissimi ideali e buonissime intenzioni; 2) che talvolta la composizione occasionale di interessi di parte porta nella vita a esiti buoni e che questa scommessa in politica ha nome democrazia; 3) che è tutto da dimostrare che non vi siano idealità in quanti in questo momento siano più favorevoli alla riforma che contrari. Nessuno ha il monopolio dell’ideale. E questo è Platone, quello vero.

  6. Andrea Zhok
    sabato, 5 Aprile, 2014 at 16:33

    @ Carla Poncina. La risposta di Stefano mi pare ottima e la sottoscrivo. Voglio solo aggiungere, una notazione, diciamo, “psicologica”. Tra quelli che ora guardano con un poco di speranza a quello che fa Renzi ci sono anche persone come me, che non hanno mai votato Craxi (avendo l’età per farlo), che invero non hanno neppure votato Renzi (alle primarie), che trovano il suo stile nazionalpopolare deprimente, alcune sue frequentazioni sospette, che ha il mal di pancia quando vede i sorrisi d’intesa con Verdini e sa che Renzi è lontano anni luce dal proprio ideale intellettuale.

    Tuttavia questa gente ha visto e vissuto intensamente decenni di politica che si azzannava nei Talk Show e si agitava smodatamente in Parlamento, solo per lasciare tutto esattamente com’era (se non fosse un effetto voluto, ma preterintenzionale, poco conta). Ora, dopo decenni in cui tutti erano d’accordo che “la famiglia è un valore fondante”, ma non si riusciva a costruire un asilo nido in più, in cui tutti erano d’accordo che “la formazione è cruciale per il paese”, salvo ridurre costantemente qualifica e finanziamento dell’istruzione, dove tutti erano d’accordo sul sacro dovere di “tutelare i diritti dei lavoratori”, lasciando però mezzo paese senza alcuna tutela e dimenticando che non solo i dipendenti sono lavoratori, ecc. ecc., ecco, dopo tutto questo tempo, avere per la prima volta qualcuno che, nei limiti formali di una democrazia, dice dove vuole andare, in che modo e che tempi, si mette in gioco senza paracadute, agisce con la massima celerità possibile ed indica una linea grosso modo condivisibile, beh, è semplicemente un tale sollievo. Diamo per scontato che farà errori, ma, come si dice, chi non fa non sbaglia.

  7. Carla Poncina
    domenica, 6 Aprile, 2014 at 19:01

    Sono sempre stata felice, e lo dico sinceramente, quando qualcuno mi ha aiutata a superare miei errori e pregiudizi. Le opinioni che ho esposto nel post precedente sono certamente opinabili e non fatico ad ammettere di non possedere le competenze tecniche per difendere quanto sostenuto. Come milioni di italiani, che pure si sono schierati da una parte e dall’altra (in larga maggioranza dalla parte di Renzi, dicono i sondaggi) ho dato ascolto alla voce di esperti costituzionalisti, a loro volta divisi, e ho poi scelto “come amor mi ditta dentro”. Amor naturalmente non inteso come forza cieca, piuttosto come una passione intellettuale che nasce da esperienze, letture, riflessioni di una vita.
    Non essendo tecnicamente in grado di parlare di riforme istituzionale, per le conoscenze che ho della storia di questo Paese dal fascismo che qui ha avuto origine ad oggi, sono naturalmente portata a schierarmi dalla parte di Rodotà, Zagrebelsky, Claudio Magris, Umberto Eco, perché “un muto bisogno di decenza” (p. Levi) mi impedisce di stare dalla parte di Giuliano Ferrara, Ostellino e quanti hanno sottoscritto il contrappello pubblicato dal “Giornale” di Sallusti, e tanto basta.
    Resto per sempre la provinciale che si scandalizzava sentendo dire dal più volte ministro De Michelis che era sempre meglio farsi governare da un ladro intelligente piuttosto che da un onesto cretino. Mi stupiva non si prendesse in considerazione l’esistenza di uomini intelligenti ed onesti.
    Renzi è sicuramente intelligente e magari anche onesto, ma che dire del suo rapido passare da “Enrico stai sereno” a “Enrico spostati in là che al tuo posto mi siedo io”? Direte che questo è un atteggiamento moralistico, non politico. Può essere che la morale sia sempre stata scissa dalla politica, il potere dalla verità. Se è così dovremo farcene una ragione e smettere di leggere Simone Weil e Hannah Arendt.

  8. Stefano Cardini
    domenica, 6 Aprile, 2014 at 19:22

    Cara Carla, perdonami, ma continuerò a leggere Simone Weil e Hannah Arendt con un’assoluta serenità d’animo. Convinto che questo tuo ultimo argomento sia in assoluto il più debole. Ma non tanto in ragione delle dure leggi della politica, come mi pare tu ingenerosamente le intenda, ma delle sante leggi dell’etica. Mi stai dicendo, infatti, che non sei disposta a negoziare attorno a una riforma costituzionale auspicata e discussa da decenni, in un contesto di crisi economica e stallo politico e istituzionale senza precedenti, con un’ondata di antipolitica antieuropea dalle venature nazionaliste e xenofobe montante, perché il segretario del partito di maggioranza relativa ha revocato improvvisamente (ma non certo immotivatamente, vorrei sottolineare, per chi avesse seguito almeno un po’ la vicenda) la fiducia che aveva precedentemente accordata al presidente del consiglio del suo stesso partito con il voto favorevole di quel partito? O perché occasionalmente ti potresti trovare in compagnia di Giuliano Ferrara? Be’, non ho altro da dire. Se non invitarti a meditare sul tuo amor proprio, cosa che la lettura di Simone Weil potrebbe aiutarti a fare. E consigliarti di leggere l’articolo che oggi Gian Enrico Rusconi ha indirizzato su La Stampa a Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà. Forse anche lui avrà smesso di leggere Weil e Arendt. Ma ne dubito. La realtà è che ci sono molti modi con cui i chierici, nei momenti davvero importanti, possono (magari anche in buona fede) tradire. E questo è il caso.

    P.S. Sommessamente faccio notare che, quanto a brutte compagnie, di recente Zagrebelsky e Rodotà hanno acquisito Grillo, Brunetta, Berlusconi, Calderoli (sull’Italicum). Non avrei mai utilizzato un simile argomento, tuttavia.

  9. lunedì, 7 Aprile, 2014 at 02:17

    Altrettanto sommessamente. Non vedo cosa osti all’invito rivolto da G.E. Rusconi a Rodotà, Zagrebelsky, Urbinati, Carlassarre e molti altri “investire la loro competenza per indirizzare al meglio la mediocre soluzione che si sta comunque configurando”, se non il disprezzo condito di parole come “manipolo di professoroni” (“manipolo” per chi sa la storia non è un’espressione neutra) e la totale ripulsa manifestata dai destinatari delle critiche. Che l’altra sera a “Bersaglio mobile” Rodotà ha svolto e argomentato da par suo, mostrando molte vie d’uscita costruttive a una soluzione migliore di questa “mediocre che si sta comunque configurando”. Certo è più comodo mentire platealmente come fa Scalfari su Repubblica di oggi, attribuendo ai costituzionalisti in questione una mai sostenuta (e da Rodotà esplicitamente smentita) preferenza per il bicameralismo perfetto. Quanto poi alle involuzioni autoritarie, ce ne sono di molti tipi. Immagino che nessuno pensasse ai fez e alle camice nere. E’ invece abbastanza curioso che non si noti quanto la valanga di riprovazioni che si è levata, senza risparmio di insulti e bugie, su un dissenso civilmente espresso sia già una forma, del resto non nuova, di degenerazione della civiltà democratica. Forse non lo si nota perché ci sui è fatta l’abitudine? Ancora peggio. Del resto, ci sono modi di agitare il bastone che prendono la forma di curiose alternative – non si perdona ai sapienti di aver parlato quando era “più onesto” tacere (!!), mentre si può in fondo perdonare agli insipienti che non capendo nulla di politica prendono passione a posizioni sbagliate… Cara Corrada, gli insipienti ringraziano dell’indulgenza. Quanto poi alla “debolezza” degli argomenti (altrui, naturalmente, i propri sono sempre a prova di bomba anche quando altri non veda) – con un finale moto di gratitudine vedo perfetta “sintonia” fra la severità del maestro che distribuisce cattivi voti e la sorridente pacatezza dell’allieva, che viene addirittura invitata a riflettere sul suo amor proprio, evidentemente eccessivo: e pazienza se, con qualche anno di esperienza e studi (lei affermata docente e saggista, storico-politica) più del suo maestro bacchettatore, aveva soavemente esordito e concluso la sua breve replica con un’umiltà serafica (In effetti, cara Carla: l’umiltà è la virtù dei signori nati, diceva Max Scheler, e tu me lo confermi). Quanto poi al “tradimento dei chierici” – be’, mi pare che sfioriamo la barzelletta – a meno che non vogliamo confermare la diagnosi. Dissenso e critica (non delazione, non appoggio ai nazisti, non appelli al bagno di sangue) si chiamano così, oggi. Complimenti per questa graziosa neolingua.

  10. Stefano Cardini
    lunedì, 7 Aprile, 2014 at 04:48

    Cara Roberta, ho cercato di spiegare con assoluta pacatezza (prendendomi soavemente come contropartita dell’a-morale, del decisionista craxiano, del compagno di brigata di Sallusti e Minzolini ecc.) da dove secondo me derivi l’insofferenza, che non è evidentemente solo di Matteo Renzi, nei confronti dei “professoroni” che hanno gridato forse con un po’ di precipitazione alla “svolta autoritaria” (ricordo, per fare un esempio, il seguente passaggio di discutibile linguaggio e dottrina contenuto nell’appello di Libertà e giustizia: “Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014, per creare un sistema autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali”). Ma mi pare che abbia talmente ferito la suscettibilità dei medesimi, che non è più possibile procedere di un passo nella discussione. Se non si vede la bontà degli argomenti altrui, li si affronti. Nel mio piccolo, io ho esposto i miei rilievi. Senza sentirmi in dovere di nascondere le non poche debolezze della proposta che Libertà e giustizia avversa, in particolare riguardo alla legge elettorale. Forse, se anziché rivendicare titoli e meriti, in un Paese più generoso con i primi, francamente, che con i secondi, ci si preoccupasse di controbattere e controproporre seriamente alle obiezioni e posizioni altrui, il clima diventerebbe più disteso e costruttivo. Nessuno contesta il diritto al dissenso. Ci s’aspetta semplicemente un contributo all’altezza del ruolo che si rivendica per se stessi. Se Stefano Rodotà ha fatto proposte migliorative della riforma in discussione che Gian Enrico Rusconi evidentemente non conosce, inviategliele. Personalmente me ne rallegrerei, nella speranza che presto si traducano, grazie a sponde parlamentari che non mancano, in un disegno di legge, desideroso di riuscire a far convergere su di sé i voti del maggior numero possibile di deputati e senatori senza preclusioni di sorta. Le riforme istituzionali e ancor più costituzionali, si sa, esigono giustamente le più ampie maggioranze parlamentari. Per ora, però, ho visto comparire accanto al progetto di governo solamente quelli di Chiti, Monti e Tonini, nessuno dei quali per la verità ha l’ambizione di sventare alcuna “svolta autoritaria”. Quanto all’eleganza, cercherei di riservarla soprattutto all’argomentazione. E di accettare il paradosso come una delle tante strategie dialettiche che, nella misura in cui suscitano una vivace protesta, si ritiene in genere abbiano funzionato. A proposito di neolingua, perdona: pare che “sistema autoritario” come sinonimo di “bicameralismo imperfetto con sistema maggioritario” sia entrato di recente nel lessico.

    P.S. Oggi si chiarisce, in risposta a Scalfari, che Zagrebelsky e Rodotà sarebbero per un bicameralismo non più perfetto (come Renzi), con un Senato di garanzia (come Renzi), che non voti né la fiducia (come Renzi) né la legge di bilancio (come Renzi). Mi pare quindi che le questioni che restano aperte siano elettività, competenze e composizione. Serve forse un nuovo articolo di Scalfari per fare un altro passetto in avanti? Su composizione e competenze, come ha spiegato la Boschi, la negoziazione è aperta. Sull’elettività no. Ma non dovrebbe essere difficile trovare convergenze su questo punto in un Senato di eletti. Quindi perché non procedere con un Ddl? Forse perché si è dichiarato il Parlamento “non legittimato”? E le riforme discusse uno “stravolgimento della Costituzione”?

  11. lunedì, 7 Aprile, 2014 at 11:22

    Mi sia consentito di indicare alcuni articoli recenti limitatamente all’argomento, soltanto per favorire la partecipazione di altre persone, anche con immediata consultazione di alcuni siti:

    http://www.libertaegiustizia.it/2014/04/02/riforme-per-il-potere-non-per-la-democrazia/

    Il Fatto Quotidiano – Intervento a PiazzaPulita

    “Riforme per il potere, non per la democrazia”
    2 aprile 2014

    Gustavo Zagrebelsky

    DURO INTERVENTO A “PIAZZAPULITA” DI ZAGREBELSKY, PRESIDENTE EMERITO DELLA CONSULTA: “I VINCOLI ESTERNI HANNO GRAVISSIME RIPERCUSSIONI”

    ——————————————-

    http://www.gadlerner.it/2014/04/02/ossessionato-da-renzi-e-i-parrucconi-il-foglio-prende-un-abbaglio-sulladdio-al-senato-di-rodota

    Ossessionato da Renzi e i parrucconi, Il Foglio prende un abbaglio sull’addio al Senato di Rodotà
    2 aprile 2014

    ——————————

    http://www.unita.it/politica/stefano-rodota-riforme-monocameralismo-italicum-grillo-renzisenato-
    riforma–1.561213

    «Sì, ero per il monocameralismo
    ma non c’era l’Italicum…»

    di Andrea Carugati

    3 aprile 2014
    ———————–

    http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/04/03/servizio-pubblico-travaglio-renzi-masterchef-ha-deciso/273016/

    Servizio Pubblico, Travaglio: “Renzi Masterchef ha deciso” ——————————————————————————–
    http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/04/riforme-boschi-le-prese-di-posizione-dei-professori-le-bloccano-da-30-anni/938763/
    Riforme, Boschi: “Le prese di posizione dei Professori le bloccano da 30 anni” Il ministro: “Rodotà ha cambiato idea perché nell’85 proponeva il monocameralismo”. Ma il giurista: “E’ vero, ma allora c’erano proporzionale, preferenze e più garanzie per le opposizioni”
    di Redazione Il Fatto Quotidiano 4 aprile 2014

    ————————————————————-

    http://www.lavoce.info/abolizione-senato-riforma-costituzionale/

    Se abolire il Senato tocca la divisione dei poteri
    • Istituzioni e Federalismo
    04.04.14
    Valentino Larcinese
    L’abolizione o la trasformazione del Senato può alleggerire l’iter di approvazione delle leggi, ma fa venir meno quel potere di veto di un’istituzione che è stato un importante presidio della democrazia negli ultimi anni.
    ——————————————————-
    http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/06/renzi-il-bersagliere-fa-fuori-il-senato-correndo/941010/
    Renzi il bersagliere fa fuori il Senato (correndo)
    di Furio Colombo

    6 aprile 2014

    ————————

    http://www.libertaegiustizia.it/2014/04/06/zagrebelsky-e-rodota-bicameralismo-perfetto-una-precisazione/

    Zagrebelsky e Rodotà. Bicameralismo perfetto: una precisazione

    6 aprile 2014

    ——————————————

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/06/liberta-e-giustizia-a-scalfari-bicameralismo-perfetto-rodota-e-zagrebelsky-non-a-favore/941410/
    “Bicameralismo perfetto, Rodotà e Zagrebelsky non sono a favore” Libertà e Giustizia scrive una precisazione per rispondere a Scalfari, convinto che i due giuristi si oppongano all’abolizione del sistema che equipara Camera e Senato. Al contrario, hanno più volte dichiarato che è da superare
    di Redazione Il Fatto Quotidiano 6 aprile 2014

    che così chiude:
    Nell’appello di Libertà e Giustizia sottoscritto dai due costituzionalisti si legge: “Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014, per creare un sistema autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali”.

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    http://www.ilsole24ore.com/art//2014-04-07/nuovo-senato-formato-ridotto-063831.shtml?uuid=ABakYt8

    Nuovo Senato in formato ridotto
    di Antonello Cherchi
    07 aprile 2014
    ———————–

    Per quanto concerne poi alcuni tg e interviste varie mi permetto anche di aggiungere il pdf inserito nel mio blog dal titolo SOLO PER UN DIRITTO DI OPINIONE E DI SCELTA.

    http://eliomatteopalumbo.files.wordpress.com/2014/04/solo-per-un-diritto-di-opinione-e-di-scelta-06-4-20141.pdf

    —————————————-

  12. Stefano Cardini
    martedì, 8 Aprile, 2014 at 22:08

    Un contributo alla rassegna stampa e al ragionamento concreto.

    Stefano Ceccanti
    Le tre alternative alla riforma renziana del Senato? Un testo peggiorativo (Chiti), uno con qualche spunto (Monti) e uno migliorativo (Tonini)

    Carlo Fusaro
    Fusaro versus Zagrebelsky: una lettera al Corsera

    Augusto Barbera
    Sul Senato bene l’impianto, dubbi sulla composizione

    Andrea Manzella
    La riforma del Senato e le garanzie

    Michele Ainis
    I virtuosisimi che non servono

    Interessanti le parole di Carlo Fusaro, Ordinario di diritto pubblico comparato all’Università degli studi di Firenze / Dipartimento scienze giuridiche:

    «Legittimo il dissenso: meno accompagnarlo con delegittimanti accuse ai riformatori (superficiale faciloneria, ignoranza e – perfino – derive autoritarie). E ciò quando tutte le grandi democrazie – Stati Uniti a parte – hanno parlamenti monocamerali o, più spesso, bicamerali ineguali, in molti casi indirettamente composti».

  13. mercoledì, 9 Aprile, 2014 at 11:10

    Ergo: Adelante, Matteo, con juicio.

  14. mercoledì, 9 Aprile, 2014 at 22:54

    Con juicio… una volta che si sia trovata una risposta a queste tre quattro ficcanti obiezioni, a proposito ad esempio della solita lezioncina su sistemi francese o americano (Marco Travaglio si è limitato a riassumerle, sono nei documenti di Libertà e Giustizia, appunto, almeno dai tempi della prima commissione dei “saggi”. Ma certo che sorprendono gli ignari: tutte le articolatissime prese di posizione delle dimissionarie delle Commissioni, Lorenza Carlassarre e Nadia Urbinati, non c’è giornale tranne uno che se le sia filate). E allora, vale la pena di completare la rassegna stampa con questo pezzo, a mo’ di riassunto:

    http://www.blitzquotidiano.it/rassegna-stampa/marco-travaglio-sul-fatto-quotidiano-hombres-1835449/

    Aggiungo che per quanto ragionevole possa giudicarsi Michele Ainis, francamente sostenere che si è egualmente in malafede se si sospetta della natura disinteressata degli argomenti dei propri interlocutori, che questi siano dei professori totalmente estranei al gioco del potere o viceversa gente che ha votato in Parlamento per certificare le fandonie del capo (nipote di Mubarak e simili), ecco questo mi sembra il caratteristico terzismo fra guardie e ladri cui ci avevano abituato i Pigi Battista. Ma perché la ragionevolezza deve andar disgiunta dalla memoria, sempre e comunque, in questo paese? Oppure, come basta che i giornali non ne parlino perché i fatti scompaiano, così basta che siano passati perché un perfetto e unanime oblio li seppellisca per l’eternità?

  15. Stefano Cardini
    giovedì, 10 Aprile, 2014 at 00:06

    Dunque, fascisti o terzisti: un bivio con tutta evidenza “ragionevole”. C’è pure un terzo girone, per fortuna: gli ignari. Ecco, sì. Facciamo che siamo “ignari”. E non se ne parli più. A parte gli scherzi, perché non prendere serenamente atto del fatto che, nonostante l’evidenziazione di svariate criticità (si vedano, per dire, i rilievi di Andrea Manzella), i giudizi sulle riforme in discussione, nel metodo e nel merito, sono semplicemente differenti? Con tutto il rispetto per Nadia Urbinati e Lorenza Carlassarre, e gli altri intellettuali di Libertà e giustizia, credo che essi non detengano l’esclusiva dell’indipendenza di pensiero. Barbera, Fusaro, Ainis, Rusconi e tanti altri non sono pedine di un gioco di potere orchestrato da quelli che hanno “votato in Parlamento per certificare le fandonie del capo (nipote di Mubarak e simili)”. Ma intellettuali altrettanto liberi e competenti che, seppur non risparmiando critiche allo schema di riforma in corso, ritengono nel merito fuorvianti e nel metodo controproducenti i toni da crociata democratica assunti da Libertà e giustizia. D’altronde, lo stesso Zagrebelsky ha riconosciuto infine che si è stati un po’ tranchant, dandosi come scusante la necessità di farsi ascoltare, insomma, di bucare il video. Epperò questo è esattamente quello che gli intellettuali a mio parere non si possono permettere, se vogliono mantenersi credibili. Soprattutto se lo fanno in nome di una democrazia partecipata ma non “populista”. Si trova equilibrata e aderente alla realtà la descrizione che Travaglio fa dello schema di riforma? Non si nota nulla di caricaturale e populista nel suo modo di fare giornalismo? Bene, si provi ad applicarlo al semipresidenzialismo francese, al cancellierato tedesco o al premierato inglese. E ci parrà che la democrazia non sia più di questa Europa. Se proprio vogliamo schematizzare, lo si può fare meglio. La contesa, qui, non è tra libertà e ideale versus servitù e volontà di potenza, partizione di comodo e di propaganda, ma tra chi ritiene che l’Italia abbia raggiunto un punto di crisi tale per cui se non si ristabilisce un principio di responsabilità reale della politica, la partecipazione al processo deliberativo dei cittadini sia destinata a restare del tutto impotente e degenerativa. E chi teme, forse con meno ragioni di quelle che così veementemente invoca, che in fondo a questa strada la partecipazione sarebbe invece tolta e la responsabilità consegnata definitivamente a una classe politica indegna. Credo che in larga parte i due fronti siano mossi dagli stessi valori. Ma che interpretino diversamente sia i moventi degli attori del processo sia i suoi più probabili esiti. Tutto questo, però, mi si perdoni, ha poco a che fare con la “trascurabile maggioranza fascista”, il “terzismo”, l’ignoranza o la malafede. È una lettura differente delle cose che porta avanti i suoi argomenti. E che se è stata capace di spezzare un fronte politico e culturale a lungo unitario, anziché sbigottire e sdegnare, andrebbe presa più seriamente in considerazione. Ora, per esempio, si discute di una possibile convergenza tra parte della minoranza del Pd, M5S e qualche fiancheggiatore tattico di Forza Italia sul Ddl di Vannino Chiti. Perché no, se è un buon testo? Il Senato si chiamerebbe “Senato delle autonomie e delle garanzie”. I senatori sarebbero un centinaio, eletti direttamente con sistema proporzionale e con le preferenze in maxi-circoscrizioni del genere di quelle usate per le elezioni europee, dove il vantaggio è di chi ha più potere mediatico. Il Senato perderebbe la fiducia, ma per un numero elevato ma non facilmente determinabile di leggi (costituzionali, elettorali, trattati europei e tutte le leggi che investono i diritti fondamentali della persona, in linea teorica un numero imprecisabile) sarebbe previsto il bicameralismo paritario. Realizza risparmi, certo, anche perché accompagnato dalla riduzione del numero dei deputati della Camera. Ma a parte questo vantaggio subordinato: non si capisce dove siano le autonomie, non si capisce come possa agevolare governabilità, responsabilità, alternanza; non si capisce come possa snellire il processo deliberativo, soprattutto se non si specifica la legge elettorale per la Camera cui associarlo. Proporzionale? Eppure questi sono problemi nei quali ci dibattiamo da decenni. Difficile negarlo.

  16. Emilia Martinelli
    venerdì, 11 Aprile, 2014 at 20:57

    Non prendo parte al dibattito che è comunque molto civile anche se la ragion pratica non può prescindere dalle idealità, ma credo che il pericolo di una svolta autoritaria ci sia davvero, a prescindere da Renzi, perchè l’appiattimento, anzi il rovesciamento di senso, dei valori, cioè la vanificazione totale dei principi assiologici che sono il fondamento stesso della Costituzione, hanno creato la stagnazione della politica. In un paese corrotto come questo non può attecchire nessuna riforma radicale; da qui nasce la stanchezza e l’indifferenza della gente, degli individui che non hanno voce. La loro separazione dalla politica, tanto più nelle drammatiche condizioni di vita in cui ci troviamo può accendere nei più disarmati una fede salvifica nell’ “uomo nuovo”, che si prenda sulle spalle il fardello di tutti, e nei più cinici un nichilismo che è sempre di sostegno al potere. È il consenso plebiscitario (che è il contrario della democrazia con cui viene sempre confuso) che fa il despota, e non il contrario. È sempre avvenuto così nella storia. Chiunque, in questo clima, si presenti alle elezioni con grandi capacità affabulatorie e carisma attoriale mette il paese a rischio, se non di una dittatura perchè forse abbiamo ancora gli anticorpi, ma di una svolta autoritaria appunto. C’è eccome, questo rischio.

  17. sabato, 12 Aprile, 2014 at 09:30

    E per contrastare tale rischio, desidero insistere e ribadire quanto già scritto, e la mail inviata ieri ad Emanuele Caminada:
    Mail di sabato 8 febbraio 2014 15.33

    Stimatissima Professoressa De Monticelli,

    ( … ) Da tempo, però, avrei voluto chiedere come mai pur essendovi tanti intellettuali e anche politici tanto valorosi quanto combattivi, non si sia ancora prospettata l’esigenza di far nascere un vero movimento politico per una concreta rinascita.
    Tantissimi elettori non vanno a votare perché non sanno più a chi rivolgersi e, invece, potrebbero alimentare la speranza di veder mutato il mutabile, se coloro che ben operano in ogni campo e hanno autorevolezza, creassero una nuova lista, sostenendola e candidandosi.
    Potrebbe confluirvi anche quell’elettorato ora costretto a votare chi è (o quanto meno lo si ritiene) meno sgradito.
    Iersera avendo visto e ascoltato a La7 Barbara Spinelli riguardo alla presentazione da parte di alcune intellettuali di una lista a sostegno della candidatura del leader del partito della sinistra greca Syriza, Alexis Tsipras, come presidente della Commissione Europea, ho pensato che contestualmente si potrebbe e “si dovrebbe” presentare un’altra lista, avente come obiettivo quanto precede, per le elezioni nazionali, che si prevedono non a lungo termine e, oltretutto, non positive, rebus sic stantibus, sulla base dell’accordo sulla legge elettorale.
    Non vorrei apparire catastrofico ma credo che tale iniziativa potrebbe essere l’extrema ratio.
    Giudica valida l’idea, e si impegnerà affinché si realizzi?

    Deferenti saluti
    Elio Matteo Palumbo
    ————————————-

    https://www.phenomenologylab.eu/index.php/2014/02/caminada-candidatura-tsipras/
    Elio Matteo Palumbo
    martedì, febbraio 18, 2014 at 11:39
    Mi sia consentito di esprimere il personale sostegno per la candidatura di di Emanuele Caminada per la Lista Tsipras alle elezioni per il Parlamento Europeo che si terranno tra il 22 e il 25 maggio prossimi, e di proporre, altresì, subito dopo il termine ad quem della presentazione della relativa lista, quanto già fatto presente alla Prof. De Monticelli per formarne una parallela e simile per le prossime elezioni nazionali.
    —————–

    Grazie a il Fatto quotidiano abbiamo potuto ascoltare le parole di Alexis Tsipras, oggi a Bruxelles, nel corso di una conferenza sulle alternative alle misure di austerità e debito pubblico in Europa: “Confido che i nostri compagni italiani lavoreranno insieme per creare un ottimo e permanente – come posso dire – partito? … un movimento per rappresentare non solo in Europa ma anche in Italia questo messaggio di speranza per l’Europa e per l’Italia.”
    ————————–
    Sarà possibile?
    Cordialmente,
    Elio Matteo Palumbo

    http://eliomatteopalumbo.wordpress.com/

  18. martedì, 15 Aprile, 2014 at 14:49

    Io credo che quanto Roberta sostiene vada letto in un’ottica più costruttiva di quanto fatto nei commenti che sono seguiti; è compito della filosofa uscire dal dibattito spiccio, dal “pragmatismo”, e riportare non ad un vuoto idealismo, non più coerente con la realtà, ma ad uno sguardo lungo nel futuro. In questo senso, si reclama semplicemente prudenza: ora che la riforma è ad un passo, sarebbe poco accorto interpretare la possibilità concreta come un pretesto per zittire le criticità espresse, in maniera ponderata e civile, da persone di assoluto rilievo, le quali non possono essere appiattite in un generalizzato “o con noi o contro di noi”, sulla sola base di talune poco felici espressioni. Perchè la riforma Renzi costituisce un ripensamento profondissimo della Costituzione, non giusto una sua naturale “manutenzione”, come qualcuno cerca di fare passare.
    Io continuo a sostenerlo da tempo, ma vedo che le parole cadono nel vuoto, rimpiazzate dalle parole sempre identiche dei suoi sostenitori: non si può modificare così a fondo una struttura portante dell’architettura costituzionale, senza prevedere adeguate compensazioni.
    Nel suo testo sul monocameralismo, che pure si ambientava in un contesto di assoluto proporzionalismo, Rodotà proponeva infatti due elementi compensativi molto forti: tra gli altri, l’obbligo, da parte della monocamera, di varare “leggi organiche” per tutti i temi quadro, ovvero di passare ad un sistema legislativo che procedesse il più possibile per testi unificati, e la possibilità di istituire referendum propositivi, e non solo abrogativi.
    Ma il livello del dibattito oramai è talmente basso, e teso, che si è perduta la capacità argomentativa di sviscerare le debolezze di un progetto, e di integrarle con elementi rafforzativi, in un processo di dialogo costruttivo in grado di operare effettivi miglioramenti al testo di partenza; questo gioco di contrapposizione iperbolica purtroppo contagia entrambe le parti, e sinceramente io faccio fatica a ritenere che si tratti solo dell’esito di parzialità personali e congiunturali, e non di schemi operativi deliberati.
    In ogni caso, è del tutto evidente che con lo schema che ha in mente Renzi (ma si dovrebbe smettere di parlare di riforma Renzi, perchè questa è oramai a tutti gli effetti la riforma Renzi-Berlusconi) magari non oggi, ma se fra quattro o cinque anni si presentasse un nuovo Berlusconi, con questi strumenti istituzionali non gli ci vorrebbe molto per sopprimere quel poco che resta dello stato di diritto in Italia, anche salvaguardando formalmente gli istituti costituzionali; esattamente come Augusto fece con la Repubblica Romana (e il placet di Berlusconi e della sua banda alle riforme, se premettete, apre ben più di una falla sulla sincerità e sulla neutralità ideologica delle medesime). Dinanzi a questo pericolo concreto, forse qualche riflessione in più andrebbe fatta, vuoi in seno alla legge elettorale, vuoi in senso alla elettività della seconda camera, nel senso di mitigare quella che allo stato attuale si prospetta come una concentrazione di poteri quasi assoluti nelle mani di pochissimi esponenti della futura vita politica italiana.
    Così come non bisognerebbe mai stancarsi di rinfocare e ricordare a un popolo certamente di questo oramai ignaro, che l’aspetto più ideale della Costituzione costituiva innanzitutto un insieme di forti anticorpi al possibile degrado della vita democratica, quale peraltro stiamo già sperimentando.
    La posta in gioco è altissima, su questo non è dato di giocare scommesse, né correre pericolose avventure. Un po’ di prudenza, un po’ di sana moderazione riformista, allontanerà forse un po’ di fiammate rivoluzionarie dal cuore depresso degli italiani, ma per lo meno allontanerà anche l’eterno incubo del pendolo, in un paese che fatica a trovare una via stabile.

  19. Claudio
    giovedì, 17 Aprile, 2014 at 11:36

    E se anche tale riforma che si incentra sul monocameralismo invece che essere dettata da reali esigenze fosse dettata da pressioni estranee alla spirito della Costituzione, come accaduto con l’inserimento del vincolo di Bilancio in Costituzione?

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