Sulla solitudine di Altiero Spinelli. Riflessioni e spunti per il lavoro da fare

martedì, 17 Giugno, 2014
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Oggi, mentre ancora sembra in questione chi sarà infine il Presidente della Commissione Europea, se sarà nominato in base all’indicazione uscita dalle urne – purtroppo non incoraggiante per il rinnovamento radicale dell’Unione Europea che sarebbe necessario – credo che sarebbe doveroso per ogni cittadino, studioso, studente, docente, pubblicista interessato ai destini della democrazia riflettere a fondo sull’intuizione che governò la vita di Altiero Spinelli (1907-1986), alla quale il pensiero filosofico e politico contemporaneo non ha ancora affatto reso giustizia – né l’ha tradotta nel nuovo linguaggio dei fini – e dei mezzi appropriati – di cui oggi abbiamo tanto bisogno, se continuiamo a riconoscerci nei sei valori che sorreggono la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza 2000, Strasburgo 2007) : Dignità, Libertà, Eguaglianza, Solidarietà, Cittadinanza e Giustizia. Spero che queste poche note servano ad aprire una libera e non frettolosa discussione che potrà servire anche a suggerire iniziative di studio, libri da leggere, seminari e attività per il prossimo anno (anche) accademico.

Nel luglio 1939 Spinelli sbarcava a Ventotene, dopo aver scontato fra carcere e confino dodici anni dei sedici inflittigli – a neppure vent’anni – dal Tribunale Speciale fascista per la sua opposizione attiva al regime. Nel ’37, a Ponza, era stato espulso dal Partito Comunista, perché, come Spinelli scrive nella sua autobiografia – una delle più intense della letteratura mondiale (Come ho cercato di diventare saggio, Il Mulino 1999) – era stato “tutto un monologo sulla libertà” quello che aveva iniziato “dal momento che le porte del carcere si erano chiuse alle [sue] spalle”. Nel ’41 nasce – sotto la sua penna e in parte quella di Ernesto Rossi, frutto delle conversazioni con Eugenio Colorni e pochi altri, il Manifesto di Ventotene, con il suo memorabile attacco: “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo rispettassero”. Tutti: e fra questi il contrasto fra la politica concepita sulla base degli Stati nazionali e l’economia globale. Vere democrazie che siano esclusivamente interne ai singoli stati – soprattutto quelli europei – , oggi, non sono più possibili. Quell’uomo visionario, eppure profondamente realista, lo vide settant’anni fa.

Chi ne dubita vada a rileggersi passi come questo:

“…oggi lottare per la democrazia significa rendersi anzitutto conto che occorre arrestare questa insensata corsa, non solo italiana, ma europea, verso una società polarizzata in interessi organizzati che si precipitano sullo Stato e lo paralizzano quando sono in equilibrio, e ne rafforzano sempre più il carattere dispotico, quando un gruppo o una coalizione di gruppi ha potuto sopraffare l’avversario e prendere il potere…”

E’ del ’46 ’(Relazione al II Congresso del Partito d’Azione, in A. Spinelli, Come ho tentato di divenire saggio, II, La goccia e la roccia, Il Mulino 1987, pp. 105-106). E vi chiedete come abbia a tal punto saputo cogliere l’essenziale che il suo pensiero sembra attraversare la stagione dei partiti di massa – e da noi della Prima Repubblica – poi volare alto sulla “liquidità” post-ideologica – e da noi sopra il liquame immobile della cosiddetta Seconda Repubblica – fino a fotografare il perdurante terribile ingranaggio delle “macchine d’affari” partitiche di oggi e della loro ormai spensierata delinquenza, con il tristo contrappeso delle involuzioni autoritarie con annesse rottamazioni della Costituzione.
Il 3 luglio del 1970 Spinelli entrava a far parte della Commissione – di quella Comunità Europea che dal suo pensiero e da quello di pochi altri “legislatori del futuro” aveva – tanto faticosamente, tanto contraddittoriamente anche – preso le mosse. Erano passati esattamente quarantatre anni e un mese dal suo arresto a Milano, il 3 giugno del 1927, e quasi ventisette dal primo convegno del Movimento Federalista Europeo a casa Rollier in via Poerio 38 a Milano, il 27 agosto 1943.
Ebbe, questa Europa “figlia dell’economia ma orfana della politica”, anche grandi momenti o almeno grandi progetti. Come scrive Salvatore Veca nel suo recente Non c’è alternativa – Falso! (Laterza 2014, 9) sono le politiche dell’austerità che “hanno condannato alla damnatio memoriae il grande progetto alla Delors di uno spazio sociale europeo. Eppure anche durante la presidenza di Delors alla commissione, il Parlamento Europeo stentò a inserirsi nella dialettica sempre intergovernativa delle decisioni, nonostante l’approvazione su iniziativa di Spinelli, nel luglio dell’81 di una Commissione istituzionale permanente, che finalmente doveva dare all’Europa il volto di una Unione sovranazionale europea, invece che di un’istituzione intergovernativa. E’ il progetto per cui Spinelli chiedeva il voto positivo del Parlamento nel 1984:

“Il nostro progetto fa della Commissione un vero esecutivo politico, mantiene un ruolo legislativo e di bilancio per il Consiglio dell’Unione, ma lo definisce e lo limita, dà al Parlamento un vero potere legislativo e di bilancio….” (P.S. Graglia, Altiero Spinelli, Il Mulino 2008, p. 603).

Era ancora quella, la speranza suscitata da queste ultime elezioni del Parlamento Europeo, che – su iniziativa, va riconosciuto, del suo Presidente nella passata legislatura, Martin Schultz (Il gigante incatenato – Un’ultima opportunità per l’Europa? Fazi 2014) le aveva promosse con l’esplicita indicazione che le famiglie politiche europee si riunissero in raggruppamenti sovranazionali. Proprio perché erano concepite per passare dall’Europa inter-governativa del Consiglio europeo, (quello che riunisce i capi di Stato e di governo europei, e che fa dell’Europa sostanzialmente il luogo del dominio degli interessi nazionali più forti) all’Europa sovranazionale della cittadinanza, che sarà effettivamente rappresentata nel Parlamento solo quando la Commissione europea sarà l’effettivo governo dell’Unione. Proprio la Risoluzione del Parlamento del 4 luglio 2013 aveva stabilito la necessità di “parlamentarizzare” l’elezione del Presidente della Commissione, e cambiare i rapporti di forza fra la Commissione e il Consiglio, in modo che la prima diventasse gradualmente il vero organo di governo dell’Unione Europea, e il suo presidente, il capo del governo, al diretto servizio del bene comune dell’intera Unione.
Peccato che pochissimi in Italia abbiano compreso che era questa la posta in gioco – e che perfino i pochi sostenitori della sola lista nata internazionale, che da noi ha preso il nome de l’Altra Europa con Tsipras, non abbiano fatto abbastanza per dare questo spinelliano respiro progettuale, in primo luogo europeo e solo in quanto tale anche italiano, all’esigenza radicale di rinnovamento della sinistra italiana. Che la renda capace di portare e realizzare la domanda di dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà e giustizia. E legalità, onorabilità delle istituzioni, decenza di pubblici costumi.
E allora bisogna ricominciare a chiedersi il perché di questa tenace rimozione dell’intuizione di Altiero Spinelli. Che sembra – a voler prendere sul serio certe polemiche piccine nate e speriamo defunte nei giorni passati – ignorata perfino da quei piccoli partiti italiani che oggi hanno contribuito a portare al Parlamento Europeo chi per nome e impegno rappresenta, pur nella sua completa autonomia di studiosa e pensatrice – anche l’eredità di Altiero: Barbara Spinelli.
Sì, bisogna capire le ragioni dell’infinita solitudine di Spinelli, e della ricorrente sua sconfitta – che ancora una volta sembra delinearsi in questa grigia Europa della quale peraltro non si ha più notizia da giorni dalla stampa italiana, totalmente disinteressata a questo fronte.
Bisogna, per capire come trasformare in nuova speranza quella che fu speranza ricorrente e rinascente, e se ogni volta fu, alla fine, sconfitta, ogni volta si lasciò alle spalle il meglio che l’umanità europea di questa nostra epoca abbia saputo costruire. Spinelli ebbe come compagni vicini e lontani, oltre a Ernesto Rossi, a Eugenio Colorni, a Ursula Hirschmann, e agli amici ed eredi più prossimi, i migliori europei della sua generazione : da Albert Camus a Ignazio Silone, da Adriano Olivetti ad André Malraux, da Jeanne Hersch a Czeslaw Milosz, da Norberto Bobbio a Mario Dal Pra….
Le radici del suo pensiero affondano profondissime, nel socratismo del faccia a faccia e del ragionare pacatamente dei fini, più che nel potere delle piazze ateniesi. E nei dolci lumi della notte stellata di Kant, e poi – io credo – nell’Idea husserliana di Europa, che vedeva il culmine dei Lumi moderni nell’inno alla gioia di Schiller e Beethoven.
Questo almeno dobbiamo a noi stessi: spiegarci come abbiamo potuto quasi-dimenticare le scoperte di tutti quei grandi, e di molti altri. Disinteressarci di quella ragione pratica che alle nostre menti e alle nostre mani affidava i suoi fini.
E’ anche colpa nostra, della nostra latitanza e della nostra sfiducia infine. Se il linguaggio della politica si è ridotto a quell’urlìo di imbonitori che è divenuto oggi. E in assenza ormai di un governo della legge, il governo degli uomini italiani si è ridotto, secondo le facili profezie degli antichi, a qualcosa di troppo simile a una banda di briganti.

 

 

 

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