Come cogliere chi vogliamo essere? Ancora a proposito dell’ultimo libro di Andrea Zhok

giovedì, 24 Gennaio, 2019
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Di primo acchito, il poliedrico concetto di identità personale attira, illusoriamente, l’attenzione su ciò che permane identico nel processo di formazione personale. Tuttavia, lungi dal riferirsi ad una simile monolitica unitarietà, l’identità personale si alimenta di una componente che mina, esattamente, questa presunta fissità: la messa in discussione del sé. Una messa in discussione non certo arbitraria e a-orientata. Tutt’altro, una messa in discussione guidata da una volontà, una volontà libera che orienta la progettualità della nostra identità nel mondo, come la recensione di Stefano Cardini in merito all’ultimo libro di Andrea Zhok ha illustrato chiaramente (clicca qui per leggere la recensione).

Chi vogliamo essere? Nel rispondere ad un simile quesito – centrale per il libro di Zhok – Stefano Cardini, nella sua recensione,  riporta una brillante citazione dell’autore: “Il senso delle nostre azioni, in quanto incarna la nostra libertà, coincide con lʼidentità personale che alimentiamo” (p. 20). Vista la natura stratificata e complessa che il concetto di identità ha rivelato sottintendere, potremmo porci l’ulteriore e originaria domanda: come capire chi vogliamo essere? Quale, cioè, il fondamento epistemologico del “chi vogliamo essere”? Leggendo la recensione di Cardini, tre sono i binomi concettuali – identità e messa in discussione del Sé, senso dell’esistenza e volontà libera, conflitti interiori (che non sfociano in contraddizioni) e ragioni personali – che penso possano permetterci di compiere questa ulteriore riflessione.

Come capire chi vogliamo essere? Una simile domanda pare rilevante al fine di evitare due minacce filosofiche. Infatti, la questione dell’individualità personale sembra risvegliare pericolose scorciatoie filosofiche che ne renderebbero la trattazione sicuramente più lineare, ma la priverebbero della sua autenticità. Pericoli filosofici che sembrano rifarsi ad una deriva propria di una forma di autodeterminismo e ad una propria di una forma d’intimismo. Derive che, di fronte alla domanda “Chi vogliamo essere?” obbligherebbero risposte unidirezionali e sempliciste, ossia: voglio essere chi liberamente determino di essere e trovo in me – in un presunto spazio interiore – la risposta.

Dunque, come capire chi vogliamo essere? Meglio ancora, per allontanarci da ogni tentativo d’intellettualismo, come cogliere chi vogliamo essere? Come cogliere quel nucleo della nostra individualità sia unitario sia radicalmente aperto “alla perenne possibilità di nuove possibilità” (p. 340)?

Sembra qui potersi dischiudere uno spazio di riflessione dedicato all’Altro, non solo come colui che contribuisce a tessere i fili della nostra identità narrativa, bensì come colui che contribuisce, essenzialmente, a farci cogliere gli strati più autentici della nostra individualità. L’altro come co-soggetto che, intrinsecamente, compartecipa al nostro processo di formazione personale proprio in quanto altro, in quanto cioè persona altra da noi e, perciò, in grado di cogliere aspetti ed implicazioni della nostra individualità che esulano completamente da ciò che possiamo cogliere di noi stessi autonomamente.

Dunque, ecco che la nostra ulteriore domanda si delinea meglio nel seguente quesito: come l’Altro coglie aspetti della mia individualità che ineriscono a chi io dovrei volere essere? È certo da notare come l’accento normativo di questa frase non rimandi assolutamente ad una forma estrinseca di obbligazione, quanto invece ad una fonte assiologicamente intrinseca: la consapevolezza della propria individualità porta con sé la responsabilità della propria realizzazione.

Max Scheler è un filosofo che potrebbe dare una direzione tanto fondata quanto originale a questa via di ricerca (basti pensare al suo ritratto dell’altro come “Vorbild”), così come – nel panorama contemporaneo – torna alla mente questo brillante passaggio che, sulla scia di Scheler, offre interessanti spunti per approfondire la tematica in questione, esaminata da Zhok e Cardini, nella direzione dell’alterità: “What I need of the Other is her need for my participation in her life as well as her need to have her participate in mine. I need the Other to participate in me, and need to be needed to participate in the Other’s life. What binds together this dynamic of participation is a mutual interest in the Other’s life as an investment of my own life. In this manner, we do not just live with Others, but, in those cases when we directly participate in the lives of Others, we come live in the Other much as the Other comes to live in me. This reciprocity of ‘living-in’ […] does not represent an alienation of my freedom but, on the contrary, its authentic realization.” (N. De Warren, “Souls of the Departed. Towards a Phenomenology of the After-Life”, Metodo, Vol. 5, n. 1, 2017, p. 223)

 

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