Sulle dimissioni del ministro Fioramonti

domenica, 29 Dicembre, 2019
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Di rado si trovano sui giornali parole tanto condivisibili come quelle che Concita De Gregorio ha dedicato oggi alle dimissioni del Ministro Fioramonti a causa del miliardo in meno di finanziamento dell’Istruzione e Università nella finanziaria, a fronte della richiesta di almeno tre miliardi, non come soluzione dei problemi, ma come linea di galleggiamento. Ecco: il vero fatto non sono le dimissioni, è quello che le ha provocate. Il miliardo in meno. E comunque, non l’ombra di una priorità, nei fatti, per questo cuore del futuro, per questo serbatoio di speranza e valore, per questa fabbrica di decoro morale, civico, culturale, per questo motore cognitivo di una società civile degna del nome che è fatto di Scuola, Università e Ricerca. E di cosa si parla, per lo più, nei media? Di cosa si parlerebbe ad esempio in tutti gli altri paesi d’Europa che quasi senza eccezione vedono, invece, l’assoluta priorità della conoscenza nella società di domani?

“Di questo, si parlerebbe oggi: dei milioni di insegnanti, ricercatori, precari della docenza e dello studio che eroicamente e per cifre ridicole portano avanti un’idea di futuro. Della scuola che cresce i figli nati qui da chi è arrivato da altrove, e che da sola potrebbe ‘far politica’ di integrazione, se solo avesse i mezzi. Di scuole che scompaiono dai paesi….di chi sperimenta l’impensabile e inventa il tempo che verrà. Si parlerebbe di musica nel Paese del bel canto, di lingue antiche che sono la radice della nostra e di teatro, il gioco della vita e del mondo. Di scienze, di tecnologie, di come capire e governare….Di noi fra trent’anni. Ma no, non si parla di questo” (C. De Gregorio, Il governo torni a scuola, “La Repubblica”, 27/12/2019).

No, non si parla di questo. La maggior parte dei commenti si chiedono solo che strategia c’è dietro queste dimissioni, a chi giovano, e chi sono quelli in pole position per succedere al ministro. A parte il fatto che non ci sarebbe nulla di più normale che dimettersi, se uno annuncia che si dimetterà senza questo cambio di passo – e nei termini da lui proposti – nella politica di governi che da tempi immemorabili non hanno considerato Scuola, Università e Ricerca una vera priorità.

Ma non si rende conto, chi solleva queste questioni nauseanti quando in gioco c’è la politica della cultura e della ricerca, di essere esattamente come coloro che oggi ci governano (e il ministro Fioramonti pareva un’eccezione): di veduta più corta di una spanna? E’ un vizio antico, lo pseudomachiavellismo, la realpolitik da quattro soldi, che questi commentatori riproducono. Si chiama cinismo, e nasce da uno scetticismo morale e civile talmente aggrovigliato in se stesso, nella sua dogmatica miseria e nella sua inerzia borbonica, da meritarsi la peggior rovina che possa colpire una democrazia: la perdita totale di fiducia dei cittadini nelle loro istituzioni, il disprezzo di sé, la rassegnazione a un presente e a un avvenire da servi. Forse ce lo siamo meritati noi: ma non i nostri figli e i nostri nipoti.

Ma soprattutto è un vizio antico non capire che dipenderebbe solo da noi che di cultura e ricerca viviamo – ma in primo luogo da tutti quelli che hanno voce pubblica, sui giornali, nelle università, nei teatri, sulla rete: di far crescere una protesta ragionata, ferma, pacifica e quotidiana, una protesta che si levi in tutte le case, in tutte le strade, contro questa eterna umiliazione dello spirito, opposto, e quanto stupidamente, alla pancia. Dipenderebbe da noi di alzare un coro altissimo, un coro simile a quello dell’aquila dantesca degli spiriti giusti, che sono innumerevoli voci, e parlano di sé come di un solo io: ed è questo il solo luogo in cui non fa paura questo noi che è un io, questa unità di un noi, in cui sembra davvero levarsi sui millenni il volo di quest’aquila, che fu la nostra lingua.

E’ un messaggio nella bottiglia lanciata nel mare questo. Se non i miei colleghi, spero l’accoglieranno le sardine.

In merito alla spesa per la pubblica istruzione, clicca qui

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