Gli Studi di fenomenologia 1930-1939 di Eugen Fink nella traduzione italiana di Nicola Zippel (Lithos, 2010)

domenica, 3 Aprile, 2011
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Complimenti al Prof. Nicola Zippel (Università di Roma, già brillante traduttore dell’husserliana Introduzione all’etica per i tipi di Laterza) per la traduzione dei saggi finkiani sulla fenomenologia degli anni Trenta – Eugen Fink, Studi di fenomenologia 1930-1939 traduzione di Nicola Zippel, Lithos, 2010. In questo modo, viene resa più chiara al lettore italiano digiuno di tedesco (ma già la lettura della Sesta Meditazione è di una straordinaria evidenza per tutti, si veda il poderoso e ponderoso saggio di van Kerckhoven su Mondanizzazione e individuazione del ’98, Il Melangolo) la lotta tra i titani Husserl e Fink, quest’ultimo già dalla fine degli anni Venti ampiamente avviatosi lungo un percorso assolutamente autonomo culminante – Husserl vivente, nel 1937!- nel saggio sullo Sviluppo della filosofia di Husserl (ora in Prossimità e distanza, ETS) che altro non è che una ripresa – apparentemente meno traumatica e solo formalmente meno radicale, forse adeguata alle precarie condizioni di salute di un Husserl morente,nel dicembre del ’37! – del § 10 (sulla predicazione trascendentale) della Sesta Meditazione imperniato,come le parti che lo precedono, sulla tematizzazione di quel  ‘concetto’ di “analogia” che, insieme alle categorie di “apparenza”, dialettica dell’ “essere-per-sè” e dell'”essere-in-sè”, “mondanizzazione impropria”, natura ‘esponenziale’, trascendentalmente eterogenea, dello “spettatore fenomenologico”, palesano le massicce quanto teoreticamente – e oppositivamente rispetto ad un Husserl sempre più sconcertato all’altezza non solo di quel §10 – fondanti frequentazioni, da parte del giovanissimo Fink, sia dello Hegel della “Fenomenologia dello Spirito” – su cui tra il ’30 ed il ’31 Heidegger teneva una celebre serie di lezioni – sia della filosofia di Anassimandro e di Eraclito, sia dell’amatissimo Nietzsche il cui “Uber-Mensch” dionisiaco serpeggia ovunque.
Non per nulla, la prima Appendice, di Fink, alla Sesta Meditazione contiene una succinta ma inequivocabile sintesi dei punti di rottura con Husserl:uno per tutti – ma che li riassume nella loro totalità! – , l’affermazione,di fronte alla centralità husserliana dello ‘spirito umano-finito’, della centralità, antagonistica, di una “filosofia me-ontica dello spirito assoluto”.

Sarebbe interessante vedere tradotto anche il secondo volume dei materiali finkiani (Husserliana, Dokumente, 1988) – il primo, la Sesta Meditazione, tradotto da Marini per Franco Angeli: anche lì la differenza tra Husserl ed il suo ‘assistente’ è palpabile sin nelle minime sfumature, specialmente laddove Husserl commenta i §§ 2 e 5 del progetto finkiano del ’31 sull’opera sistematica sottolineando la centralità della costituzione intersoggettiva del mondo ed una concezione radicalmente alternativa a quella finkiana del concetto stesso di ‘mondo’ – sulla scorta delle lezioni sui Problemi fondamentali della fenomenologia del 1910-11. E così si ha anche la percezione dell’autonomia di Fink rispetto ad Heidegger, nonostante gli enormi punti di tangenza e di intersezione. Povero Husserl, stretto tra la ‘differenza ontologica’ del filosofo di Messkirch e la ‘differenza cosmologica‘ di Fink! Ancora complimenti!

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3 commenti a Gli Studi di fenomenologia 1930-1939 di Eugen Fink nella traduzione italiana di Nicola Zippel (Lithos, 2010)

  1. domenica, 10 Aprile, 2011 at 23:58

    Un commento un po’ informale. Ahimé, povero Husserl. Già la prima generazione di allievi capì ben poco, anche nei suoi migliori e oggi a noi indispensabili esponenti, del titanico progetto di rifondazione del pensiero pratico, che ha in cuore il rigetto della dicotomia humeana di fatti e norme e un cognitivismo assiologico e morale a base socratica, ma senza intellettualismo e con una teoria dell’esperienza morale capace di reggere il confronto fino ai nostri giorni, fino a Dworkin. Ma poveraccio, fu incastrato da molti allievi in dispute un po’ inconcludenti sugli ismi, e si perse nei meandri del (passabilmente inutile) solipsismo metodologico. Nel giovane Fink aveva riposto le sue speranze. Deve essere stato un po’ la sua consolazione, all’inizio, dopo il disgustoso tradimento morale di Heidegger (revoca della dedica di Sein und Zeit, approvazione della revoca nazista della venia legendi a lui ebreo. Cose da vomito). Ci mancava pure questa storia qui – il povero lieber Meister rintronato, sulla soglia del suo morire, e quello che si mette a danzare la filosofia me-ontica (aiuto) dello spirito assoluto, e come se non bastasse con dionisiaca e superomistica ebbrezza a braccetto dell'”amatissimo” Nietzsche. Povero Edmund, anima cara. Ma, cari amici, povera Europa, poveri noi. Vi pare proprio irrilevante? Queste finkiane fesserie (chiedo perdono – non ve ne importa nulla?) avvengono nel ’37. Ma avete una vaga idea di cosa c’era intorno, in Germania e nell’università tedesca? Di cosa significava, questa dionisiaca ebbrezza? Mah…

  2. lunedì, 11 Aprile, 2011 at 10:16

    Sono perfettamente d’accordo con Roberta De Monticelli. Non ho ben capito, però, se la sua apostrofe finale si rivolga a me o a quanti, incantati – loro sì, non il “lieber Meister”! Il caro vecchio Husserl è di una potenza infinita, è ineguagliabile! – dall’inconcludente ‘gergo dell’autenticità’ heideggeriano e finkiano, abbiano teorizzato la morte del soggetto, il ‘ pensiero debole’ e l’equivalenza dei relativismi gettando l’intellettualità europea nel disorientamento a-politico e nel relativismo morale – concordo anche su questo con De Monticelli e con il suo articolo su Reggio Emilia – dato che il mio approccio alla fenomenologia è radicalmente filo-husserliano, quindi lontano anni luce da complicità con filosofie ‘me-ontiche’ o con anti-umanismi da ‘pastore dell’Essere’ ed è un approccio radicalmente ‘politico’ in senso platonico-aristotelico, come si evincerà facilmente, seppur sommariamente, dalle righe che seguono. Infatti,sono radicalmente convinto – e anche in questo credo di sfondare una porta aperta con la mia interlocutrice sempre così stimolante – che se Husserl avesse nei primissimi anni Venti (così come viene ricordato nella lettera a Misch del novembre 1930, laddove Husserl sottolinea che già da dieci anni erano pronti i materiali per una trattazione sistematica di una soggettività trascendentale assolutamente ‘concreta’-teorico-pratica-estetica, ecc-!!!, asserzione che ricompare, con enorme nettezza, anche nella “Krisis”, p.290, tr.it.), grazie alle sue forze ancora intatte e ad una teorizzazione oramai definitivamente acquisita -1) unità di teoria e prassi (Platone e Socrate, per intenderci!) nell’ambito di un progetto di ‘rinnovamento’ socio-politico democratico-radicale mirante all’estinzione di ogni forma di potere tramite una (quasi) gramsciana anticipazione comunitaria da parte dei filosofi come come ‘funzionari’ (v. gli innumerevoli accenni in “Kaizo-Artikel”); 2) idea di una comunità personalistica in grado di superare la dicotomia tonnesiana tra ‘comunità’ e ‘società’, quindi anti-organicistica e anti-capitalistica, ossia anti-‘prestazionistica’;3) fondazione di una teoria etica poggiante – si vedano, oltre a “Fichtes Menscheitideal” (parte II, pp.281-284 e l’intera parte III) i “Kaizo-Artikel” e le corrispondenti parti di “Erste Philosophie”, II, pp.8-17,ecc. – sulla preliminare fondazione emozionale (qui c’è sicuramente un’acquisizione del miglior Scheler del “Formalismo”!) dell’essere dell’uomo con conseguente ‘vocazione’ da parte del Valore Assoluto – il platonico Bene, perseguito ‘eroticamente’ anche dal ‘lieber Meister, del “Fedro” e del “Simposio”, opere che Husserl rilegge in quegli anni – e ‘risposta’, da parte del soggetto, anche nella sua articolazione sovra-personale, attraverso la ‘filosofia come scienza rigorosa’;4) infine, monadologia assoluta, carattere ultimamente costituente dell’intersoggettività trascendentale finalmente attore di una ‘storia trascendentale’ (Krisis) quale interrelazione reciprocamente infinita e intro-sentirsi (E III 5,il tardo frammento tradotto e commentato da Paci) come ‘reminiscenza’ obiettivante di un’ universale Impulso, di una Hyle in-oggettivabile, ‘lebendige Gegenwart’, intenzionalità fungente costantemente in atto e in grado,nella sua particolarizzazione in ogni singolo uomo, di trapassare l’ottuso ‘milieu’ (Kaizo) di una ‘tradizione’ che, anziché costituire (v.Kaizo e Krisis) un necessario tramite intersoggettivo-storico nell’ambito della teoria husserliana della ‘generatività, si ispessisce nella propria auto-referenzialità prodromica all’affermazione dell’ansia prestazionistica e della strutturazione, con quest’ultima co-istituita, ‘imperialistica’-nel senso di centralistica ed asfitticamente gererchica- dei rapporti umani in senso lato (c’è da dolersi che la terza parte della “Krisis”, che contiene queste inarrivabili analisi, sia rimasta inedita fino al 1954: con il testo completo a disposizione, con quelle magistrali affermazioni della ‘buona’ tradizione e della ‘buona’ storicità già abbozzate nel ’33 nell’App. X e nella relativa nota 1 alla “Sesta Meditazione”, si sarebbero evitate tante inutili dicerie sull’Husserl ‘a-storico’!)- dato alle stampe quest’opera sistematica, avrebbe disinnescato derive irrazionalistiche e influito anche politicamente sulla travagliata Repubblica di Weimar – come vedremo più diffusamente avanti – nella direzione di quel co-filosofare socialmente condiviso da una comunità integralmente ricostruita oltre qualsiasi barriera gerarchica – si vedano,tra le altre, le lettere al conte von Keyserling del 1919 e quella a Bell, del 1920.
    Per quanto riguarda Fink – autore gigantesco ma non mio, come mio non è Heidegger: io sono e rimango husserliano e non accetto trapianti indebiti di uno nell’altro (v.la preveggente lettera di van Breda a Merleau-Ponty del dic.’45, in cui lo invitatava a non appiattire Husserl sulla lettura finkiana!): Fink ha sicuramente ragione nel definire l’impresa husserliana quale ‘cosmogonia’, interrogazione radicale sull’ “origine del mondo” (v. saggio del ’33 su “Kant-Studien”) conseguente ad un’applicazione effettivamente radicale della ‘riduzione’ e non ennesima, mera ‘descrizione eidetica’ (v.anche la lettera husserliana a Mahnke del 1927, equanime ma ferma sulla ‘sintesi’ con Dilthey!) della periferia ‘oggettuale’ pre-data onticamente, “fenomenicamente” – anche se poi, purtroppo, sarà questa seconda chiave di lettura, ‘operativa’ e non ‘tematica’, nell’ “ombra del filosofo”, quella predominante in Fink: un Husserl irretito nell’incanto della finitudine che, angosciato, ritorna all’ombra della tranquillizzante ‘ingenuità naturale’ del tradizionale concetto di ‘mondo’ ed edifica pseudo-metafisiche ontogoniche quali voli di Icaro modellandole sul ristrettissimo profilo della ‘cosa materiale’ quale mero fenomeno, mero complesso di correlati intenzionali coscienziali acriticamente istituiti dal ‘neo-hegeliano'(!!!) Husserl-: la fenomenologia, per il filosofo di Prossnitz, è scienza dell’Ego trascendentale, della ‘lebendige Gegenwart’ – che dovremmo scrivere con la maiuscola anche in italiano, dato che questa Presenza è, per ammissione dello stesso Husserl – Dio quale Totalità Infinita (e qui sarebbe d’accordo anche Lévinas!), Ego che anima il cosmo dai suoi strati più elementari su su fino allo (non ‘esponenziale’, anti-finkiano) “spettatore fenomenologico” in quanto pura auto-coscienza dell’Ego cosmico – v.E III 5,trad. da Paci e commentato,nonché “Krisis”, pp.289-90, tr.it., oltre le illuminanti parole, di trent’anni prima(!), certo conosciute e meditate da Husserl, del vecchio Dilthey in “Leibniz und sein Zeitlter” (GW III, 1992, p.27,pp. 62 sgg., 73 sgg., 274) laddove invitava a riconoscere nell’intuizione monadologica del bibliotecario di Hannover l’apertura all’universo come “senso, valori, sviluppo, vita, un regno scalare di aspirazioni che si esplicano, finalità immanente” mercè la teoria strategica e rivoluzionaria delle ‘piccole percezioni’, Ego che è relazionismo universale, monadologia assoluta, intersoggettività ultimamente costituente in un telos infinito grazie alla scoperta husserliana dell’intenzionalità d’orizzonte infinita a partire da “Erste Philosophie II”. Questa acquisizione – che, ripetiamo, avrebbe potuto costituire il quadro definitivo di quell’opera sistematica che Husserl aveva in mente di realizzare nei primissimi anni Venti – , nasce nel 1907 a Gottinga con la scoperta del “flusso della temporaltà costituente”(v.”Lezioni sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo”,Parte I,Sez.III,§§34 sgg:,spec.§36 -“per tutto questo,non abbiamo i nomi”-,si articola nella “doppelte Reduktion” intersoggettiva nel 1910-11 con il corso sui “Problemi fondamentali della fenomenologia”, conosce una svolta decisiva a Bernau (17/18) con i testi 14 e 15 dei “Bernauer Manuskripte”, matura definitivamente, prima a S.Margen e poi a Friburgo, con le “Lezioni sulla sintesi passiva” del ’20-’21 e sfocia nella “Erste Philosophie”, nei “Kaizo-Artikel” e nell'”Etica” del ’20-’24 basata sull’ “a priori materiale” di ascendenza scheleriana: in sostanza, la “Crisi delle scienze europee” è già scritta virtualmente nel 1922, non occorre aspettare l’iniezione ‘esistentiva’ di “Sein und Zeit” o altre amenità del genere; anzi: scrivendo l’opera sistemantica del Venti, Husserl avrebbe ‘disinnescato’ anticipatamente Heidegger e i suoi fraintendimenti della fenomenologia husserliana quale ‘coscienzialismo’, ecc. non trasmettendo equivoci ai suoi nipotini – Derrida,ecc. – e, forse, anche Fink non avrebbe trovato un terreno sul quale far crescere il proprio ‘pensiero danzante’ ma – come giustamente nota De Monticelli – si sarebbe concentrato su quella che, secondo Husserl, era l’unica, vera priorità: l’approntamento di una mediazione storico-politica audacemente riformistico-strutturale tra lo “spettatore trascendentale” e il filosofo ‘leibhaft’ quale ‘funzionario’ anti-imperialistico-nel senso ricordato sopra,quindi anti-gerarchico e comunitariamente diffuso in direzione di una re-integrazione attivamente solidale,mercé la ‘filosofia come scienza rigorosa’ quale autentico ‘imperativo categorico’, di un’umanità polverizzata e cieca:ma la critica di Husserl allo Stato,al suo centralismo gerarchico,al suo carattere repressivo e funzionale al produttivismo prestazionistico capitalistico,a partire dal 1919, è così radicale,specialmente nei “Kaizo-Artikel”,che,in nuce, un’estensione analitica delle sue categorie ermeneutiche storico-politiche all’imperialismo quale forma di unificazione dell’husserliana Humanitas meramente statuale-economicistica in chiave repressiva,quindi radicalmente anti-teleologica,anti-razionale,anti-umanistica,non sarebbe a priori da escludere,considerato l’innalzamento esponenziale,in quegli stessi anni Venti e Trenta,del tasso di penetrazione colonialistica in Asia e in Africa,che di per sé costituiva,oggettivamente, anche un allargamento del bacino di soggettività potenzialmente coinvolgibili in un processo di unificazione teleologica che Husserl aveva immediatamente percepito !- anticipante, nella forma di una personalistica comunità di comunicazione, un’Umanità altrettanto concreta che, stretta tra democratismo radicale e barbarie, attendeva una chiarificazione, teorica e linguistica, della propria situazione alienata e reificata (per alcuni riferimenti testuali, specifici ancorché sommari, oltre all’intera “Krisis”, si vedano le note – lunghe – di Husserl alla “Sesta Meditazione”finkiana, in part. nn. 374, 380, 396, 433, 514 e la n.469 – lunghissima ma dirimente! -, oltre alle App.II, VI, IX, XIII e XV).

  3. Jan
    sabato, 23 Luglio, 2011 at 16:12

    Roberta De Monticelli, commento ridicolo… ma voi sapete leggere? O state solo ripetendo formule magiche di dogmatismi e campanilismi? A parte che sarebbero “fesserie” che incominciano ad “avvenire” già 10 anni prima, nel 1927, mi chiedo che ne sarebbe stato di Husserl, immenso maestro, senza Fink, o Landgrebe, …

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