Bobbio, Marx e la fenomenologia di Paci – di Giuseppe Cappello

martedì, 27 Agosto, 2019
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Riceviamo, e volentieri riprendiamo, questo testo di Giuseppe Cappello (Docente di Filosofia e Storia presso il Liceo Statale “Maria Montessori”, Roma, www.giuseppecappello.it).

 

Sono passati appena trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino e il pensiero di Marx ha fatto già in  tempo sia ad essere seppellito che, in qualche modo, a tornare come interlocutore di sociologi, filosofi e, ove se ne scorgano, politici stessi. Se, infatti, il disfacimento dell’Urss e, con essa, il disfacimento del primo grande tentativo di realizzazione del cosiddetto comunismo reale ha subito fatto pensare a un tramonto definitivo della prospettiva marxiana, è certo che già il primo decennio del nuovo millennio ha messo di fronte gli stessi sociologi, filosofi e uomini politici, almeno al pensiero che probabilmente la filosofia di Marx era stata troppo frettolosamente messa da parte di fronte alle «magnifiche sorti e progressive» del mercato che i conservatori dell’«egualitarismo minimo» (Bobbio 1994) avevano bandito ai quattro angoli del globo sotto il segno di un’egida trionfante. La crisi iniziata nel 2008 e, più in generale, la polarizzazione della ricchezza mondiale con il forte aumento delle diseguaglianze che sembra pervadere da un capo all’altro il globo terraqueo in questo ultimo decennio ha fatto si che ciò che troppo frettolosamente era stato dato per morto, allo stesso tempo, forse anche qui troppo frettolosamente, è stato dato per redivivo.

Un filosofo italiano che ha avuto con Marx un rapporto nel segno del pensiero critico della originaria lezione socratica è stato Norberto Bobbio. La sua fitta interlocuzione con Marx sembra essere fra quelle che più possono essere ricondotti all’atteggiamento spinoziano del «non ridere, non lugere nec detestari sed intelligere». Un atteggiamento che può essere testimoniato da una raccolta di saggi che Bobbio ha dedicato al filosofo di Treviri e che è stata pubblicata con il titolo Né con Marx né contro Marx (Roma 1997) e da cui riportiamo le citazioni che seguiranno. La raccolta è stata curata da Carlo Violi e, riunendo molti dei saggi che Bobbio ha dedicato a Marx fra il 1946 e il 1992 nonché essendo stata pubblicata nemmeno a un decennio di distanza dalla caduta del Muro, già nell’elemento cronologico testimonia di un autore che rispetto al filosofo di Treviri ha sempre tenuto l’atteggiamento dell’interlocuzione piuttosto che quelle bipolari, spesso riscontrate nei medesimi autori, dell’esaltazione così come di una vera e propria abiura.

Bobbio, a differenza di molti, riconosce innanzitutto in Marx di essere un classico del pensiero politico. Questa idea risponde infatti per Bobbio ai tre requisiti che egli stesso ha posto per individuare un classico della riflessione: «Deve essere considerato come un interprete dell’epoca in cui visse tale che non si può prescindere dalla sua opera per conoscere lo ‘spirito del tempo’; deve essere sempre attuale nel senso che ogni generazione senta il bisogno di rileggerlo e rileggendolo di darne una nuova interpretazione; deve aver elaborato categorie generali di comprensione storica, di cui non si possa fare a meno per interpretare una realtà anche diversa da quella da cui le ha derivate e a cui le ha applicate». Che Bobbio consideri il pensiero di Marx sotto queste tre coordinate, oltre a essere testimoniato dai lavori che egli ha dedicato al filosofo di Treviri e dalle stesse interlocuzioni con i suoi epigoni novecenteschi, è testimoniato dal fatto che questo paradigma sotto cui considerare un autore un classico, il filosofo torinese lo abbia elaborato proprio in un articolo dedicato a Marx dal titolo Marx, lo Stato e i classici. Insomma, Bobbio ha studiato Marx, non riconoscendolo espressamente come un suo autore, come quegli autori che egli espressamente riconosce come i suoi ovvero Platone e Aristotele, Hobbes e Rousseau, Kant e Hegel, Pareto e Weber.

Ma qual è per Bobbio il tratto che rende Marx segnatamente un autore classico e che lo sottrae, nella prospettiva del filosofo torinese, ad esaltazioni e abiure compulsive di altri autori e di stessi decenni diversi pure l’uno di seguito all’altro? Qual è il segno che rende Marx un classico e spinge addirittura Bobbio a dire che «si poteva continuare ad essere liberali, senza essere necessariamente antimarxisti». Perché di questo, con Bobbio e oltre Bobbio, qui si tratta. Al di là della pura teoresi e venendo per un attimo alla pratica. Cosa c’è nel pensiero di Marx che non può essere lasciato da parte da quel liberale che, per dirla fra i pensieri di un altro maestro del pensiero critico (che lo stesso Bobbio dice essere stato «il più giovane dei miei maestri»), Guido Calogero, non può non aggiornare se stesso agli stessi tempi di oggi? Scrive Calogero:  «Il liberale vecchio era convinto che il liberale non può essere socialista: il liberale aggiornato s’è accorto che può esserlo. Non però, ancora, che deve esserlo». Cosa c’è in Marx, secondo lo stesso pensiero di Bobbio, che può contribuire a tale evoluzione del liberale e che probabilmente è stata la causa di questa interlocuzione continua del filosofo torinese con in testi di Marx? In un articolo del 1951, che Bobbio intitola significativamente Invito al colloquio, il filosofo liberale scrive chiaramente che «Chi oggi rifiuta totalmente il marxismo, come aberrazione, barbarie, sconsacrazione, sappia che deve rifiutare, se non vuole rinunciare alla propria coerenza, tutto il pensiero moderno […] chiamare barbara, aberrante e sconsacrante tutta la scienza moderna […] ripercorrere a ritroso tutto il cammino fin qui compiuto in quattro secoli e rituffarsi nel Medioevo». Qual è però, per non eludere l’interrogativo che ci siamo posti, ma rafforzare la risposta dopo questa ulteriore testimonianza di Bobbio, ciò che il filosofo torinese, nella sua libertà critica, riconosce a Marx come il segno che, se rifiutato, rigetterebbe gli uomini nel Medioevo? Che farebbe ripiegare lo stesso liberale o «nell’interiorità» o lo rigetterebbe fra le braccia di «vecchi padroni»? Un carteggio con Palmiro Togliatti, che in questa occasione si firmava, Roderigo di Castilla, lascia cadere le parole più importanti che documentano l’interesse sia teorico che pratico, sia dello studioso che del liberale, al pensiero di Marx. Scrive Bobbio a Togliatti: «se non avessimo imparato dal marxismo a vedere la storia dal punto di vista degli oppressi, guadagnando una nuova prospettiva immensa nel mondo umano, non ci saremmo salvati». In un’interlocuzione poi, con Paolo Sylos Labini, oltre al tema più eminentemente sociale dell’uguaglianza, Bobbio formulò all’amico economista gli interrogativi se Marx non avesse avuto il merito, anche in tema di analisi socio-economica, di comprendere «a) il primato del potere economico su quello politico; b) la previsione che attraverso il mercato tutto può diventare merce, donde l’avvio inevitabile della società della mercificazione universale».

Fissiamo dunque due punti che ci sembrano fondamentali, uno nel metodo e uno nel merito, a qualificare l’attività di Bobbio quale quella di uno spirito libero in questa cartina di tornasole nel rapporto con la filosofia di Marx. Il metodo del filosofo torinese ci sembra quanto di più socratico possa essere rilevato nell’approccio proprio di uno spirito libero allo studio del pensiero di un altro autore. Sennonché ci sembra di poter dire che la libertà che testimonia lo spirito di Bobbio non è da ricercare esclusivamente sul piano del rapporto intellettualistico; attraverso il rapporto degli intelletti, Bobbio cerca nel pensiero di Marx quale siano gli elementi senza i quali, lo ribadiamo con le stesse parole di Bobbio, senza il contributo di Marx, il filosofo liberale sarebbe stato risospinto o nell’interiorità e addirittura fra le braccia di vecchi padroni.

Sennonché lo spirito libero è tale anche perché nell’interlocuzione vede anche i punti critici della teoria con cui si confronta. Cosicché nel caso del rapporto di Bobbio con Marx dobbiamo ora procedere a vedere quali siano i punti che il filosofo torinese stigmatizza nella teoria e nella prospettiva pratica del filosofo di Treviri. Questo atteggiamento socratico di «dare e chiedere ragione» all’interlocutore, e in questo caso all’interlocutore Marx con i suoi epigoni, Bobbio lo esprime nella più limpida plasticità. Scrive infatti Bobbio nell’articolo che non a caso prende il titolo de Il socialismo in Occidente: «Facciamo pure i conti con voi. Ma ad un patto: che voi facciate, onestamente, lealmente, definitivamente i conti con noi, cioè con le esigenze imprescindibili, irreversibili della moderna democrazia».

In quale punto, al di là delle pur non irrilevanti implicazioni storiche e delle ambiguità dei comunisti italiani sulle posizioni sovietiche e segnatamente staliniane, Bobbio non poteva certamente scontare sia a Marx che i marxisti un confronto con la tradizione liberale? E con la tradizione liberale dello stato di diritto e della democrazia moderna? Certamente, ciò che per Bobbio era un principio irricevibile della prospettiva marxiana e marxista era l’idea ultima dell’abolizione dello Stato. Che in Marx e nei marxisti rimane certo il punto di approdo dell’intero corso storico. Come scrive lo stesso Violi, nell’introduzione ai saggi raccolti in questa felice raccolta dal titolo Nè con marx né contro Marx, «per Marx lo Stato non è il regno della ragione, ma della forza; non è l’uscita dallo stato di natura, come nella tradizione giusnaturalistica, da Hobbes a Hegel, bensì la sua continuazione. L’uscita dallo stato di natura coincide in Marx con l’uscita dallo Stato, con la sua estinzione». Rimane semmai il problema, in Marx, per dirla con un termine Husserl, alla cui filosofia faremo ora un importante riferimento, di chi detenga l’arcontatoche traghetti lo stato borghese e poi quello socialista alla stessa estinzione dello Stato. In Marx, lo sappiamo bene, questo è il compito storico del proletariato. Un altro punto irricevibile al liberale che pure abbia capito che può essere socialista ma anche che deve esserlo.

Il rimando a Husserl prelude a uno delle più importati interlocuzioni che Bobbio ebbe con chi, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, stava cercando di coniugare il marxismo proprio con la fenomenologia. Opera che proprio Bobbio vedeva nella prospettiva di Enzo Paci. Ancora meglio: opera che, solo in Paci, Bobbio vedeva avvenire «contemporaneamente dalle due parti; il marxista che è in Paci – continua infatti Bobbio – tende una mano alla fenomenologia nello stesso tempo in cui il fenomenologo tende la mano al marxismo». Con quali risultati? In che modo lo spirito libero di Bobbio dava e chiedeva ragione di questo ulteriore convitato che si aggiungeva al dialogo fra liberalismo e al marxismo? Innanzitutto Bobbio dava ragione a Paci,lo ripetiamo, concedendo che solo nella sua opera «fenomenologia e marxismo sono due protettorati egualmente sovrani, che stabiliscono tra loro un vero e proprio trattato di alleanza». Sennonché, altrettanto onestamente, Bobbio chiedeva a Paci, e a se stesso, se questa alleanza fra il marxismo e la fenomenologia avesse potuto produrre benefici per l’uno e per l’altra l’uno all’altra e l’altra all’uno. Cosa su cui espresse le sue perplessità.

Ma quale furono i termini dell’analisi che Bobbio approfondì sui rapporti fra marxismo e fenomenologia? Che pure verso la fenomenologia, come con Marx, l’atteggiamento di Bobbio è quello di un dare e chiedere ragione di ordine socratico. Scrive, in questo dare e chiedere ragione, Bobbio: «Marx servirebbe a portare innanzi l’analisi della crisi, fatta da Husserl, il quale si ferma all’oggettivazione scientifica e non si rende conto che dietro l’oggettivazione scientifica c’è l’alienazione sociale; Husserl servirebbe a far capire il senso, la direzione ultima, il telosdell’analisimarxiana».

Nel tragitto che va dalla fenomenologia a Marx, scrive Bobbio, «l’integrazione che il marxismo offre alla fenomenologia sembra necessaria, se si guarda il fine cui Paci mira, che è quello di sorprendere una crisi sociale, di un certo tipo di società, dietro la crisi delle scienze; on sembra invece altrettanto necessaria e condizionante la fondazione che la fenomenologia mette a disposizione del marxismo»; nella direzione contraria, quella del tragitto da Marx a Husserl, quest’ultimo sarebbe di grande aiuto al primo perché Marx «scopre l’alienazione economica della società capitalistica ma non si accorge sino a quale punto il processo di liberazione dall’alienazione è un ritorno al soggettoche riscopre a sua volta il mondo in una dimensione nuova non compromessa dalla costruzione delle varie scienze tecniche». In questo senso la disalienazione rispetto alle scienze tecniche, dietro cui c’è l’alienazione dei rapporti di produzione, diventa fatto teoretico e si risolve in quella scoperta del mondo-della-vita che, originario rispetto a qualsiasi categorizzazione, libererebbe la soggettività a monte. Sennonché è proprio qui che Bobbio sottolinea, che le strade del marxismo e della fenomenologia appaiono inconciliabili. L’uno, infatti, irriducibile liberazione pratico-sociale, l’altra liberazione di ordine teoretico.

Lo stesso Paci sottolinea come Husserl affidi la cosiddetta liberazione alla «funzione arcontica della comunità dei filosofi» lì dove Marx affida «la funzione arcontica alla comunità dei proletari». Una frattura insanabile che in Bobbio lascia poi lo spazio al suo pensiero di fondo su quella che è la funzione arcontica dello stato di diritto. Scrive in questo senso il teorico dello stato liberale: «Non si tratta di rinunciare alla funzione arcontica della filosofia, ma di concepire diversamente l’arché, cioè di scegliere l’archépropria del cosiddetto ‘Stato di diritto’, che non si propone altro che di permettere la coesistenza delle infinite vie che ciascuno persegue secondo il proprio talento, verso il proprio telos».

 

Giuseppe Cappello

Docente di Filosofia e Storia presso il Liceo Statale “Maria Montessori”
Roma
www.giuseppecappello.it

 

 

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