La teoria dei valori che ci manca Dialogando con Andrea Staiti (2020), Etica naturalistica e fenomenologia, Bologna: Il Mulino

sabato, 16 Gennaio, 2021
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  1. Tre osservazioni preliminari

La prima cosa da dire è che questo è un bellissimo libro[1]. La seconda, che era un libro necessario, e comincia a riempire una lacuna che i colpevoli ritardi dei fenomenologi, non solo italiani, e fra i più colpevoli quello di chi scrive, avevano lasciato spalancata come un grido di Munch.

Sì, perché non si tratta genericamente di filosofia morale, e neppure specificamente di etica normativa – le quali da almeno una ventina d’anni sono sotto la lente dei fenomenologi, anche se – a mio avviso – in modo ancora troppo esegetico o filologico, o non abbastanza fenomenologico.  Qui si tratta di metaetica, per l’essenziale, e in particolare di metaetica naturalistica, oggi di gran lunga la più gettonata anche fra i non specialisti (si vedano recenti dibattiti anche sul nostro Phenomenologylab).  E quindi, bene o male, di teoria dei valori: lasciata finora quasi senza interlocuzione proprio dalla fenomenologia, che quasi era nata per parlare di questo! Un vero scandalo, attenuato soltanto dalla presenza di pochi, troppo pochi e ancora troppo iniziali contributi, quasi tutti rigorosamente citati nel testo di Staiti.

Che esagerazione, penserete: la fenomenologia nata per parlare di questo! Ma sì, questa è la terza cosa da dire, prima di entrare in materia. Basta che pensiate ai valori epistemici: chiarezza, evidenza, rigore-scientificità, buona fondazione, verificabilità, conoscenza – e naturalmente avrete tutto ciò di cui anche la più tradizionale e poco immaginativa esposizione della fenomenologia – specie classica, specie poi husserliana – si preoccupa. Ma, tanto per andare più a fondo, e giustificare il mea culpa sui ritardi: penso che un’assiologia fenomenologica sia oggi il più urgente dei nostri bisogni intellettuali, un bisogno teorico ma anche culturale. Questa assiologia fenomenologica da farsi oggi salirà certamente sulle spalle dei suoi classici, ma altrettanto naturalmente dovrà pur discutere con i filosofi contemporanei – specie se condividono almeno implicitamente un impegno verso i valori epistemici, oltre che eventualmente trattarne al livello metateorico, e quindi dovrà tradurre il suo gergo in termini universalmente accessibili, come già sta facendo questo libro eccellente.

Quest’ultima considerazione era necessaria proprio per entrare in materia. Perché mette subito le carte in tavola: non si è mai tanto interessati ai libri quanto se ci si sta occupando proprio delle cose di cui parlano. Perciò questa mia discussione non sarà distaccata o neutrale: avrà sullo sfondo alcune delle tesi che mi stanno a cuore[2]. Non invasivamente spero, perché ora è delle tesi di Andrea Staiti che stiamo parlando. Ma per dare già un’idea di come voglio procedere, espliciterò subito l’essenziale della mia lettura. L’approccio di Andrea Staiti alla metaetica dà tutto quello che si poteva dare sfruttando il versante noetico dell’analisi fenomenologica – fuori dal gergo, il versante della riflessione sugli atti e i vissuti del soggetto, quelli che in terminologia più standard, e pur con una perdita di un dettaglio di informazione, si chiamerebbero stati intenzionali. Ma, come perdiamo contenuti rilevanti di analisi se riflettiamo sul vedere e il guardare senza tener conto delle caratteristiche proprie dei contenuti del visibile, così accade o può accadere se descriviamo i modi della cognizione assiologica – del valutare ad esempio – indipendentemente dai loro oggetti, o meglio dalla “materia” di questi oggetti, i valori: specifici oggetti di un’assiologia “materiale”, che la sua materia desume dal versante noematico dell’analisi, cioè dall’indagine sulla natura dei valori – ovviamente in quanto dati al loro specifico modo d’esperienza.

Procederò quindi affiancando questioni di assiologia materiale – o noematica, o a parte objecti – all’esposizione di alcuni fra i problemi e le soluzioni che Staiti propone, con una importante eccezione nel cap. III, a partire dalle risorse della fenomenologia noetica o a parte subjecti. Solo alla fine di questa disamina potremo capire se la prospettiva noematica è solo complementare rispetto a quella noetica caratteristica di questo libro, o è anche in qualche senso più fondamentale proprio da un punto di vista fenomenologico, ossia quanto alle fonti di evidenza, o riempimento intuitivo, dei principi di un’assiologia fenomenologica. Né nell’una né nell’altra ipotesi il valore della ricerca portata a termine in questo libro ne risulterà minimamente diminuito.

 

[1] Di cui, infatti,  non sono la prima ad occuparmi: segnalo almeno le recensioni di Susi Ferrarello, https://reviews.ophen.org/2020/08/06/andrea-staiti-etica-naturalistica-e-fenomenologia/?lang=it,

e Bianca Bellini (2020) http://www.disciplinefilosofiche.it/recensioni/93-recensione-a-a-staiti-etica-naturalistica-e-fenomenologia-il-mulino-bologna-2020-pp-158-bianca-bellini/ . Anche per questo la mia lettura, più che una recensione, è una discussione approfondita, che prende questo libro molto sul serio come contributo a un campo di studi di enorme importanza, e che solo oggi rivede finalmente una ripresa da parte fenomenologica: questo può in parte giustificare, anche se non forse scusare, l’inusuale lunghezza di questa analisi, e la sua passione.

[2] Le principali fra queste sono esposte sinteticamente nel cap. VI di Towards a Phenomenological Axiology. Discovering What Matters, Palgrave 2021, forthcoming, e in italiano nel cap. V di Al di qua del bene e del male. Per una teoria dei valori, Torino: Einaudi 2015.

Scarica qui la recensione da Phenomenological Reviews

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