Il Paese dell’irresponsabilità: transizione e costituzione

lunedì, 14 Dicembre, 2009
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Berlusconi ha dichiarato a Bonn giovedì 10 dicembre, tra una barzelletta e l’altra, che l’Italia si trova in una fase di transizione cui lui stesso intende porre fine dando al nostro paese una nuova forma. Mauro ha commentato il giorno seguente avvertendo dei pericoli dell’incipiente stato di eccezione in cui sulla base dell’acclamazione popolare si cerca di modificare la costituzione forzando la prassi costituzionale. Ieri sera, al termine di un comizio, uno squilibrato ha aggredito Berlusconi e gli ha rotto setto nasale ed un paio di denti. L’immagine del suo volto tumefatto è ormai nuovo stimolo per la nostrana politica dell’eccitazione.

Una politica che gioca con i sentimenti, gli amori e soprattutto gli odi della popolazione, con le emozioni e le paure. Una politica che alimenta ad arte questi moti dell’animo e li utilizza per legittimarsi. La stessa politica che rifiuta l’etica del dialogo in parlamento e nei confronti pubblici. Le passioni sono il cuore della politica, le passioni cieche e compulsive sono lo spirito del populismo. Di fronte a tutto ciò stupisce l’irresponsabilità di troppi intellettuali italiani. L’irresponsabilità di coloro che per partito preso non prendono posizione. Da anni ormai. Ma perché si confonde in questo paese il prendere posizione con lo schierarsi?

Un intellettuale ha il dovere di prendere posizione. Di giudicare secondo ragione, di mettere sotto analisi i giudizi ed i pregiudizi che guidano l’agire pubblico. Molti cosiddetti liberali invece si fregiano molto spesso della propria imparzialità, della propria impoliticità e trasparenza. Dare le notizie senza prendere posizione, perché ogni presa di posizione sarebbe inficiata di moralismo: e chi non può oggi non citare la “tirannia dei valori” di Schmitt?

Una politica delle passioni forti e cieche e una classe intellettuale che non prende posizione per non schierarsi: benvenuti nell’Italia dell’irresponsabilità collettiva, il paese del giornalismo schierato e degli intellettuali omissivi.

Nelle tensioni di queste settimane capita spesso di imbattersi in argomentazioni che fanno uso di un particolare strumentario concettuale: “stato d’eccezione”, “tirannia dei valori”, “politeismo dei valori”, “etica della convinzione ed etica della responsabilità”, “giudizio assiologicamente indifferente”, etc. Si tratta di uno strumentario concettuale che viene tradotto dalla politologia e sociologia della transitoria repubblica di Weimar e viene poi applicato in casa nostra – dall’una e dall’altra parte, dai politici e dagli impolitici – un po’ ingenuamente, senza far caso alla tragedia di quella tradizione.

Partendo dal presupposti dell’esistenza di valori sotto forma di istanze assolutamente individuali e incomunicabili (politeismo dei valori) si postula l’impossibilità di un confronto dialogico e la necessità di uscire da tale tirannia, facendo responsabilmente i conti con la dura realtà. La realtà è fatta di rapporti di forza e di equilibri: bisogna privilegiare la stabilità oppure accettare che ci siano temi eticamente sensibili, per così dire irrazionali, dove deve vigere lo stato d’eccezione. Lì ha luogo il mistero e l’indicibile. Se l’equilibrio viene messo in crisi spetta al potere più forte sancire uno stato d’eccezione e dare nuova forma al sistema. Il mistero e il carisma non sono estranei a questa “Realpolitik”, ma sono il perno dell’intera argomentazione. Si accetta il primo sotto forma di autorità divino-religiosa, cui si può non credere, ma a cui conviene obbedire, come se dio ci fosse. Si ammira il secondo nella fascinosa e tremenda capacità politico-mediatica di muovere le folle.

L’Italia è una repubblica costituzionale, i cui valori cioè sono sanciti da una costituzione che è nata in un confronto serrato, nel dialogo tra differenti culture politiche che hanno scelto di condividere una base istituzionale e valoriale come orientamento per il futuro agire politico. Nella pratica di un’assemblea costituente viene meno il primo principio della precendente argomentazione: il politeismo dei valori e la loro incomunicabilità. Non si vuole negare né la pluralità dei valori, né la contingenza storica di ogni gerarchia tra di essi: è appunto a partire dalla pluralità delle preferenze che si può articolare un dialogo per stabilire una convergenza minima non su singoli valori, ma sulla priorità da dare ad essi all’interno dello spazio politico. L’etica della responsabilità è stata contrapposta da Max Weber all’etica della convinzione. Etica della convinzione è traduzione di “Gesinnungsethik”: ovvero etica del proprio modo di sentire, pensare, vivere. Nel dialogo costituzionale e parlamentare si dovrebbe cercare di creare il terreno per un comune modo di pensare, di sentire di vivere. Si dovrebbe perciò dare vita ad un’etica pubblica, un’etica che non è scevra di convinzioni: un’etica che sulla base di convizioni personali articola nel confronto una fragile convergenza su cui stabilire un’etica delle convinzioni pubbliche. In questa prassi dialogica responsabilità e convinzioni hanno bisogno l’una dell’altra, non si escludono.

Oggi assistiamo però ad un progressivo disamoramento nei confronti di questa radice costituzionale. La costituzione è vecchia, si dice, senza distinguere i valori costituzionali e l’impianto istituzionale. La forma istituzionale non è indipendente dai valori costituzionali: è il tentativo di dare forma normativa ad essi. Dato però che ogni norma è legata al contesto sociale e storico a cui viene applicata è posibile che la forma normativa sulla base degli stessi valori possa essere modificata senza tradire i valori costituzionali per poter essere applicata ad un nuovo contesto. La costituzione è vecchia, si dice, e si allude implicitamente anche ai valori che in essa sono espressi. Un mese fa un noto opinionista ha affermato che l’insegnamento della costituzione a scuola lede la libertà degli individui e nega il valore dell’individualità della persona. In questo modo si farebbe dei valori della costituzione, i quali sono sempre e soltanto contingenti, una religione. Una religione politica che ha asfissiato e asfissia ancora il nostro paese. Perché mai uno scolaro non potrebbe avere il diritto di non accettare quei valori, si chiede Della Loggia?

In tal modo un noto intellettuale italiano si pone al di fuori della costituzione: argomenta cioè a favore dell’indifferenza nei confronti dei valori fondanti la nostra repubblica, in nome della libertà e contro una presunta congiura di cui i liberali come lui sarebbero vittime. Non è un caso che chi argomenta così sia anche a favore di una legislazione teocratica sull’inizio e fine vita. Come si è visto lo stato d’eccezione, incensato o unto che sia, è al cuore di questa argomentazione tardo weimariana.

Le tensioni e le violenze di questi giorni lascieranno spazio alla riflessione ed al dialogo? Potrà nascere il desiderio di dare forma politica e razionale alle passioni che infiammano le nostre piazze? Affinchè questo sia possibile sarebbe necessaria maggiore responsabilità. Tra chi predica e starnazza in pubblico non se ne vede molta.

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